Ermeneutica del Puzzoloso

 

Puzzoloso. Chi era costui?... Siamo puzzolosi o caporali?... Meglio una vita da gallina o una notte da puzzoloso?...

Forse non ci sono risposte a questi interrogativi, ma si può provare a dare un’idea di cosa si intenda a Vignanello per puzzoloso. Partiamo subito dai risultati di un rapido sondaggio effettuato tra compaesani di varia estrazione. Alcuni lo chiamano puzzoloso, altri puzzolone, ma tutti sono concordi su un fatto: è un animale selvatico  non meglio identificato che si aggira per le campagne,  facendo strage di pollame vario (pollastri, billi, galline, faraone, pollastrelle, pucini, paperi) ed altro bestiame di medio-piccola stazza, generando isterismi e bestemmie tra villani che si rechino all’alba sul luogo del misfatto, rigorosamente avvenuto nottetempo.

Ma non mancano testimonianze relative a fugaci e repentini avvistamenti diurni di questo mustelide (o forse no) che ha ispirato varie identificazioni: E’ una faina?... o forse una martora.?.. ma no! E’ una donnola…o una puzzola?... chissà? L’arcano rimane.

Ed è in virtù di questa sua indole burlescamente devastatrice (sovente uccide la preda senza gustarne le carni, lasciando gallinacei esanimi, decapitati per motivi ancora al vaglio di etologi di fama internazionale) che si ritiene che il suo nome sia divenuto sinonimo di briccone, ilare dannaiolo, indisponente, strafottente, rompicoglioni.

 

A testimonianza di ciò alcuni tra i più anziani ricordano tale Alfonso Buzi, detto per l’appunto i’ ppuzzoloso, in quanto, nei fumosi pomeriggi trascorsi al bar di Rocchietto, non appena due o più avventori avevano l’ardire di cimentarsi nelle più classiche dispute da bar (boccetta, tressette, briscola) immancabilmente esordiva con frasi saccenti del tipo : “mmm... aggià lo so IO come va a finì… ma no’ lo dico” mettendo zizzania fra compagni dispensando consigli... “Ma no..!! dovei giocà l’asso!!” facendo scoprire le tattiche di gioco agli avversari, oppure “Ma du va’? Nun si bbono a giocà!…”. Potete ben capire quali potessero essere le conseguenze di tali ingerenze: insulti, buffetti, scappellotti, fino alle più truculente zuffe.

L’unica persona la cui tempra permetteva di tener testa a cotanta insolenza era ‘a pora Argia, al secolo Argia Calvanelli, icona della saggezza vignanellese, ancora oggi citata dalle moderne generazioni per la sue celebri sentenze, che non sto qui a ripetere. A volte, infatti, sottolineava beffardamente l’ingresso nel locale di Ufemia, moglie di Alfonso i’ ppuzzoloso, intonando, rivolta al consorte, le note di Ufemia, celebre motivo degli anni ’50: “Ufemia caraaaa.. se l’amor non è chimera quanti baci questa seraaaa…” (di Poletto – Mendes, eseguita tra gli altri da Natalino Otto, Renato Carosone e Bruno Rosettani).

 

Ho divagato troppo, al di là delle possibili variazioni sul tema, sarò lieto, visto il velo di mistero che tuttora avvolge le gesta e la natura di questa bestia dantesca, di ricevere qualsiasi tipo di informazione in proposito, allo scopo di delinearne sempre più accuratamente le caratteristiche.

 

Scrivete, scrivete, scrivete!