02.02.2012
Il 3 Febbraio, chissà da quanti decenni e secoli si celebra nel mondo cristiano la festa di San Biagio vescovo e martire, protettore, in particolare, della gola. A Vignanello, come in chissà quanti altri paesi, è stato scelto come santo protettore e pertanto è venerato e gode di particolari attenzioni e festeggiamenti. Queste e questi, più o meno solenni, più o meno rumorosi, non sono stati sempre così se andiamo indietro negli anni. Le manifestazioni della ricorrenza, specialmente di questa invernale, se torniamo indietro di una cinquantina di anni, erano limitate alle messe, quasi solenni ed alla canonica e quasi comandata unzione della gola. Andando indietro ancora un po’ di più, nei primi decenni del ‘900, il tutto era quasi circoscritto alla sola unzione della gola. Ricordo ancora quanto mi raccontava mio padre Vincenzo (Cencio ‘e Bbussanti), classe 1909, di come era per loro i’ ggiorno ‘e Sammiaggio. Mi diceva che quando lui era bambino, (allora erano considerati bambini fino a dieci/dodici anni), i pochi che erano iscritti e che abitualmente frequentavano, in quella giornata non andavano a scuola e per tutta la mattinata non facevano altro che andare a messa, in tutte le chiese e ungere ogni volta la gola. Mi raccontava che in quegli anni a Vignanello c’erano, in certi periodi, fino a dieci e più preti, fissi, che si alternavano nella celebrazioni delle messe nei vari altari della Collegiata, di San Giovanni, di San Sebastiano, dell’Oratorio e di San Rocco. Perciò per assistere alle funzioni religiose e lucrare l’unzione della gola, non c’era che l’imbarazzo della scelta della chiesa e dell’orario. Mi diceva ancora, che tra loro ragazzi di allora, ogni anno quasi si ingaggiava una gara a chi riusciva ad ungere la gola più volte. Si divertiva tantissimo quando mi diceva che per tutta la mattinata, non facevano altro che spostarsi di corsa da una chiesa all’altra per farsi ungere. Quando in una chiesa c’erano in fila molti fedeli, loro bambini erano molto contenti perché se riuscivano ad infilarsi tra i primi, dopo la prima unzione si rimettevano in fila per un’altra unzione. Insomma i più lesti, riuscivano a collezionare anche nove o dieci unzioni. Altri tempi! Ora da un po’ d’anni il giorno della festa del Santo Patrono è stato inserito per legge tra le giornate festive dei pubblici uffici e delle Scuole. Altro ricordo che mi sovviene, sempre riguardo a questa giornata, è legato agli anni in cui ho cominciato ad insegnare a Vignanello, negli anni Sessanta e Settanta, prima come supplente o incaricato e poi come titolare. In quegli anni, il giorno della festa di San Biagio, non era legalmente riconosciuto come festivo. Pertanto ogni anno nella mattinata del 2 febbraio, da parte di molti alunni, era un continuo domandare a noi insegnanti: “Mae’, domani c’è o non c’è lezione? E’ festa?” Noi tutti, un po’ imbarazzati, non potevamo dir loro che era festa perché non era vero, ma non volevamo deludere le loro aspettative perché avrebbero desiderato una risposta affermativa. Allora chi in un modo chi in un altro aggiravamo la domanda e ogni bambino, con l’ausilio dei genitori, si comportava come credeva opportuno. Così tutti gli insegnanti, tranne uno, Vincenzo Pacelli, allora meglio conosciuto da tutti come De Gasperi, in onore al suo credo politico ed alla sua verosimile somiglianza con il grande statista italiano Alcide De Gasperi. Lui aveva un modo tutto suo per risolvere la questione. Vincenzo, il 2 febbraio, quando il primo bambino gli chiedeva se l’indomani ci sarebbe stata lezione, invariabilmente dava questa risposta, declamata lentamente, in dialetto vignanellese, cosa che non era abituale per lui: “Dimane è Sammiaggio, se va a ogne ‘a gola!”. Se anche altri bambini, pure se già stavano in fila per uscire, dopo il suono della campanella, reiteravano la domanda, la risposta era sempre: “Dimane è Sammiaggio e se va a ogne ‘a gola”. Punto. Risultato: al mattino successivo, noi altri insegnanti avevamo chi due, chi tre, chi quattro alunni e stavamo in classe fino al completamento del normale orario di lezione. Vincenzo invece, che aveva l’aula vuota, verso le nove e mezzo, passando davanti alle nostre aule aperte, senza malizia, come era suo costume, quasi scherzando e un po’ in dialetto, sorridendo ci diceva: “Oggi a scola i ffigliarelli mii nun ce so venuti nissuno perché so’ ‘nnati a ògne ‘a gola. Adesso ce vado in ‘ngò!”
Lillo Pacelli
2 Febbraio 2012
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