31.08.11 di Vincenzo Pacelli
(pubblicato su Cronos - anno III, n.1 - gennaio 2010)
Qual è l’origine del mio cognome? Da dove provengono i miei antenati? Chi erano, dove abitavano e come vivevano 500 anni fa? So di non essere il solo, anzi, so di avere una folta compagnia che si pone questi interrogativi. La curiosità di conoscere le nostre origini è tale che basta guardarsi un po’ intorno per scoprire un’infinità di libri sui cognomi, di siti web per ricerche genealogiche, di istituti araldici o presunti tali, che appioppano stemmi nobiliari a destra e a manca. Spesso i nonni raccontano di origini marchigiane, toscane, umbre, altre volte si tramandano antenati celebri, pirati, briganti, soldati di ventura, parentele illustri e altisonanti... Racconti suggestivi, ma spesso non veritieri o perlomeno romanzati, per non parlare poi degli attestati di nobiltà rilasciati su finta pergamena da variopinte bancarelle, dove ognuno può scoprire di essere marchese, conte, o barone. Certo, se il desiderio è quello di aspirare al sangue blu a tutti i costi, la pergamena con su lo stemma stampato a colori e poche righe scritte in caratteri pseudo-gotici potranno bastare, altra cosa è se si vuole rimanere con i piedi per terra e sapere davvero da chi discendiamo e quali sono le nostre origini. Avere lo stesso cognome non vuol dire esser parenti. I nostri cognomi traggono origine essenzialmente da nomi di persona, da soprannomi, da mestieri o da città. Mentre le famiglie nobili possono vantare un cognome di origine più o meno antica, la maggior parte dei comuni mortali inizia ad avere un cognome soltanto a partire dalla metà del ‘500. Perchè? Perchè è nel 1564, con la conclusione del Concilio di Trento, che i parroci saranno obbligati a tenere dei registri dei battesimi e dei matrimoni, allo scopo di impedire l’unione fra consanguinei. Per fare questo viene ordinato che ogni persona, di qualsiasi ceto, all’atto del battesimo debba essere contraddistinta dal proprio nome e da un patronimico, vale a dire l’indicazione del nome paterno, che poi dovrà essere trasmesso a tutti i discendenti e diventerà il nostro attuale cognome. Per fare un esempio, se Nicola, figlio di Giovanni, avesse avuto un figlio di nome Lorenzo, quest’ultimo sarebbe stato battezzato come Lorenzo di Nicola, che in latino sarebbe stato Laurentius Nicolai. Certo, in latino, perchè all’epoca tutti i documenti, tanto notarili quanto ecclesiastici, erano redatti in latino. Così il nostro Nicola, con tutta la sua prole, sarebbe stato all’origine del cognome Nicolai o de Nicola, o di Nicola, a seconda che avesse avuto più fortuna, col tempo e con le successive trascrizioni, la versione latina o quella in volgare. È così che sono nati i cognomi ed è per questo che fare di cognome Nicolai non vuol dire esser parente di tutti i Nicolai d’Italia, per il semplice motivo che in quegli stessi anni in cui un Nicola ha dato origine alla sua stirpe, altri suoi omonimi, in altri mille paesi d’Italia, possono aver dato lo stesso cognome alle loro discendenze. Ma se Nicola avesse avuto un soprannome, se avesse fatto un mestiere particolare, o se invece fosse stato originario di una certa città, magari il parroco avrebbe potuto preferire di indicarlo rispettivamente come il sordo, o il fornaciaro, oppure il fiorentino, dando così origine ai Sordi, ai Fornaciari e ai Fiorentini. Esistono poi tante varianti e tanti casi particolari nella formazione ed evoluzione dei cognomi, che richiederebbero una trattazione a sé, ma quello che mi interessa ora è soltanto dare una risposta alla domanda iniziale. Verificato che un testo generico, un sito web o un istituto araldico non possono dirmi chi è stato a generare il mio cognome, quali sono le fonti a cui posso fare riferimento? Queste fonti sono gli archivi, dove è conservata la memoria e la storia vera dei nostri paesi e dei nostri antenati. Sono gli archivi parrocchiali, con i registri di battesimi, matrimoni e morti; sono gli archivi di stato, con i protocolli dei notai, contenenti testamenti, contratti, compravendite, etc... Agostino di Ser Biagio[1] è notaio a Vignanello nella seconda metà del ‘400. Nei suoi atti si possono leggere i nomi dei Vignanellesi di quegli anni. Franciscus Mactei Vannocii (Francesco, figlio di Matteo di Vannoccio), Luca Petri Chirici (Luca, figlio di Pietro di Chirico), Jo. Menici Petri Merlati (Giovanni di Menico di Pietro di Merlato), etc...[2] Nomi che non sembrano aver parentela con gli attuali cognomi vignanellesi, nomi che portano appresso apparentemente anche dei cognomi, spesso anche due, ma che in realtà cognomi non sono, bensì semplici patronimici, vale a dire il nome del padre, seguito da quello del nonno, entrambi terminanti con la lettera finale –i del genitivo latino, equivalente al nostro complemento di specificazione. Siamo nella seconda metà del ‘400 ed ancora il Concilio di Trento non c’è stato. Coloro che daranno origine agli attuali cognomi non sono ancora nati. I nomi che troviamo in questi anni sono quelli dei loro padri e dei loro nonni, sono nomi che nella maggior parte dei casi non diventeranno mai cognomi, non avranno la fortuna di essere ricordati dai loro discendenti. Essi appartengono ad un’epoca in cui ogni persona veniva identificata attraverso il nome proprio ed un generico “figlio di”, a volte seguito da un “nipote di” e magari da un soprannome di famiglia. Per farmi capire meglio, visto che non è poi una cosa così insolita, è un po’ come oggi quando passando per i vicoli un’anziana mi incontra e per spiegare alla vicina chi sono gli dice, testualmente: jè Vincenzo, i’ ffiglio ‘e Llillo, quello ‘e Cencio Bussanti , che tradotto in italiano suonerebbe: è Vincenzo, il figlio di (Ideale detto) Lillo, il nipote di (Vincenzo detto) Cencio, di quelli che gli dicono i Bussanti. Come vedete, il mio cognome Pacelli non compare per niente, se ne può fare benissimo a meno. E così ne facevano a meno allora. Nella versione latina di un atto notarile sarei stato semplicemente Vincentius Lilli Centii de Bussantis. Ma ritorniamo agli atti del notaio Agostino. Francesco, figlio di Matteo, figlio di Vannoccio (Franciscus Mactei Vannocii)[3] sarà il padre di un tale Battista, nato alla fine del ‘400, che da giovane verrà indicato semplicemente come Battista di Francesco (Baptista Francisci), o più spesso come Battista del Cardinale (Baptista Cardinalis), essendo questo il soprannome di suo padre.[4] Battista sposerà donna Bernardina, figlia di Cozolello della Farina ed avrà sei figli, fra cui Biagio e Angelo. Entrambi verranno riconosciuti in paese come i figli di Battista, o meglio come i figli del Lagrimante, questo infatti era il soprannome di Battista. Biagio e Angelo si sposeranno a loro volta ed avranno dei figli, proprio negli anni immediatamente successivi al Concilio di Trento. Tutti loro saranno identificati facendo riferimento all’antenato comune, e quindi saranno quelli del Lagrimante, ed ognuno di loro verrà battezzato rispettivamente come figlio di Biagio del Lagrimante (filius Blasii Lagrimantis), o figlio di Angelo del Lagrimante (filius Agnoli Lagrimantis), ed in questo modo Lagrimanti diventerà il loro cognome: loro e di tutti i loro discendenti, fino ad oggi. Ma la questione non è sempre così semplice e lineare. A volte accadeva che fra più fratelli uno avesse un soprannome più caratteristico di quello paterno, ed in qualche caso aveva il sopravvento e generava un cognome a sé, con il risultato che dei cugini, figli di due fratelli, si ritrovassero con cognomi differenti. Si scopre così che cognomi oggi ben distinti sono, per così dire, imparentati all’origine. Siamo sempre alla fine del ‘400, a Vignanello, o sarebbe più corretto dire Juglianello, come lo chiamavano allora: Giuliano figlio di Apollonio (Julianus Appollonii) è sposato con donna Costanza[5] ed ha due figli maschi: Bastiano e Pietro[6]. Bastiano (Bastianus Juliani Appollonii) era soprannominato Martinzoppo, egli avrà a sua volta due figli maschi: Giovanni, detto Frate Caregia e Pacello, detto Scricciolino. Entrambi da giovani vengono identificati con il soprannome del padre (Pacellus et Johannes, Bastiani Martinzoppi, ossia Pacello e Giovanni, figli di Bastiano Martinzoppo) ma successivamente Pacello, avendo già un nome poco comune e che non dava adito a fraintendimenti, darà origine al cognome Pacelli, perdendo sia il suo soprannome (Scricciolino) che quello del padre (Martinzoppo), mentre i figli di suo fratello Giovanni saranno contraddistinti dal soprannome di quest’ultimo (Frate Caregia) che diventerà il cognome Fratecareja o Caregia, poi estintosi. Ma un discendente di Giovanni sarà a sua volta soprannominato Pepe e darà origine appunto al cognome Pepe tuttora presente a Vignanello. Dal canto suo, il fratello di Bastiano, Pietro (Petrus Juliani Appollonii), era soprannominato Coppietta, e questo sarà il cognome (oggi estinto) che passerà ai suoi figli. Ma facendo un passo indietro e tornando a Giuliano (padre di Pietro e Bastiano) si può aggiungere che aveva un fratello: Oliviero (Oliverius), padre di Stefano e Biagio (Stephanus et Blasius, Oliverii), nonché capostipite degli Olivieri vignanellesi[7]. Riassumendo si può dedurre che i cognomi Pacelli, Pepe e Olivieri sono, per così dire, fra loro cugini (vedi schema sopra). Menico di Agostino di Vanni (Menicus Augustini Vannis) morì piuttosto giovane, lasciando orfani Anselmo e Giovanni. I due bambini vennero affidati alle cure di quattro egregi uomini, loro parenti più prossimi, fra cui lo zio Francesco, detto Grassello (Franciscus Augustini Vannis alias Grassello)[8]. Il giovane Anselmo farà lo stesso mestiere di suo padre, il carpentiere, e nel 1550 sarà uno dei quattro priori di Vignanello, la sua discendenza darà origine al cognome Anselmi, così come suo zio Francesco (alias Grassello) sarà il capostipite del cognome Grasselli, entrambe famiglie benestanti e che ricoprirono in passato (e non solo) numerose cariche istituzionali, tanto che un Grasselli venne anche soprannominato il Conte. In altri casi, per motivi più o meno fortuiti, era la madre o la nonna a dare il cognome ai discendenti. Questo poteva accadere per diversi motivi, ad esempio se la donna rimaneva prematuramente vedova e quindi i figli venivano identificati meglio con lei piuttosto che con il padre, ormai defunto. Donna Annesa (o Annese), figlia del fu Santino, era di origini senesi e all’inizio del ‘500 risulta esser vedova di tale Menico di Cafardo, vignanellese. Annesa/Annese è una versione diversa per il nome Agnese, ed ancora oggi in dialetto vignanellese si usa dire Agnèsa, o meglio Gnèsa, preceduto dall’articolo femminile ‘a. Annesa ha soltanto un figlio maschio, Bernardino, che in alcuni documenti viene identificato in riferimento al padre: Bernardino figlio del fu Menico di Cafardo (Ber’nus filius olim Menici Cafardi), ma nella maggior parte dei casi è semplicemente Bernardino dell’Annesa (Ber’nus Annesae, o Anese). I suoi quattro figli maschi: Antonio, Pietro, Lorenzo e Domenico, saranno battezzati come figli di Bernardino Annese e saranno riconosciuti come quelli dell’Annese, o meglio, con il tempo, gli Annesi, dando così origine a tutta la discendenza attuale. Qualcosa di simile è accaduto per il cognome Paola, originatosi però in tempi anteriori, visto che già alla metà del ‘500 abbiamo addirittura un notaio vignanellese appartenente a questa famiglia. E’ un nipote diretto della capostipite: Mariano di Angelo della Paola (Marianus Angeli Paule), soprannominato anche Mariano Angelico. Alcune famiglie erano particolarmente avvezze ad usare nomi caratteristici ed altisonanti, che oggi ci sembrano improponibili. Mastro Lariento, a volte chiamato anche Ariento o Argento, era figlio di mastro Antonio di Filippo (Magister Arientus magistri Antonii Filippi)[9] ed aveva una bottega in piazza[10], suo figlio Antonio ebbe tre figli maschi: Persiano, Soprano e Lariento, inutile dire che dal secondo di essi deriveranno gli attuali Soprani vignanellesi.[11] Spesso i cognomi sono il risultato di storpiature o abbreviazioni del nome del capostipite. Ziaco proviene dalla troncatura finale di Ziacobi, ossia Jacobi, figlio di Jacobo (oppure Jacopo, o anche Giacobbe) mentre Gionfra è la contrazione del nome Giovan Francesco, i cui figli erano... quelli de GionFranco, abbreviato in GionFra’. Numerosi quelli derivanti da diminutivi e vezzeggiativi. Francesco figlio di Galeotto, figlio di Stefano della Narda (Franciscus Galeocti Stefani Narde) detto Cecco, non doveva essere molto alto di statura se nei documenti veniva chiamato Cecherino, poi Ceccarino, ed infine Ceccarello, da cui il cognome Ceccarelli. Valentino, figlio di Paolo, figlio del Lungo (Valentinus Pauli Lungi), nonostante il soprannome del nonno (detto appunto il lungo) venne soprannominato Lello, da cui Lelli. Dal canto suo Bernardino figlio di Pietro di Gianni (Ber’nus Petri Jannis) era soprannominato Fuoco e suo figlio Alessandro (Alexander Fuoci) verrà soprannominato Fochetto,[12] da cui il cognome Fochetti. Chiricozzi si origina invece da un Chirico (variante locale del nome Quirico) detto Chiricozzo (Chiricotius Petri Chirici). Come si può dedurre da quanto scritto finora, molti dei cognomi che oggi popolano Vignanello sono, per così dire, di origine autoctona, ovvero portano la memoria di un patronimico locale. Ma ce ne sono alcuni che in realtà nascondono una provenienza esterna, addirittura oltre gli attuali confini nazionali. È il caso, a titolo d’esempio, del cognome Loppi, diffusosi a partire dalla folta prole mascolina di un tale Loppo. Questo nome è l’equivalente italiano dello spagnolo Lopo o Lope, dal quale è derivato il cognome Lopez. A conferma di questo, nei più vecchi atti notarili in cui compare il nostro Loppo, pur ribadendo che è un abitante di Vignanello, viene spesso ricordata la sua provenienza: Loppus Yspanus habitator Julianelli o più semplicemente Loppo Spagnolo.[13] Fra i suoi cinque figli maschi non passano inosservati Sancio, Diaco e Adriano[14], nomi all’epoca mai utilizzati da altre famiglie del luogo. Altri cognomi arrivano molto più tardi, già formati, come ad esempio i Lupi (Angelo da Civita Castellana, inizi ‘800), i Piermartini (Saverio da Vetralla, 1824), i Piccioni (Benedetto da Vallerano, 1824), i Pugliesi (Luigi da Viterbo, inizi ‘800), i Moroni (Leopoldo da Mugnano, 1829), gli Sforza (Giovanni Luca da Gallese, 1783; figlio di Vincenzo da Magliano Sabina), i Testa (Paolo da Soriano nel Cimino, inizi ‘700).
Qui sopra: veduta parziale dell'albero genealogico dei Pugliesi. Acquerello e china dell'autore [l'originale comprende tutte le ramificazioni dal capostipite fino all'epoca attuale ed una sintesi storica delle notizie sulla famiglia. cm70x50] Se poi si vuole cercare il tanto agognato stemma, ebbene alcune famiglie vignanellesi ne hanno avuto uno, o meglio, ce l’avevano i notai a partire dal XVII secolo e nei loro protocolli si possono rintracciare diversi timbri stemmati, contenenti in genere un’immagine ed un motto in latino, oltre naturalmente alle iniziali del notaio. Ne abbiamo per gli Anselmi[15], i Ciambella[16], i Fiorentini[17], i Grasselli[18], i Loppi[19], i Petrucci[20] ed altri. Ma più che di uno stemma di famiglia, sia ben chiaro, si tratta di un sigillo personale, tanto è vero che notai con lo stesso cognome hanno a volte timbri diversi. A sinistra il sigillo del notaio Fausto Maria Loppi, con il motto Fortis et fidelis; a destra il sigillo del notaio Simone Fiorentini, con il motto Sic efflorebit, lo stesso motivo si trova scolpito sulla chiave di volta dell'abitazione posta in corso G. Matteotti. L’unica famiglia vignanellese, seppure d’importazione settecentesca, per la quale finora mi è successo di rintracciare probabili origini nobili ed uno stemma vero e proprio è quella dei Grattarola. Dalle ricerche svolte negli archivi parrocchiali di Vignanello e Vallerano si è scoperto infatti che Vincenzo Grattarola, figlio di Sebastiano e Rosalinda Loppi, è all’origine di tutti i Grattarola oggi presenti in paese. Nel suo atto di battesimo (Vallerano, 13 ottobre 1759) si legge: natum ex D.no Sebastiano q.m Petri Grattarola de Ponsono Aquen. Dioecesis, vale a dire: nato dal Signor Sebastiano del fu Pietro Grattarola di Ponsono della diocesi di Acqui. [21] Ponsono è l’attuale Ponzone, in provincia di Alessandria. Grattarola, in effetti, è un cognome tuttora diffusissimo in Piemonte, specialmente in provincia di Alessandria, ed in particolar modo nel piccolo centro di Ponzone che conta poco più di 1000 anime. Da notare che proprio ad Alessandria nel sec. XVII vi erano dei Grattarola aventi il titolo di marchesi, con tanto di stemma, mentre quelli di Ponzone, paese di origine di Pietro, nonno del nostro Vincenzo, erano conti. Si legge inoltre in un documento di Ponzone dell’inizio del 600 [tratto da: link]: “Il molino, i pedaggi ed i bandi campestri sono stati poco fa venduti da questa Camera alli M. Mag. Sig. Capitano Matthia, Girolamo ed Alessandro, fratelli Grattarola”. I tre fratelli Grattarola quindi, già all’epoca rivestivano nel paese un ruolo di rilievo tale da esser definiti come Molto Magnifici Signori (M. Mag. Sig.) ed uno di loro era capitano. Nei dizionari di araldica nobiliare che ho consultato entrambi i rami della famiglia risultano ufficialmente estinti, ma non si può escludere una relazione di parentela con i Grattarola attualmente a Vignanello. Qui sopra: particolare del ramo centrale (primogenito) dei Grattarola vignanellesi. Disegno a china dell'autore [l'originale comprende tutte le ramificazioni dal capostipite fino all'epoca attuale, lo stemma ed una sintesi storica delle notizie sulla famiglia. cm60x100] La nascita, l’evoluzione e la diffusione dei cognomi è un argomento molto ampio e variegato, che coinvolge necessariamente anche aspetti storici, sociali, culturali e linguistici. Ho voluto darne soltanto alcuni accenni, cogliendo i tratti più caratteristici e singolari legati al centro abitato di Vignanello. In quel paesino che 500 anni fa ospitava più o meno 1000 anime, ogni cognome ci può raccontare una storia, ognuno dei capostipiti ha trascorso la sua esistenza, più o meno fortunata, più o meno ignota, con una famiglia, una casa, un pezzo di terra o una bottega, per chi aveva la fortuna di possederli. Buzzo, Braccio, Gnocchetto, Graziotto, Mastro Micchele, Tabachino, Todeschino, Troyolo, Stefanuccio... Tutti loro, e tanti altri, hanno vissuto tra le mura di tufo che racchiudevano il centro storico di Vignanello ed i campi coltivati che ancora oggi lo circondano, umilmente sottomessi al potere dei feudatari. I loro nomi ci suonano familiari, li ritroviamo nei nostri cognomi, ma altri loro contemporanei non hanno avuto la stessa fortuna, allora per recuperare, in conclusione, e per dare anche a questi dimenticati un po’ di celebrità, vi elenco alcuni fra i soprannomi più particolari diffusi a Vignanello più o meno mezzo millennio fa, in ordine alfabetico: Barbaroscia, Becco, Bisciante, Boccanera, Bruscato, Cagnone, Carolfo, Casocavallo, Cortella, Ciavanello, Ciofo, Fancello, Fanticchia, Frenguello, Gattuccio, Impedicato, Lazolino, Muscietta, Nottola, Omogrosso, Pastacalla, Pecundario, Pedicone, Pizzoroscio, Prenabudelli, Quaglia, Rosciolo, Saccomando, Sampogna, Saracino, Sbaragatta, Scacalato, Sciancato, Scorzo, Somarella, Spachetto, Sparapane, Tartaglia, Vaccarella, Villano, Zampichetta, Zinna, Zitello e Zuccarella. Archivio Parrocchiale di Vignanello. Un atto di battesimo dal primo registro, foglio 31 A dì xi di luglio 1610 N.B. In questo periodo i cognomi
sono spesso scritti con l'iniziale minuscola, il giorno è scritto in
numeri romani minuscoli (xi = XI = 11), i numeri 1 hanno il puntino
come le "i" e nel testo ci sono diverse abbreviazioni: D. (Donna),
p.te (prete), comp. (compare), m. (mastro/messer). [1] Archivio di Stato di Viterbo. Archivio notarile di Vignanello (ASVit – NVign). Busta 1 (1464-1476) [2] ASVit – NVign. B. 1/2 passim [3] Ibid. B. 9, f. 2 (15.9.1503) [4] Ibid. B. 8, f. 160v (9.1509); B. 57, f. 15 (11.3.1566) [5] Ibid. B. 1/1, f. 18v (4.3.1470) [6] Ibid. B. 8, f. 306v (1.10.1513) [7] Ibid. B. 1, f. 1/2, f. 18v (7.3.1470); B. 8, f. 70v (8.11.1507) [8] Ibid. B. 26, f. 15r (1.4.1522); B. 26, f. 154v (20.11.1526) [9] Ibid. B. 6, f. 93 (17.1.1495) [10] Ibid. B. 1/2, f. 80v (12.5.1484); B. 1/3, f. 14r (29.7.1475) [11] Ibid. B. 31, f. 355r (10.5.1553). In verità i Soprani si sono estinti, gli attuali discendono da un Agostino Paola, figlio di Antonio, che all'inizio del '700 assume il cognome della nonna Maddalena Soprani, probabilmente per questioni ereditarie. [12] Ibid. B. 27, f. 184v (31.3.1533); B. 31, f. 48r (16.5.1548) [13] Ibid. B. 1/2, f. 68v (13.7.1477); B. 4, f. 68r (1486) [14] Ibid. B. 5, f. 91v (13.3.1490). Sancio è l’equivalente di Sancho (spagnolo); Diaco corrisponde a Tiago (portoghese), nome derivante da un’abbreviazione per aferesi di Santiago (Sant’Iago, ossia San Giacomo) e poi evolutosi nell’attuale Diego; Adriano è un nome di origine latina molto diffuso in Portogallo. [15] Ibid. B. 327 (1791-1792) Not. Eliodoro Anselmi [16] Ibid. B. 159, f. 2 (1654) Not. Mariano Ciambella [17] Ibid. B. 245, f.261r (1726) Not. Simone Fiorentini [18] Ibid. B. 212, f. 285r (1717) Not. Pietro Paolo Grasselli [19] Ibid. B. 278, f. 135r (1777) Not. Fausto Maria Loppi [20] Ibid. B. 303 (1774-1779) Not. Macedonio Petrucci [21] Augusto Pacelli, sul suo libro Momenti di storia vignanellese, attribuisce l’origine del cognome ad un Pietro de Grattarolo presente fra i capifamiglia di un consiglio generale del 1592. In verità posso dire con certezza che si tratta di un errore per due motivi: i Grattarola non compaiono a Vignanello in nessun atto di battesimo, matrimonio o morte fino al 1783 (atto di nascita di Biagio, primogenito di Vincenzo), il Grattarolo individuato da Augusto Pacelli è con ogni probabilità da attribuire ad un errore di lettura per Frattarolo, patronimico diffuso a Vignanello nel sec. XVI.
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