L’isola che non c’è E ti prendono in giro se continui a cercarla, E. Bennato
18.02.11 Ho avuto la fortuna di conoscere Don Luigi negli anni ’70 dopo aver letto “Lettera a una professoressa” degli allievi di Don Milani un prete scomodo, e l’ho subito collegato a lui anzi, me lo ha fatto essere straordinariamente simpatico. Qui, per dimostrare una certa analogia di fondo, prendo alcuni pensieri dell’uno, per chiarire la personalità dell’altro, che non ha scritto nulla. Pensieri che si confermano dando una maggiore chiarezza all’orientamento del pensiero del nostro caro “prete di campagna”, come qualche volta lo chiamavo, che trovava calzante ricordando Bernanoux “Diario di un prete di campagna”. Tra noi spesso i riferimenti erano letterari, filosofici, religiosi e soprattutto umani più che sociologici, direi “esistenziali” che andavano alla radice dell’essere uomini e poi cristiani in quanto uomini. L’amore per gli animali, credo comunque che ci unisse ancor di più di ogni altra cosa, insieme agli ultimi quelli che non contano per i più nulla. Mi preme subito sottolineare l’importanza che Don Luigi dava ai “mezzi di comunicazione” dai giornali alla radio, che volle subito, appena fu possibile utilizzare come mezzo di “evangelizzazione”. Arrivare in ogni casa era fondamentale per una presa di coscienza della realtà di tutti i giorni e del nostro posto nella società. Ad un commento evangelico un giorno ebbe a dire: “se dipendesse da me, toglierei San Biagio e metterei la foto di Freud, il cui approfondimento vi farebbe comprendere veramente chi siete, così da promuovere in voi un cambiamento. Venite qui in chiesa come a lezione di altruismo ma siete tutti così terribilmente attaccati al denaro e non riuscite a promuovervi. Siete dei ripetenti a vita. Dovrei, come si fa nelle scuole, cacciarvi dopo due anni. Non potete più partecipare ma avete la faccia “tosta” di ripresentarvi ancora battendovi il petto con la mano”. Come Don Milani, relegato in una piccola frazione di
contadini, inveiva contro la Scuola lontana dai problemi reali dei
giovani e della vita e intelligentemente, “intelligere” era il verbo
che più gli si addiceva, guizzava di una straordinaria vivacità e
originalità di pensiero e spesso come il nostro si chiedeva: “E qual
è mai il giornale che scrive per il fine che in teoria gli sarebbe
primario cioè informare o non invece per quello di influenzare in una
direzione”. Da Esperienze
pastorali. Ecco
perché occorre conservare la propria obiettività leggendone più di
uno e informandosi, soffermandosi ad ascoltare la gente, essere
operativi, quasi pragmatici. Più volte sempre nelle chiacchierate
rubate per strada o in sagrestia, cercando di vedersi tra pile di libri
affastellati agli angoli di un tavolo trasformato in scrivania e un
po’ al centro da segnalibri spesso aperti, segnati fino
all’inverosimile da glifi di penna che evidenziavano il concetto che
amava ricordare. Soleva ribadire che: “Quando ci si
affanna a cercare apposta l’occasione pur di infilare la fede nei
discorsi, si mostra d’averne poca, di pensare che la fede sia qualcosa
di artificiale aggiunto alla vita e non invece ‹modo› di vivere e di
pensare”. Da Lettere di
don Lorenzo Milani. Niente
di più vero, riporto da un libro di Pastorale, preso da un commento
scritto a lato nei vivagni, sul Concilio Vaticano II, ed. AVE ROMA 1966,
pag 628. Questo libro me lo aveva prestato e al momento di restituirlo
mi disse che era per me, io ribadii che non ero un prete e lui: “Siamo
tutti chiamati a testimoniare e i laici consacrati dallo Spirito Santo
sono chiamati e istruiti per produrre frutti”.
Infatti,
nel capitolo IV sui “Laici” Don Luigi sottolinea: “Essi hanno diritto di ricevere abbondantemente dai sacri pastori i beni
spirituali della Chiesa, soprattutto gli aiuti della parola di Dio e dei
sacramenti”, e di manifestare le loro necessità e i loro desideri con
quella libertà e fiducia che si addice ai figli di Dio e ai fratelli in
Cristo”.
Le
frasi sottolineate sono: “veglino sopra le nostre anime con gioia”
e questo pensiero ha contraddistinto la vita e l’agire del nostro
pastore evidenziando anche l’aspetto collaborativo, poiché grazie ai
laici “possono giudicare con più chiarezza e opportunità
sia in cose spirituali che temporali”.
Il suo slancio verso l’Altro esprimeva un atto d’amore che non aveva
paura di dichiarare “non di un amore sentimentale ma duro e
concreto”. Ancora una consonanza con Don Milani quando dichiara:
“Il desiderio di esprimere il nostro pensiero e di capire
il pensiero altrui è l’amore. Per cui essere maestro, essere
sacerdote, essere artista, essere amante e essere amato sono in pratica
la stessa cosa”. Lettere pastorali di Don Milani. “Certo la volontà di Dio è questa, che vi santifichiate” ebbe a dirmi un giorno. Le sue parole gettatemi addosso con grande ilarità mi scuotevano, anche perché si era aperto per me un periodo di grande frequentazione della sua sagrestia e di grande simpatia che suggellava la nascita di un’amicizia. Oramai la parrocchia di Vignanello era per me un appuntamento settimanale per il fatto che alcuni giovani sempre sotto la sua spinta avevano aperto un Cineforum ed io mi occupavo della proiezione pomeridiana e successiva discussione, con un buon afflusso di persone dalle 30 alle 40, nonostante scegliessi spesso film molto impegnativi sui temi ultimi della nostra esistenza, come sono quelli di Ingmar Bergman. Cercherò attraverso i vari capitoli del testo suddetto, poiché appartenuto e meditato da lui, un po’ arbitrariamente di ricostruire quello che rappresenta per me il suo testamento spirituale, in quanto evidenzia ciò che maggiormente Don Luigi ha condiviso del Concilio Vaticano II, sottolineandolo, talvolta più in neretto con chiose ai margini che riporterò per intero, e sperando di fare cosa gradita a chi non lo conoscesse ancora. Nel cap. II “Il popolo di Dio”, trovo sottolineato: “I fedeli... arricchiti di una speciale forza dallo Spirito Santo... sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere con la parola e con l’opera la fede come veri testimoni di Cristo” testimonia come l’impegno che ogni cristiano dovrebbe avere nel farsi testimone con la propria parola e comportamento della sua appartenenza alla sua fede religiosa. Una parola chiave di Don Luigi è l’impegno nel sociale per operare cambiamenti sostanziali. Al cap. V “Universale vocazione alla Santità nella Chiesa” dove ricorre il richiamo “alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità”. Ancora riporto da una sua nota a margine, ciò che riguarda il celibato visto: “non come una astensione “raggrinzosa” e astiosa ma un’apertura e una donazione di servizio, la più generosa possibile”. Ribadisce ancora questa annotazione l’apertura all’altro che direi è veramente il cardine portante della sua filosofia di vita umana e ancor di più se inserita in un progetto che contempli una trascendenza senza ombra di dubbi. Nel cap. VI sui “Religiosi” , viene evidenziato il “progredire gioiosi nella via della carità... consacrandosi più intimamente al servizio di Dio... da ricco che Egli era si fece povero”. “Poiché infatti il Popolo di Dio non ha qui città permanente, ma va in cerca della futura... preannunzia la futura resurrezione e la gloria del Regno celeste... lo stato religioso più fedelmente imita e continuamente rappresenta nella Chiesa la forma di vita, che il Figlio di Dio abbracciò...” Qui ancora una volta non solo si evince la sua fede concreta ma anche la speranza concreta. A fine capitolo trovo molto sottolineato: “Né pensi alcuno che i religiosi con la loro consacrazione diventino estranei agli uomini e inutili nella città terrestre. Poiché anche se talora non assistono direttamente i loro contemporanei, li tengono tuttavia presenti in modo più profondo con la tenerezza di Cristo...” Qui ravvedo chiaramente una sottesa empatia con l’altro e ancora il suo impegno attivo nella vita di tutti giorni. Infatti nelle pagine precedenti trovo molto evidenziato: “Di qui ne deriva il dovere di lavorare, secondo le forze e il genere della propria vocazione, sia con la preghiera, sia anche con l’opera attiva, a radicare e consolidare negli animi il Regno di Cristo.” Non so quanti che pure lo frequentavano avessero compreso fino in fondo il carisma che voleva sollecitare in loro e come lui stesso ne fosse animato interiormente come da una forza straordinaria. Dal
cap. VIII “La Beata Maria Vergine Madre di Dio nel mistero di
Cristo e della Chiesa”. “I
fedeli a sua volta si ricordino che la vera devozione non consiste né
in uno sterile e passeggero sentimentalismo, né in una certa quale vana
credulità, ma bensì procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati
a riconoscere la preminenza della Madre di Dio, e siamo spinti al
filiale amore verso la Madre nostra e all’imitazione delle sue virtù”. Sempre
il sentimentalismo lo faceva sorridere, ironizzava con piccole frasi di
scherno se gli si raccontava una storia d’amore, aveva trovato la
fonte e “non poteva perdersi in piccoli ruscelli” mi disse un
giorno. Ribadii che siamo umani e lui: “certamente ma chiamati a
superarci in una costante e continua ricerca dentro di sé”. Nella
sezione del testo che ho letteralmente sfogliato tutto, che riguarda “La
Rivelazione” al cap. III mette in risalto:“Poiché
Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini e alla maniera
umana, l’interprete per capire ciò che Egli ha voluto comunicarci
deve ricercare con attenzione, che cosa gli
agiografi abbiano inteso significare e a Dio è piaciuto manifestare con
le loro parole”. Basterebbe questo a comprendere l’attenzione che Don Luigi metteva nel suo insegnamento pastorale, fare chiarezza, e riporto una sua chiosa a margine come ulteriore esemplificazione “non quello che ha detto (senso letterale) ma quello che ha inteso dire (senso letterario)”. Comprendere l’intenzione dell’Altissimo, come lo chiama Francesco, è per noi “necessità assoluta per una adesione salvifica” mi confidò un giorno “altrimenti ci perdiamo in una estenuante ricerca letterale che ha un suo valore ma non ci dà quella spinta che ogni cristiano dovrebbe avere”. Nel cap. IV “Il Vecchio Testamento” trascrivo i suoi appunti: “La storia della salvezza è realtà unitaria. Iddio ha ispirato il V.T. ed il N.T. ed ha disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio (la quercia è nascosta nella ghianda) e il Vecchio (la ghianda) è rivelata dal Nuovo (la quercia)”. Il richiamo ad Aristotele e quindi Tommaso d’Aquino mi sembra ovvio tra la potenza e l’atto. Ma più spesso lo sentivo agostiniano nella ricerca della verità dentro di sé e allora un giorno lo rimproverai dicendogli che doveva decidersi da che parte stare. Mi rispose: “ambedue mi appartengono, e che tu taglieresti la sinistra perché è meno forte della destra. La filosofia come le “ancilla Domini” deve servirci a comprendere, la realtà nella sua complessità, non puoi tradurla in una sola lingua senza tradirla, devi avvalerti di quei pensatori che lo stesso problema hanno dibattuto, per arrivare a una tua verità pur limitata che sia”. Steso di suo pugno riporto “La cultura laica e neoliberista è all’angolo, la cultura marxista oramai puzza di cadavere... urge l’inserimento di una cultura cristiana” trovo questa affermazione nella pagina che parla della “Chiesa nel mondo contemporaneo”. Segue “La condizione dell’uomo nel
mondo contemporaneo” ricordo che sono appunti a margine
degli anni ’70, ma proprio per questo si manifesta la modernità del
pensiero di Don Luigi e il suo assenso testimoniato dalla condivisione
del testo: “Immersi in così
contrastanti condizioni, moltissimi nostri contemporanei non sono in
grado di identificare
realmente i valori perenni e armonizzarli dovutamente
con quelli che man mano si scoprono”. Grande apertura verso il nuovo ritrovato e altra
riflessione conseguente: “A
differenza dei tempi passati, negare Dio o la religione o farne
praticamente a meno, non è più un fatto insolito individuale... che
viene presentato come esigenza del progresso scientifico e di un nuovo
tipo di umanesimo” aggiunge a penna... “il
passo decisivo determinante di fatto la crisi religiosa”.
Sottolinea ribadendo il suo ancoraggio fondante in Cristo sottolineando:
“La Chiesa sa che
sotto tutti questi mutamenti c’é qualcosa che non cambia ... e
afferma... realtà immutabili che trovano il loro ultimo fondamento in
Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi, e nei secoli”.
Altro aspetto caro a Don Luigi lo trovo sottolineato ne “La promozione del progresso della cultura”, vedrei qui la spinta per la nascita di Radio Domani per “essere artefici e autori della cultura della propria comunità” “promuovere il dinamismo e l’espansione... senza che si perda la viva fedeltà verso il patrimonio della tradizione”. La cultura, ancora di suo pugno: “oggi spesso è veicolo di ideologie che strumentalizzano con una egemonizzazione politica soffocante”. Lo scriveva al tempo del Concilio mai così preveggente poteva essere, qui lascio la parola ad altri che hanno ben sottolineato il suo impegno sociale e politico direi. Un altro aspetto viene rilevato nel capitolo “Il ministero dei presbiteri”, dove chiama “osmosi generazionale” il colloquio tra i giovani e i vecchi, e ancora sottolinea sul testo “pratichino la beneficenza e la comunità di beni... può trattarsi di coabitazione, lì dove è possibile, oppure di una mensa comune, o almeno di frequenti e periodici raduni” e di seguito scrive: “Civita Castellana... collaborazione tre giorni vocazionali per tutti i giovani della Vicaria”... “le giornate di ritiro siano vere giornate di silenzio e di confronto”... “centri di cultura umana e religiosa in ogni paese”. Era sempre molto attento alla diffusione del messaggio, allo studio animato dal confronto nel dialogo dando enorme importanza anche al silenzio come veicolo formativo di ascolto di se stessi, prima ancora che degli altri. Infine trovo a margine scritto, e ciò mi rincuora non poco poiché è accaduto per lui proprio quanto si aspettava nell’ultima età dove sembrava burlarsi della vita che oramai lasciava posto all’altra che aveva tesaurizzato come poteva sempre operoso e instancabile.
“Non c’è modo migliore che vivere gli anni della terza età non lontani dai luoghi in cui si esercitò il ministero”. La scritta è degli anni ’70 e questo non può che farmi piacere, anche se nel frattempo anche l’ultima sorella a lui più vicina, Rosa l’aveva lasciato, mangiava con gli anziani, erano la sua famiglia da quando gli aveva dato ospitalità in una casa per loro, non amava andare a pranzo presso privati, anche amici, il suo senso comunitario credo gli impedisse di dedicarsi solo a qualcuno in particolare. Dimenticavo infine di dirvi perché ho aperto con le parole di una canzone di Bennato. Don Luigi la trasmetteva continuamente cantandoci sopra, quasi appagato della follia che la stessa suggeriva, le strofe riportate esprimono, a mio parere, la sua filosofia che consisteva in un atteggiamento di ricerca che deve essere sempre presente in ogni uomo, che deve annullare qualsiasi rinuncia, magari dettata da persone più realiste che finiscono per trovarsi in un universo ristretto, dove viene meno anche la speranza, e in questo, ammoniva, consiste la vera follia, quella di darsi per vinti. Mi piace chiudere così questi aneliti di vita solerte espressa in molti anni di servizio pastorale, ancora una volta con le parole di Don Milani: “La grandezza di una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta e neanche le possibilità di fare il bene si misurano sul numero dei parrocchiani”, potrebbe essere il suo più vero epitaffio tombale. Spero di non averti troppo deluso mio caro inafferrabile prete.
N.B. Sottolineato
è riportato il testo che don Luigi ha sottolineato,
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