06.05.11

Il conte, i mezzaroli e la vigna della Cupa Vecchia

di Vincenzo Pacelli

(pubblicato su Cronos - anno II, n.1 - gennaio 2009)

Riveduto, corretto ed ampliato in più parti

 

Anno del Signore 1620. E’ il 3 di novembre e in una stanza della rocca di Vignanello, davanti al notaio Giovanni Bernardino Cioffari, sono presenti Francesco e Battista, fratelli carnali, figli del defunto Biagio Lagrimanti, e nientemeno che l’illustrissimo conte Sforza Marescotti, loro signore e padrone.

 

Il notaio si sta accingendo a rogare un atto in cui si definiranno meticolosamente tutte le condizioni di un contratto da stipularsi fra i convenuti. Il conte, infatti, darà una sua possessione in gestione ai due fratelli per ben nove anni.

La possessione in argomento è una grande vigna, posta nella valle della Cupa (vedi foto 1), una tenuta che si estende lungo quasi tutta la vallata, più precisamente, dai confini con Vallerano fino ad un campo di canapa un tempo appartenuto a tale Bernadino Cecconi. Tutto questo terreno di proprietà del conte è meglio noto ai Vignanellesi dell’epoca come La Cupa Vecchia.

  

 

Foto 1: Veduta aerea della Valle della Cupa (evidenziata in verde): in alto (Nord) il colle del Molesino, delimitato dai palazzi di via San Rocco, in basso (Sud) il colle di Talano, tratteggiato dall’ombra delle querce, a sinistra (Ovest) lo stradello che fa da confine con il territorio del comune di Vallerano.

  

L’atto1 inizia in latino, ma dopo un avvio altisonante, nel bel mezzo dell’esposizione, il notaio, non appena arriva a dover spiegare l’esatta denominazione e localizzazione della vigna, di colpo si ritrova a scrivere in un bell’italiano, un italiano dell’epoca, con vocaboli che non di rado ricordano il dialetto vignanellese, proseguendo così per tutto il resto del contratto, con somma gioia, si potrebbe immaginare, di Francesco e Battista, che forse con il latino non erano poi così avvezzi (ed anche del sottoscritto, che si è risparmiato l’ennesima noiosissima traduzione).

 

Die tertia 9mbris 1620

 

Illustrissimus Comes Sfortia Mariscottus Domicellus Romanus ac Terrae Julianelli Dominus et Patronus sponte [...] dedit, cessit et concessit Baptistae et Francisci q. Blasii Lagrimantis germanis fratribus de Julianello, ac autem eorum in solidus presentibus possessione ipsi Illustrissimi Domini nuncupata della Cupa alias La Cupa Vecchia , dalli Confini di Vallerano fino alla Canepina che era di Bernardino di Giulio Cecchone…

 

Da notare la consuetudine del tempo, per noi curiosa, di abbreviare novembre scrivendo il numero 9  seguito da mbris. Sforza Marescotti, illustrissimo conte, donzello romano nonché signore e padrone della terra di Vignanello [...] spontaneamente ha dato, ceduto e concesso a Battista e Francesco del fu Biagio Lagrimanti, fratelli germani (ossia carnali, fratelli sia per parte di padre che di madre) di Vignanello, lì presenti, una sua possessione, chiamata (nuncupata) della Cupa, o anche detta (alias) La Cupa Vecchia...

Giovanni Bernardino Cioffari procede con la sua penna d’oca dalla punta intrisa d’inchiostro di galla, elencando diritti e doveri dei contraenti. In verità, molti doveri da una parte e molti diritti dall’altra.

 

In Prima che detti Battista e Francesco siano tenuti, et obligati et ciascun di loro in solidum sia tenuto, et obligato sicome promettono et ciaschedun di loro in solidum promette fare tutto il lavoro, et opere in detta possessione a tutte e singole loro spese, talmente che detto Illustrissimo Signore sia obligato à mettere cos’alcuna, e di tutti i raccolti dell’uva che si farà ne debbia havere esso Illustrissimo Signore dui tertij et uno essi mezzaroli.

 

I due fratelli sono tenuti, anzi obbligati, a fare tutte le opere nella vigna a loro spese, e si impegnano a farle promettendo davanti al notaio. Entrambi promettono e ognuno di loro due promette, ci tiene a ribadirlo il Cioffari, così come scrive a chiare lettere che l’illustrissimo signore non sarà tenuto a mettere cos’alcuna, ed in virtù di ciò avrà i due terzi di ogni vendemmia. I due Lagrimanti, definiti come mezzaroli (l’equivalente vignanellese per mezzadri) avranno il terzo rimanente.

 

Ma quali sono gli oneri di Battista e Francesco? Cosa dovranno fare i fratelli Lagrimanti per tutto l’anno, fino alla vendemmia del 1621, e successivamente per i nove anni a venire, per poter godere del terzo di uva loro spettante? Il contratto prosegue e vengono esposte con dovizia di particolari le loro mansioni, con tutte le clausole e le condizioni. Dopo il capoverso iniziato con l’espressione: “In prima...”, vale a dire: “per prima cosa”, ogni capoverso prende il via con un “item”, che sta per idem: parimenti, allo stesso modo, e inoltre...

 

Item che siano obligati lavorare la terra delli detti arbori diligentissimamente all’uso de Vignanello

 

Item che siano obligati detti arbori custodirli diligentissimamente a detto uso, ma non però che l’alberi possino potarli loro mà siano obligati ogn’anno farli potare dalle persone intendenti di Vignanello di tal professione et siano tenuti dar conto ogn’anno da chi l’haveranno fatti potare

 

Item che non possino nè potare nè scacchiare, nè spampanare nè far’altre cose sopra l’arbori in quel giorno che sarà piovuto e che l’arbori saranno bagnati

 

I mezzadri dovranno lavorare la vigna del Marescotti con grande attenzione, con la cura che si usa a Vignanello, ma non potranno potare le piante che sostengono le viti (l’arbori) da soli, dovranno farlo fare a persone intendenti: a chi a Vignanello se ne intende. Evidentemente erano in pochi a saper potare per bene un vigneto (l’arboreto) ed il conte ci teneva a che il lavoro fosse fatto a mestiere. Così Francesco e Battista avrebbero dovuto chiamare, e pagare, dei potatori esperti di tal professione, senza dimenticare di far sapere al signore chi fossero. In ogni caso, non avrebbero dovuto fare alcun lavoro sulle piante il giorno che avesse piovuto, accorgimento questo che viene rispettato ancora oggi. L’espressione “all’uso de Vignanello” evidenzia come già agli inizi del ‘600 la pratica della viticoltura nel paese fosse una tradizione con delle consuetudini, delle regole e delle “usanze” ben definite e note a tutti.

 

Item che della semente di qualsivoglia sorte che si sementarà in detta terra siano obligati respondere la quarta parte à esso Illustrissimo Signore cioè tre per loro, et una per detto Illustrissimo Signore.

 

Item che li altri frutti oltre l’uva si debbiano vendere, overo volendone essi mezzaioli si debbiano far stimare quanto valeranno, e del prezzo che se ne cavarà, debbiano essere dui terzi di detto Illustrissimo Signore, e l’altro terzo di essi mezzaioli.

 

Item che se vi sarà qualche pezzo di terra che non sia seminato, si debbia falciar à fieno e ne debbiano dare così falciato la metà a detto Illustrissimo Signore.

 

Di ogni sorta di semenza ne dovranno dare un quarto al conte. Di tutti gli altri frutti presenti nel vigneto si dovrà stabilire il valore, ed in base a questo, due terzi dovranno andare al padrone, come per l’uva. Se rimarrà un po’ di terra non seminata, l’erba dovrà essere falciata e la metà del fieno ottenuto spetterà sempre all’illustrissimo signor conte Sforza Marescotti.

 

Item che li salci cioè vinchi che vi sino debbiano coglierli à mezzo.

 

Item che siano obligati e tenuti à custodire i celsi con zapparli e farli tutto quello che li bisogna e la foglia sia tutta di esso Signore.

 

Item siano obligati piantare ogn’anno appresso al fosso duicento salci per anno e quelli coltivarli, e mantenerli assieme con quelli che vi sono piantati adesso

 

Il vinco, di colore rossastro, è la pianta dei salci con cui si legavano le viti, anche questo si dovrà cogliere a mezzo con il  padrone. Inoltre nel terreno vi sono delle piante di gelso (i celsi) e i due mezzadri saranno tenuti a custodirle, a zapparle, ed a fargli tutto quello che gli necessiterà, consegnando poi tutte le foglie raccolte al signore. Delle foglie di gelso si nutrono i bachi da seta, forse che il conte abbia avuto un allevamento?...

Ogni anno si dovranno poi piantare accanto (appresso) al fosso duecento piante di salci, e mantenerle così come si manterranno quelle che vi sono già.

 

Item che tanto le fascine quanto le altre legna che si potranno fare in detta possessione debbiano legarle e farle tutte loro con condurle a Casa a mezzo

 

Item che siano obligati a tener netto lo stradone, e quello nettarlo dui volte l’anno subbito falciato e subbito vendembiato

 

Item che debbiano rimettere tutti li arbori da viti che mancano, et in tutti i lochi dove si possono piantare, e stare à giudicio di homini Periti con farli le fosse larghe, e cupe a sodisfattione del detto Illustrissimo Signore con metterci olmi, ò oppij, e le sue viti e che a tutti li arbori tanto à quelli, che si piantaranno, quanto alli vecchi vi sia almanco dui viti per ciasche arboro

 

I fratelli Lagrimanti potranno fare legna nella vigna, dovranno segarla, legarla in fascine e condurla a casa... la metà! L’altra metà sarà per il conte. Due volte all’anno, dopo aver falciato e dopo aver vendemmiato, dovranno ripulire lo stradone che attraversa il vigneto. Se vi saranno punti in cui poter piantare altri alberi da vite, dovranno farlo a giudizio degli esperti (homini Periti) e collocare piante di olmo o di pioppo (oppij) facendo fosse larghe e fonde (cupe) tanto quanto desideri l’illustrissimo signore (a soddisfattione). A fianco di ogni arboro dovranno essere piantate almeno (almanco) due viti.

Da queste poche righe si comprende come fosse strutturato un vigneto di allora: una distesa di olmi e pioppi, opportunamente potati da persone intendenti, con i tronchi avvolti da due o più viti rampicanti, che salivano fin sui rami dai quali in tarda estate pendevano i grappoli d’uva.

Il notaio, che vuole parlar bene, in questo tratto si azzarda in un ipercorrettismo (vendembiato invece di vendemmiato) proprio come certi anziani Vignanellesi di oggi che volendo parlare italiano, per dire vendemmiare, invece di velegnà, che è dialettale, dicono velembià... che invece è italiano!

 

Item che non possino tagliare legname verde alcuno senza licenza del Signore etiam salvatico e trovandosi tagliato siano tenuti alla pena

 

Item che debbiano all’arbori che stanno per quelle macchie quanto all’arboro da frutta piantare, e tirare una vite de vicciuta, overo uva, e quella la faccino salire senza potarla.

 

Item che la vendemmia siano obligati à farla nella cantina di detto Illustrissimo Signore, ò dove à Sua Signoria Illustrissima parerà, et etiam pistarla talmente che esso Illustrissimo Signore non si senta di spesa alcuna mà solo partire il mosto alla vascha due parti à esso Illustrissimo Signore et una à essi mezzaioli come si è detto di sopra e la vinaccia si debbia partire come di sopra (vedi foto 2)

Foto 2: Busta 146, foglio 33 recto (stralcio)

    

Non si potrà tagliare alcun albero verde, nemmeno selvatico. La vigna, infatti, era probabilmente delimitata sia a Nord (verso il colle del Molesino) che a Sud (verso il colle di Talano) da boschi di lecci, olmi e querce, come ancora oggi vi sono sulla costa verso Talano. Il conte desiderava ed ordinava che, tanto sulle piante che erano nel bosco (l’arbori che stanno per quelle macchie) quanto sugli alberi da frutta presenti nel vigneto, venissero fatte crescere delle viti senza potarle, erano le viti di vicciuta, ossia piante selvatiche o rinselvatichite, che spesso crescevano spontaneamente lungo i fossi o ai confini con le macchie e che facevano grappoli dai chicchi piccoli, dai quali si otteneva un vino particolarmente dolce e dalla gradazione alcolica molto elevata, la cui raccolta spesso spettava soltanto al padrone2. Ed è veramente suggestivo immaginare questo vigneto che lungo tutto il confine delimitato dalla macchia aveva viti selvatiche aggrappate a querce e lecci secolari, che nel periodo della vendemmia si riempivano di grappoli d’uva.

Il contratto prosegue e stabilisce che la pigiatura dovrà avvenire nella cantina del conte Marescotti, o comunque dove a lui sembrerà opportuno (parerà), e specifica anche (etiam) che l’uva dovrà essere pigiata per bene, senza addossare altre spese al conte (talmente che esso Illustrissimo Signore non si senta di spesa alcuna), dopodichè si dividerà il mosto ottenuto nelle parti già stabilite inizialmente: due al padrone ed una ai mezzadri. Stessa cosa per la vinaccia (si debbia partire come di sopra): si debba spartire come detto sopra.

 

Item che ogn’anno avanti che si vendembi si debbia stimare tutta la possessione se vi sarà danno, et in evento che vi sia danno siano obligati à pagare quello sarà stimato per la parte che perviene à esso signore

 

Item che la risposta di quel pezzetto che spetta al Duca si debbia pagare communemente

 

Se li concede poi a detti mezzaioli di poter portare ogni sorte d’armi non prohibite et etiam archibugio in campagna senza però munitione di Caccia, concedendoli anco che non possino essere Commandati a lavorare etiam per servizio di detto Illustrissimo Signore nè a strade nè per guardie nè altro servitio di Giustitia, nè possino essere astretti a pigliare officij pubblici di communità

 

Ogni anno, prima della vendemmia, si dovrà far stimare tutto il vigneto per verificare se vi saranno stati dei danni ed in caso positivo i mezzadri dovranno risarcirne i due terzi di raccolto danneggiato spettanti al signore.

Nella vigna vi era una porzione spettante ad un Duca, forse un Farnese, parente del conte Sforza Marescotti, la cui bisnonna era Ortensia, figlia di Beatrice Farnese, prima feudataria di Vignanello. Il raccolto (la risposta) derivante da questa porzione dovrà essere pagata communemente, cioè metà ciascuno. In questo caso la regola dei due terzi, a quanto pare, non vale.

Il conte permette ai mezzadri di portare in campagna armi non proibite, anche (etiam) l’archibugio, ma senza munizione da caccia. Gli concede inoltre l’esonero dagli incarichi della comunità, come fare i turni di guardia, alla pulizia delle strado, o ricoprire ruoli amministrativi.

 

Item che detto Illustrissimo Signore sia obligato di prestarli otto scudi l’anno e che de detti denari il Signore sia obligato pigliarne tanto mosto di prima scolatura de bigonzi al prezzo che metterà la communità

 

Item che volendo far l’horto in un pezzo di detta terra, essi mezzaroli possino farlo e si debbia stimare quanto potrebbe importare di terratico a detto Illustrissimo Signore e quello loro siano obligati a pagarglilo in denari ò in grano, ò in legumi à beneplacito loro, mà che però oltre il terratico siano obligati di dare una decima de tutti i frutti per ciasche anno che ci farranno in detto horto, e se sono herbe dieci mazzi

 

Item che siano obligati dare al detto Illustrissimo Signore ogn’anno duicento piante di panarole di uva bianca gratis

 

Dopo i tanti obblighi dei fratelli Lagrimanti ne arriva anche uno per l’illustrissimo signore, tenuto ogni anno a prestare otto scudi ai mezzadri, con il successivo (e aggiungerei piacevole) obbligo di recuperarli subito dopo la vendemmia prendendo un equivalente in mosto appena scolato, oltre ai due terzi già stabiliti dal contratto.

Sei poi i mezzadri vorranno fare l’orto nella tenuta della Cupa, potranno farlo, ma si dovrà stimare quanto importerà di terratico al conte e dovranno pagarne il corrispettivo in denaro oppure in natura (grano o legumi). Non solo, oltre al terratico, al signore spetterà anche un decimo degli ortaggi o dieci mazzi delle erbe che ci avranno piantato.

Infine si dovranno regalare all’illustrissimo signore, ogni anno, duecento piante di panarole, ossia talee di vite pronte da piantare, ottenute interrando dei tralci affinché mettessero le radici (in vignanellese più recente si chiamano pannaroli).

 

Item che mancando essi mezzaroli ad alcuna delle sopradette cose et in particolare di ben custodire li arbori, et la terra, oltre che il Signore possi farle custodire a spese loro, siano anco tenuti à tutti i danni […]

 

Actum Julianelli in Arce dicti Illustrissimi Domini Comitis presentibus Magistro Vannoccio de Vannociis, et Bernardino quidam Antonii Annesae de Julianello testibus.

 

Per concludere il signor conte si premura di sottolineare che i due mezzadri, oltre a rispettare tutti gli obblighi elencati finora (le sopradette cose) dovranno custodire attentamente gli alberi e la terra, altrimenti lui potrà farli custodire da altri, a loro spese.

 

Il notaio termina l’atto, indicando il luogo in cui è stato redatto ed i nomi dei testimoni presenti:

Atto rogato a Julianello (nome originario di Vignanello), nella rocca del suddetto illustrissimo signor conte, alla presenza di mastro Vannoccio de’ Vannocci e di Bernardino del fu Antonio dell’Annesa, testimoni di Julianello.

 

I testimoni sono entrambi parenti dei mezzadri: mastro Vannoccio è un prozio di Francesco e Battista, mentre Bernardino è il fratello di Cassandra, moglie di Francesco Lagrimanti. Il cognome de Vannociis (ossia: de’ Vannocci, discendenti di Vannoccio) è oggi estinto a Vignanello, mentre Annesae (tradotto letteralmente con dell’Annesa, ossia: (figlio) di Annesa = Agnesa = Agnese) si è col tempo trasformato nell’attuale Annesi. Francesco Lagrimanti e sua moglie Cassandra Annesi sono i trisnonni di don Giovan Francesco Lagrimanti, che fra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800 scriverà la Istoria delli Padroni di Vignanello, i loro discendenti vivono ancora a Vignanello e Fabrica di Roma, anzi, a voler esser precisi, proprio un Francesco Lagrimanti, discendente in linea diretta dal Francesco Lagrimanti citato nel presente atto, vive attualmente nella stessa casa, in piazza, dove con ogni probabilità viveva all’epoca il suo omonimo antenato.

L’illustrissimo signor conte Sforza Marescotti (nome completo Sforza Vicino) figlio di Marcantonio e Ottavia Orsini, è nientemeno che il fratello di quella Clarice divenuta monaca col nome di Giacinta che, beatificata nel 1727 e canonizzata nel 1807, è l’attuale compatrona di Vignanello insieme a San Biagio. Il conte sposerà Vittoria Ruspoli, dalla quale prenderà il cognome suo nipote Francesco Maria, sesto conte di Vignanello, primo marchese di Riano e primo principe di Cerveteri. Le due principesse che oggi gestiscono il castello sono figlie di Lillio Ruspoli, il cui vero nome è Sforza, lo stesso dell’antenato conte del ‘600. A quanto pare, i secoli passano, ma i nomi rimangono gli stessi.

 

Note:

 

1. Atto trascritto dal protocollo del notaio Giovanni Bernardino Cioffari, conservato presso l’Archivio di Stato di Viterbo: Archivio notarile di Vignanello, busta 146, fogli da 31verso a 34recto.

2. Informazioni tratte da: C. Papa, S. Piermattei, M. Giampaoli. Ecomuseo del paesaggio. Progetto per il “censimento” e la trasmissione dei saperi. Umbria – Provincia di Terni. 2006. (link ). Mio padre, inoltre, ricorda come un suo zio, fino a non molti anni fa, facesse crescere liberamente su una quercia una vite di Nebbiolo (uva nera dai chicchi piccoli, molto resistente al freddo), per attirare tordi e merli a posarsi sulla pianta, allo scopo di andarci poi a caccia.

 

La pubblicazione della foto del documento è stata gentilmente autorizzata dall’Archivio di Stato di Viterbo.


Via San Rocco, via della Stazione, la parte finale della Cupa (noccioleto e non più vigna)
e sullo sfondo il centro storico di Vignanello (Collezione Mario Testa)