30.10.11 di Vincenzo Pacelli
(pubblicato su Cronos - anno III, n.3 - luglio 2010)
È un piccolo foglio[1], logoro e ingiallito, quello che conserva la memoria delle dettagliatissime disposizioni date da Ortensia Farnese e suo figlio Alfonso Marescotti, illustrissimi signori e padroni di Vignanello, agli umilissimi vassalli vignanellesi in occasione delle fauste nozze del loro, rispettivamente nipote e figlio, Marcantonio. Un foglio diviso in due, per un totale di quattro facciate, scritte nel 1574. L’epoca si deduce da due iscrizioni, di diversa mano, poste sull’ultima pagina, completamente bianca ad eccezione di una data, 1574 appunto, ed un breve appunto successivo: V. Cons.o 1. ag.o 1574, ossia: vedi il consiglio del 1 agosto 1574. Ma torniamo al bando, con il suo avvio altisonante e perentorio:
L’incipit è ben chiaro: si tratta di un bando, o meglio di un ordine, che dovrà essere inviolabilmente eseguito, e non potrebbe essere altrimenti, visto che proviene nientemeno che da Ortensia Farnese, signora e padrona del feudo di Vignanello in virtù dell’eredità lasciatagli da sua madre Beatrice, che lo aveva ricevuto nell’aprile del 1531 con un breve di papa Clemente VII, poi riconfermato ad Ortensia da papa Paolo III (ovvero, zio Alessandro Farnese) nel 1537.
Da notare come i nomi e i cognomi siano scritti a volte con la maiuscola, altre volte no.
Insieme a Ortensia compare Alfonso, figlio avuto dal suo primo marito Sforza Marescotti. Per la cronaca: Sforza venne assassinato dai Vignanellesi nel 1538 forse su istanza di Ortensia stessa. La signora sposò poi in seconde nozze Girolamo di Marsciano, morto nel 1545 avvelenato dalla signora stessa, così vuole la leggenda, con un piatto di maccaroni. Fu quindi la volta di Ranuccio Baglioni, suo terzo ed ultimo consorte, che venne ucciso sì dai Vignanellesi, ma anche in questo caso donna Ortensia non era estranea ai fatti, tanto che venne pure processata perchè ritenuta coinvolta nella cospirazione[2].
Alfonso Marescotti e sua moglie Giulia Baglioni[3] sono i genitori di Marcantonio (qui sopra un suo ritratto), lo sposo, mentre la fortunata che nel bando non viene neppure nominata, è Ottavia Orsini (di lato un busto che la ritrae), figlia di Pier Francesco II, detto Vicino, signore di Bomarzo, nonché committente del Sacro Bosco, meglio conosciuto oggi come Parco dei Mostri. Sarà per volere di Ottavia che verrà realizzato il giardino all’italiana di fianco al castello.
Il bando prosegue, solenne e risoluto, elencando tutti gli ordini per i vassalli e le relative conseguenze nel caso in cui gli stessi non venissero rispettati.
Da quanto si può dedurre, alcuni Vignanellesi[4] hanno già ricevuto, prima del presente bando, un bollettino nel quale hanno avuto disposizioni. Questi vassalli saranno tenuti ad indossare i migliori abiti che potranno, con tanto di archibugio, spada e pugnale. Così addobbati dovranno andare incontro alla sposa e, il bando lo sottolinea, dovranno farlo amorevolmente, come se perfino una disposizione d’animo possa essere pretesa. Evidentemente chi invia questi ordini ha di che dubitare sull’umore degli irrequieti vassalli, del resto sono passati appena venti anni da quando oltre cento Vignanellesi si erano cimentati nell’assassinio del conte Ranuccio Baglioni. Quindi, per maggior sicurezza, si specifica che per coloro che contravverranno alle richieste sono previste multe (dieci Scudi) e punizioni corporali (tre tratti di corda) da darsi in pubblico. A supervisionare che tutto sia come deve essere c’è poi messer Girolamo Napolitano, incaricato dai signori padroni a questo scopo. La data dell’evento è un non meglio precisato quindici, ma non è espresso in modo chiaro, vedremo più avanti a cosa si riferisce.
Il secondo ordine è destinato ai facenti parte del Consiglio della terra, ai priori, ai massari ed agli anziani del paese. Tutti loro dovranno incontrarsi con il podestà e recarsi fino al ponte[5] per consegnare alla sposa le chiavi del castello (naturalmente qui per castello si intende tutto il paese, ossia il castrum, del quale la signora diverrà padrona insieme al novello sposo). Anch’essi saranno tenuti ad essere allegri (mostrare grandissima alegrezza), e dobbiamo intuire che gli converrà farlo, visto che in caso contrario saranno considerati ostili (inimicissimi) ai signori padroni e di conseguenza privati della loro benevolenza. Il podestà ed i priori (offitiali) saranno preposti a far rispettare queste disposizioni e se non lo faranno correttamente dovranno sottostare alle pene che i signori padroni riterranno giusto applicare.
Tutte le donne sposate dovranno indossare le migliori gonne e cinture, e dovranno avere le calze e le scarpe. Questo passaggio ci fa intuire come all’epoca probabilmente non fosse così scontato che una donna avesse delle scarpe ai piedi, tanto da doverlo imporre con un ordine nel bando. Due ore prima dell’arrivo della sposa le campane suoneranno a festa (all’alegrezza) ed allora tutte quante dovranno ritrovarsi davanti alla piazza della rocca, per andare in fila, a due a due, tenendosi per mano e danzando accompagnate dalla musica dei pifferai (le pifare), fino ad arrivare al ponte e dare il benvenuto alla sposa. La moglie del podestà, la moglie di ser Serafino e Lalla, moglie di Giulio Bracci, dovranno fare in modo che tutto sia perfetto, tutte le donne dovranno obbedire loro. Chi sarà assente dovrà pagare uno scudo, immediatamente (ipsofacto) e senza alcuno sconto (remessione).
Anche le vedove e le donne più anziane del paese dovranno essere ordinate e calzate. Dovranno attenersi a quanto vorranno la balia Rosa della Menichella, Corsa[6] e Rosa di Alessandro. Esse seguiranno, in fila per due, le donne sposate, in questo raffazzonato corteo popolare fino al ponte. Anche loro non potranno mancare, subendo la stessa pena delle altre donne ed anzi il bando approfitta per ricordargli che al passaggio dei signori padroni dovranno alzarsi (rizzarsi) in piedi e fare la riverenza, altrimenti saranno multate di cinque Giuli, ogni donna, per ogni volta, immediatamente e senza sconti.
Alloggiamenti e stalle dovranno essere sistemati, per i primi si dovrà rispondere al furiere (forriero) ser Diego di Biagio, mentre le seconde saranno di competenza del mastro di stalla Pompeo de Medici. Chi non adempirà ai suoi obblighi sarà multato di venticinque Scudi e punito con tre tratti di corda.
Nemmeno i bambini (li putti), da dieci anni in su, vengono risparmiati. Tutti quanti dovranno andare fino all’estremità settentrionale del territorio vignanellese, al confine con Soriano, segnato dal ponticello della selva. Dovranno fare dei portali d’erba sotto la direzione di Francesco di ser Antonio e Fabio di Luzio. La sposa gli farà la mancia e loro dovranno esultare. E se mancheranno, cinquanta staffilate (ossia frustate) nella pubblica piazza non gliele risparmierà nessuno.
Vengono infine elencati tutti gli incaricati (offitiali), che dovranno mostrare la loro diligenza nel fare onore ai signori padroni, ognuno secondo i compiti (offitii) che gli sono stati dati. Per tutti quelli fra loro che mancheranno di diligenza e fervore, sia ben chiaro, il signore si vedrà costretto a provvedere con il castigo più duro: nè di frusta, nè di corda, bensì: pena corporale di fune. I fortunati sono, in ordine di importanza: il podestà, che in assenza del signore può operare in sua vece (come la propria persona del signore), il maggiordomo Antonio Perugini, il segretario Flaminio de Massimi, il mastro di casa Giacomo Fioretti, il capitano degli uomini della rassegna Girolamo Napolitano. I cognomi di questi primi quattro messeri ci rivelano con un buon margine di certezza che non sono Vignanellesi, mentre i nomi che seguono sono certamente di persone del luogo: di sicuro lo è ser Diego figlio di Biagio[7], furiere del signor padrone, degno di meritare l’appellativo di ser. Poi c’è Biagio figlio di Fochetto, ossia uno dei primi Fochetti, con la mansione di campanaro, insieme a prete Angelo, di cui come per gli altri, non ci viene detto il cognome, mentre il Caroso, forse capostipite dei Carosi, fa il bombardiere con Vincenzo e Bernardino. Gli appicciafuoco Paolo di Celio e Speranza[8] concludono la lista insieme alle due bande di pifferai (le mute de pifari). La presenza dei bombardieri e degli appicciafuoco ci fa intuire la presenza di botti, spari di mortai e forse fuochi d’artificio, ma purtroppo il bando non ci può raccontare oltre su come si svolsero i fatti. Chissà se i vassalli saranno riusciti a trattenere il loro orgoglio, ad inchinarsi, a soddisfare tutte le richieste del signor padrone? L’unica informazione aggiuntiva la possiamo trovare grazie a quell’appunto lasciato da mano ignota cui ho accennato all’inizio: vedi il consiglio del 1 agosto 1574. E infatti, andando a cercare fra i registri dei consigli[9], nella riunione avvenuta il primo agosto 1574, fra i punti all’ordine del giorno leggiamo:
Detto in altre parole: Si fa presente, da parte dei priori, che l’Illustrissimo Signore ha ordinato tramite il bando (banno) che tutti coloro che hanno ricevuto il bollettino debbano essere equipaggiati con spada, archibugio e pugnale, altrimenti dovranno sottostare alla pena decisa dal Signore. Che si prenda una decisione in proposito.
Segue la saggia conclusione del consiglio generale:
I vassalli sono piuttosto risoluti, decidono di chiedere (se preghi) al signore che il bando venga annullato (non vada più innanti) in quanto, molto semplicemente, chi potrà mettersi in ordine, non mancherà di fargli questo onore, ma chi non potrà farlo, non lo si voglia forzare, in quanto ognuno si sforzerà quel tanto che potrà. Non fa una piega, una bella soluzione per permettere a chi non avesse voluto mettersi in ordine di non farlo, con la giustificazione che, semplicemente, non poteva.
A lato: stemma Marescotti-Orsini Da un consiglio precedente[10] scopriamo che le nozze erano programmate per il 15 agosto, Assunzione della Madonna, festività alla quale era dedicata l’antica chiesa matrice, e che il signore richiedeva ai sudditi anche un regalo per il figlio:
I priori fanno presente la richiesta dei signori padroni, i quali pretendono che i Vignanellesi dimostrino la loro amorevolezza con un regalo definito ragionevole, ossia proporzionato all’importanza del destinatario. Senza troppi giri di parole, non si nasconde affatto che è un regalo interessato, che avrà ripercussioni sui futuri rapporti con il feudatario che non mancherà di trattare bene i suoi vassalli... a patto che il regalo sia di suo gradimento. Quindi… che si provveda! La decisione del consiglio, anche in questo caso, è al tempo stesso ovvia e spiazzante, degna di chi mal sopporta la posizione di suddito sottomesso e non si fa problemi di rispondere a tono a chi vorrebbe imporsi con l’arroganza del padrone:
Come a dire, il signor padrone non può pretendere chissà cosa, il regalo si farà in proporzione alle possibilità della comunità, tanto gli basti. Ma naturalmente al conte non bastava ed è facile intuire che i rapporti fra feudatario e vassalli non furono mai rosei. La storia del resto ce lo conferma: negli anni successivi continuarono le liti, i soprusi, le reciproche accuse, i processi, le incarcerazioni, e neppure la nascita nel castello di una santa, la terziaria francescana Giacinta (a lato), al secolo Clarice Marescotti, figlia dello stesso Marcantonio, riuscirà a portare pace e concordia fra l’impertinente schiettezza del popolo vignanellese ed il prepotente orgoglio della nobile casata. [1] Gentilmente messo a disposizione da Giuseppe e Francesco Lagrimanti. [2] A tal proposito: Carmine Iuozzo. Feudatari e vassalli a Vignanello. Viterbo. Agnesotti 2003 passim [3] Giulia Baglioni è figlia di Alberto, cugino di Ortensia, sua suocera. [4] Sarebbe più corretto dire Giuglianellesi, visto che all’epoca il paese era ancora chiamato Giuglianello. Julianellum è il nome originario in latino, distorto in più forme (Giuglianello, Giugnanello, Iugnanello, Ignanello) ed infine divenuto Vignanello. [5] Il ponte è quello che collega il centro all’attuale via Garibaldi (San Sebastiano). All’epoca in questo punto vi erano le mura del paese ed una porta, detta porta piccola, che delimitavano l’abitato ad est. [6] Suona strano ma Corsa era un nome femminile dell’epoca. [7] Vedi: Carmine Iuozzo. Feudatari e vassalli a Vignanello. Viterbo. Agnesotti 2003. Pagg. 67 n 53, 112-3, 138 [8] Speranza è un nome maschile. [9] Archivio Storico Comunale di Vignanello. ARE 2/3, f. 134 v. [10] ACVign. ARE 2/3 f. 133 recto e verso (26 luglio 1574)
|