10.12.11
Fatto d’arme dei Vignanellesi contro
i Valleranesi
di Vincenzo Pacelli
Pubblicato su Villaggio Globale –
Anno II n.3 – gennaio/febbraio 1996
riveduto e corretto
Esauriti gli articoli preparati per Cronos ho
pensato bene di andare a ripescare alcuni aneddoti di storia
vignanellese che presentai qualche annetto fa su Villaggio Globale
(per chi non lo abbia conosciuto, mi riservo di parlarne a breve) e che
sono perfettamente in linea con lo spirito di questo spazio.
Sia ben chiaro, si tratta sempre di vecchiume,
come direbbe Llomo, sempre e solo sano vecchiume riesumato
fra vecchie carte, con protagonisti sconosciuti alla storia con la S
maiuscola, i soliti luoghi più o meno risentiti… espressamente
ritrascritti da me medesimo per chi volesse rileggerli.
Quella che segue è la trascrizione fedele della
narrazione di un evento accaduto nel 1799 a Vignanello, o meglio, fra
Vallerano e Vignanello, dettagliatamente e patriotticamente raccontato
da un’ignota penna contemporanea agli avvenimenti e spudoratamente di
parte, Vignanellese naturalmente!
Sta scritto su un volumone, o meglio sulle fotocopie di
un volumone dell’800, che Piero Stefani mise a disposizione del
sottoscritto, allora appena ventenne redattore di quella pubblicazione
locale che prendeva il nome di Villaggio Globale.
Il testo è ben comprensibile, non necessita di traduzioni
o spiegazioni, ma lo commenteremo insieme… a mano a mano.
Fatto d’arme dei Vignanellesi contro
i Valleranesi
- 1799 -
Già l’avvio è altisonante: fatto
d’arme. Si va a leggere di una cosa seria, una battaglia fra due
popoli, vedrete di seguito che i toni sono quasi alla Brancaleone da
Norcia…
Nel giorno 10 Agosto 1799
celebrandosi in Vallerano la festa della Madonna S.S.ma del
Ruscello, accadde che un ragazzo vignanellese ebbe questione con
altro suo pari di Vallerano; ed il padrone della bettola N.N.
volendo forse dividere i collitiganti, ricevette un colpo di
coltello dal suddetto vignanellese, e nel giro di tre ore morì.
Il fattaccio è narrato in poche righe.
Siamo a Vallerano, o meglio, in Vallerano, come se dicessimo in Francia,
o in Germania. In una bettola un ragazzo di Vignanello se la prende con
un Valleranese, un suo pari. L’oste interviene per separarli e
rimedia una coltellata che in poche ore lo porta alla morte.
Immaginiamoci la reazione dei Valleranesi, e infatti…
L’uccisore, benché inseguito,
saltò una rupe, e fortunatamente salvossi. Presi da una passione di
vendetta gli astanti valleranesi, trucidarono sul momento Antonio
Pacelli vignanellese, che se ne stava in un canto di essa bettola
con un pezzo di pane in mano.
Il ragazzo fugge e riesce a far perdere
le tracce, i Valleranesi infuriati se la prendono con il primo che
capita, così il povero Antonio Pacelli che non c’entrava niente, l’unico
di cui ci viene detto il nome, ci lascia la pelle. Ma non finisce qui…
Non sazii di un omicidio si
barbaro, postosi tutto il valleranese popolo in arme, stimolati dal
Capitan Vincenzo Janni, che dissegli “quanti vignanellesi trovate
uccidete”. Onde come forsennati scorrevano per ogni dove per
sacrificar vittime al cieco loro furore; ma ogni loro disegno andò a
vuoto perché chi con la fuga, altri con l’armi si aprirono la
strada, ed altre persone di qualità si rifugiarono in case
particolari; che fu per Vallerano gran sorte, come in breve vedremo.
Non contenti di aver ammazzato un
innocente, aizzati dal capitano Janni, i Valleranesi si lanciano alla
ricerca di altre vittime da sacrificare, ma i Vignanellesi, chi
scappando, chi difendendosi e chi trovando rifugio, riescono a salvarsi.
Da notare come si parli di popoli e di arme come se si
trattasse di una nazione e di una guerra vera e propria. Ma la notizia
arriva a Vignanello…
Intésasi ben tosto in Vignanello
la funesta notizia, che raccolto parte del popolo più coraggioso
portossi di volo con tamburo battente per castigar di Vallerano
l’insolente attentato; ma che? All’anticipato strepito, tutti si
rinserrarono nelle case loro come timidi conigli alle proprie tane,
né si credevano sicuri benché inaccessibile fosse agli assediatori
l’ingresso di quel Paese, onde non riuscendogli vendicare in quelli
la ricevuta offesa si diedero ad incendiar l’osteria ed i fienili di
essi in vista degli assediati medesimi, che non fu piccolo il danno.
Saputo il fattaccio i Vignanellesi non
perdono tempo, radunano una truppa di valorosi e con tanto di tamburo
battente si portano a Vallerano per vendicare il vile attentato. I
Valleranesi si nascondono, si chiudono nelle loro case confidando nella
inaccessibilità del centro storico, ma il nemico ne approfitta per
incendiare l’osteria e dei fienili, facendo non poco danno.
Non si cessò punto col riposo
della notte al popolo di Vignanello il sitibondo furore, e anzi gli
accrebbe a segno che all’aurora del nuovo giorno spedirono
esploratori per osservare le mosse dei Valleranesi, quali per tre
giorni continui nessuno uscì le patrie porte, tanto era il timore di
quella gente, altrettanto viva quanto maligna. La rea proposizione
del Capitan Janni avea troppo ferita la fantasia a questo popolo
che, oltre l’innata antipatia, non potea digirire l’oltraggio
sofferto. Sicché faceagli rondare squadre intorno al paese e
territorio di esso, ma non incontravano altro che mosche e tafani.
Trascorre la notte ma non diminuisce la
rabbia dei Vignanellesi che continuano a fare la ronda attorno a
Vallerano, impedendo di fatto agli abitanti di uscire di casa. Da notare
come vengono apostrofati i Valleranesi e come si ironizza sul fatto che
attorno al paese le squadre incontrassero solo… mosche e tafani.
In questo stato di cose vennero
valorose spedizioni da Canepina e Soriano uniti per demolir
Vallerano, come a tutti antipatico ed odioso. Sarebbesi certamente
seguito in quel tempo che la libertà popolare era male intesa e
scorretta se si aderiva al desiderio delle due prepotenti fazioni.
Si conclude in bellezza, coinvolgendo
anche spedizioni spontanee addirittura da Canepina e Soriano, che si
sarebbero alleate a Vignanello per dare contro ai Valleranesi, ad
ulteriore dimostrazione di quanto fossero a tutti antipatici e odiosi!
La cosa interessante che si può rilevare
in questo scritto è la singolare natura dell’atavica antipatia fra gli
abitanti dei due paesi, antipatia che di fatto non impediva ai
Vignanellesi di frequentare Vallerano in occasione di una festa come
quella della Madonna del Ruscello, ma che poteva scatenare una banale
rissa che veniva presa a pretesto per una battaglia.
Non ci è dato sapere esattamente come si
concluse il fatto d’arme ma il fattaccio che presenterò
fra un mese potrà darci qualche indizio…
31.01.12
'Na fojetta de troppo
di Tiziano V. Severini
Carissimo Puzzoloso,
dopo la tua pubblicazione del fatto d'arme sono andato subito in
archivio parrocchiale alla ricerca di qualche notizia. Eccoli qui i
due poveracci che ci lasciarono le penne quel lontano 11 agosto
1799, uno per separare i due litiganti, l'altro per pagare il prezzo
del sangue versato dall'oste mortalmente ferito.
L'oste era tale Pietro Paesani del compianto
Cesare, che ricevuta una ferita mortale davanti all'entrata della
cella vinaria dell'osteria pubblica in contrada Poggiolo, lasciò i
clienti e la sua botteguccia all'età di 48 anni. Lasciava vedova la
signora Angela Maria Allegrini, figlia del defunto Giuseppe.
Il malcapitato vignanellese era invece Antonio
figlio di Pacello Pacelli, trentacinquenne, che esalò l'anima presso
la casa Zelli Iacobuzzi, che si trovava fuori la porta orientale di
Vallerano, porta nuova come si chiama oggi. Lasciò vedova la signora
Domenica Olivieri figlia di Gaudenzio, vignanellese anche lei.
Probabilmente a soccorrere il poveraccio sarà la famiglia che darà
alla luce quel Girolamo Zelli Iacobuzzi, primo sindaco di Vallerano
Italiana.
L'osteria del Poggiolo, pubblica, si trovava dove
ora è l'attuale comune e farmacia, era davanti alla cantina della
Compagnia del Sacramento, all'ospedale di Santa Lucia e vicino all'
"arboreto" proprio dei Zelli Iacobuzzi.
Entrambe le buonanime furono seppelite dalla
Compagnia di San Giovanni Decollato nella Chiesa di Sant'Andrea
Apostolo, costruita da appena 48 anni. Pochissimi erano i seppelliti
nella chiesa di Sant'Andrea, per lo più ecclesiastici e richiedenti,
gli altri venivano affidati al cavallo bianco di San Vittore, che
avrebbe trascinato il loro spirito fino alla Divina Giustizia.
Ita est, Tiziano Valerio Severini.
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