30.10.11 I guardiani del prato: Cencio e Gino di Lillo Pacelli
Il fatto paesano, sempre realmente accaduto, che questa volta racconteremo, è ambientato proprio in uno dei luoghi che abbiamo appena sfiorato, parlando della raccolta e della lavorazione delle nocciole: il prato. E’ accaduto in località Sudano, nell’aia di un terreno situato proprio al limite estremo di questa contrada, nei primissimi anni ’20. Due fratelli, che coltivavano in comune tutti i terreni di loro proprietà, Fernando e Luigi Pacelli, i fratelli Bussanti, avevano deciso per quell’anno di essiccare le nocciole prodotte nell’appezzamento di terreno di loro proprietà in cui c’erano tutte le comodità necessarie alla lavorazione del prodotto: un bel casale a due piani con annesso fienile soprastante, tuttora esistente anche se piuttosto malridotto; una grande aia lastricata (l’ara ‘e lastrico) e un largo spazio coperto di erba e ben battuto (i’ pprato), per spandere al sole le nocchje da essiccare. Un altro ulteriore vantaggio di questo posto, era quello di trovarsi nelle immediate vicinanze di due estesi noccioleti dei due fratelli, per cui era molto breve il percorso da compiere con gli asini con i carichi di balle piene di nocciole da trasportare. Tutto era quindi favorevole, ma c’era un inconveniente non trascurabile: quasi ogni anno, in passato, i’ pprato, durante la lavorazione del prodotto, era stato visitato da uno o più ladri, per cui una certa quantità di nocchje aveva preso il volo. I Bussanti per quell’anno, avevano pensato di correre ai ripari per evitare il ripetersi dei furti: avrebbero lasciato a guardia del prato, ciascuno un figlio: Fernando avrebbe lasciato suo figlio Vincenzo (Cencio) e Luigi gli avrebbe affiancato suo figlio Gino, coetaneo: Classe 1909, entrambi Ariete, 17 e 19 aprile. Quando fu il momento e cominciò la raccolta e la spasa delle nocchje sul prato, i due ragazzi presero alloggio in uno stanzone con ampia vista sull’aia, al secondo piano del casale che distava non più di una ventina di metri dall’aia in cui stavano ad essiccare le nocciole. Due volte al giorno, verso l’ora di pranzo e alla sera , quando si smetteva di cogliere, uno dei due fratelli faceva un paio di viaggi co’ ‘a miccia (l’asina) e scaricava sull’aia le nocciole raccolte. Ai due ragazzi erano stati affidati alcuni compiti: spandere le nocciole sull’aia e sul prato; batterle con il rastrello di legno per farle uscire dalla buccia; ammucchiare le bucce vuote e passarle, cioè cercare tra di esse e staccarle, le nocciole che non si erano staccate, sbrocchiate; trasportare con le sdigliatore (le grosse ceste di vimini con due manici) le nocchje sull’aia lastricata per farle seccare meglio; imballare le nocciole quando i loro genitori ritenevano che erano secche; compiere insomma tutte le operazioni necessarie alla buona lavorazione del prodotto. Ma tutte queste operazioni e mansioni affidate ai ragazzi, in realtà lo erano solo a parole e non erano tassative: le avrebbero dovute fare ma entro certi limiti e commisurate alle loro possibilità; anzi, data l’età erano quasi formali, poiché il loro compito specifico e prioritario, era quello di sorvegliare il prato 24 ore su 24 e impedire e scoraggiare con la loro presenza che questo venisse visitato o se questo fosse avvenuto, identificare e smascherare il ‘colpevole’.
Ma veniamo a ciò che accadde quell’anno. Verso la metà di agosto cominciò la raccolta, seguì la spasa delle nocchje sul prato e dopo qualche giorno una certa quantità stavano già sparse sull’aia a seccare. Dopo una settimana, sull’aia c’erano già accatastate alcune balle piene di nocciole secche e molte altre quasi pronte per essere imballate. Cencio e Gino, stando ai fatti, avevano funzionato, infatti l’indesiderato visitatore non si era mai fatto vivo. Di ciò erano molto soddisfatti entrambi, anche perché ‘i grandi’ li elogiavano apertamente. Un pomeriggio, verso le due, i’ ccormo ‘i’ ccallo (proprio durante le ore più calde), avvenne qualcosa. Era l’ora della dormitina per tutti. I due custodi, nella loro stanza, avevano da poco finito di pranzare. Faceva molto caldo e tutto era tranquillo. Sdraiati sulle balle vuote, entrambi cominciarono a sbadigliare e a ccuzzicasse un po’ (a sonnecchiare) e in breve si addormentarono. Dopo un po’ Cencio si svegliò, disturbato da un certo rumore. Drizzò le orecchie, si insospettì, e diede un colpetto a Gino. Anche questo subito si svegliò e tutti e due si misero, immobili sul loro giaciglio, in complice ed attento ascolto. Eh sì!! Era proprio il rumore delle nocchje secche che venivano mosse da qualcuno. Che fare? Era questo il momento di far vedere la loro ‘valentia’. “Guarda prima tu!”, “Vedi prima tu!” Dissero all’unisono, poi contemporaneamente fecero emergere ‘a quota periscopio’ un occhio ciascuno dal davanzale della finestra. Videro un uomo che in ginocchio al margine dell’aia, con un capagno (un cesto di vimini con manico) in mano, con movimenti rapidi stava riempiendo con quello una balletta di nocchje. Dopo aver riempito e vuotato qualche altra capagnata nella balletta, l’individuo se la caricò sulle spalle e sparì tra i filari della vigna. Cencio e Gino rimasero, come si dice, allibiti e senza la forza o il coraggio di attivare un minimo di reazione, qualunque potesse essere. Il misfatto ormai era stato compiuto. Ripresisi, scesero per andare a verificare l’entità del furto. Appena fuori del casale però, un rumore sospetto li fece arrestare. Era lo stesso individuo di poco prima, che inginocchiatosi al margine dell’aia, aveva cominciato a riempire un’altra balletta di nocchje. I due guardiani, non sapendo cosa fare, non trovarono di meglio che acquattarsi immobili in osservazione sotto una vicina pianta di fichi che, bontà sua, provvidenzialmente spandeva i suoi rami penduli fino a sfiorare il terreno. Guardando attentamente, entrambi sgranarono gli occhi. Gino con un filo di voce disse: “Me pare che è ***!”. Annuendo rispose Cencio: “Si, è proprio esso!!”, E mo?”, “ Zitto, nun ce facemo sentì”, “Fermo nun te move, sinnò ce vede!”. *** era un confinante che aveva un casaletto nel terreno vicino, non più lontano di una cinquantina di metri. Il ladro, in men che non si dica, quasi riempì un’altra balletta e se ne andò indisturbato. I due sorveglianti emisero un sospiro di sollievo liberatore. Cencio: “Meno male che nun s’è accorto che stemio ‘nguattati sotto a ‘sta fico!!” Gino: “Porca miseria, si ce vedéa comme facemio!! Sa’ che vergogna!!” Dopo un attimo di silenzio, ma diremmo meglio, di riflessione sul da farsi, Gino esordì: “E mo chi li sente quanno vengono su, mi’ pa’ e tu’ pa’!!”. Cencio: “Ah va bene! Ce ‘mmazzono de botte!! Ce fanno neri comme i ttizzi ‘e carbone!! E che gliè dicemo!!”. Questa volta per trovare una risposta all’assillante e problematica domanda, rimasero in silenzio per un bel po’. Alla fine dopo varie proposte, la soluzione migliore, presa di comune accordo, fu quella di rientrare nel casale, mettersi a far finta di dormire, in attesa della burrasca. Verso il tramonto, dopo aver smesso di cogliere, Fernando e Luigi, giunsero sull’aia con la miccia carica di balle piene di nocciole da mettere a seccare. Gettando uno sguardo panoramico sull’aia, da esperti subito notarono l’ammanco. Un attimo e cominciarono a volare le male parole, prima all’indirizzo del ladro e poi dei due sorveglianti beffati, i quali, all’erta come stavano, quando sentirono che le voci minacciose si avvicinavano al loro rifugio, come due furetti infilarono la porta del casale e, in un batter d’occhio, erano già fuori della portata, o gittata che sia, degli arti superiori ed inferiori dei loro padri. Si allontanarono abbastanza per non essere scovati; si imbucarono nella prima capanna in buono stato che trovarono (in quegli anni ce n’erano una in ogni appezzamento di terreno) e, pur senza cena, dopo un po’ si addormentarono. La nottata trascorse tranquilla e i due cugini non soffrirono nemmeno il freddo poiché all’interno del loro ricovero, trovarono, oltre a molto fieno, anche un vecchio pastrano militare, per coprirsi entrambi, pur essendo il mese di agosto. Al mattino, a situazione ormai tranquilla poiché durante la nottata i bollenti spiriti dei due genitori si erano calmati, Cencio e Gino rientrarono alla base per riprendere servizio, ma il loro impegno di sorveglianti non serviva più perché i grandi ormai avevano terminato di raccogliere le nocciole dalle piante, per cui ora la loro attenzione era dedicata unicamente al prato. Prudentemente, però, i due cugini si tennero per quel giorno, fuori della portata dei loro genitori, lavorando a testa bassa, con la coda tra le zampe come due cani bastonati, ma con l’occhio vigile e le orecchie ben tese, pronti a cogliere il benché minimo segnale della ripresa delle ostilità o del cessato allarme. Dai discorsi che sentivano e che si riferivano ai fatti del giorno precedente, capirono che i genitori avevano pensato che i loro ragazzi, ‘i guardiani del prato’, avevano dormito per tutto il pomeriggio, per cui il ladro aveva agito indisturbato. Essi, naturalmente, si guardarono bene anche in seguito, dal riferire come erano andate realmente le cose, sia per non fare brutta figura, sia per non rivelare il nome del ladro, il loro confinante che spesso scherzava con loro ed era ‘amico’ dei genitori. Resero pubblica l’esatta versione dei fatti, soltanto qualche anno più tardi, quando ormai diventati grandi non avevano più niente da temere, anzi, loro per primi, insieme ai genitori ed altri familiari, risero di quanto era accaduto e il confinante che aveva quel ‘vizietto’, era stato smascherato, perché anche altri che godevano della sua amicizia, l’avevano più di una volta colto in flagrante con le mani nel sacco. Per parecchi anni, molti ‘furtarelli’ di vario genere gli erano andati a buon fine e se l’era cavata, ma, come recita un vecchio adagio del nostro paese: “A chi tanti pali salta, qualcuno sempre gli si ficca in…”. Avrete capito dove!!
Breve postilla astrologica di Vincenzo Pacelli
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