Febbraio 2012

 

CURIOSITA’ GIORNALISTICHE

di Tommaso Marini

 

            Desidero, questo mese,  parlarvi di tutt’altre cose !  Sono certo che ne avrete abbastanza dei personaggi vignanellesi, come dei sonetti e delle poesie di Trilussa.

            Allora cercherò di destare un po’ d’ilarità parlandovi di notizie curiose apparse sui giornali, alcune certamente conosciute perché presenti su quotidiani nazionali che leggo, abitualmente, “on line”, altre sicuramente ignorate perché “attinte”, si da quotidiani, ma tanto, tanto vecchi.

 

            La prima curiosità compariva sul “Il Messaggero” di Roma di domenica 18 gennaio 1885.

Anno  VII  -  N.  18              Il sole nasce alle ore  7 e 26’ 

           

            Al fianco di sinistra del titolo di testata era scritto:  “Chi vuole abbonarsi senza il disturbo di scrivere e di impostare la lettera si rivolga all’ufficio postale di qualunque paese, il quale penserà a ogni cosa”.

            Al fianco di destra del titolo di testata era scritto:  “Un numero in tutta Italia costa UN SOLDO. – Un numero arretrato costa egualmente.  Qualunque abbonato che abbia da reclamare, deve unire alla lettera la fascetta”.

 

            Tra i Fatti di Cronaca, riportanti in seconda edizione, mi ha colpito

 

Il  fatto  di  ieri  in  Borgo

La  fuga  della  carrozza  del  conte  Antonelli

( I nobili hanno da sempre attirato le attenzioni del popolo, ma sempre immeritatamente !)

 

            Alle 4 pomeridiane di ieri il conte Antonelli, nepote del celebre cardinale, se ne tornava insieme alla sua signora da una gita a San Pietro con la loro carrozza tirata da due focosi cavalli.

            A fianco del cocchiere stava un ragazzo che solo da pochi giorni il conte aveva preso al suo servizio togliendolo dal Circolo della Sacra Famiglia, e che per la prima volta montava a cassetta.

            La carrozza attraversava al trotto Borgo Nuovo, allorché, in prossimità della Traspontina, i cavalli all’improvviso s’imbizzarrivano, e strappate le redini si lanciavano a precipitosa fuga in direzione di piazza Pia.

            Il conte Antonelli e la moglie, nel parossismo di quel momento, si buttarono giù, e fortuna volle che le la cavassero con delle semplici scalfitture.

            Anche il cocchiere fu lesto a saltare a terra, ed egli pure non ne riportò che leggere contusioni alle gambe.

            Rimase dunque solo a cassetto il ragazzo, che volò via con la carrozza urlando disperatamente e tenendosi a fatica fermo al suo posto.

            In quella corsa forsennata la carrozza investì il carrettino di un macellaio, che si salvò per prodigio, schizzandone fuori un quarto di carne;  poi una botticella che ribaltò, fortunatamente vuota, il conduttore della quale ebbe tempo di mettersi al sicuro.

            Intanto la gente scappava atterrita da ogni parte aumentando con le sue grida il trambusto e il furore dei cavalli, che spingendosi oltre per la nuova strada aperta di fianco a Castel Sant’Angelo, verso i Prati, sarebbero indubbiamente finiti a fiume, se alcuni coraggiosi popolani non li avessero con grave rischio della loro vita affrontati e fermati.

            Erano essi: il facchino di grano Giulio Brancaleone, i carrettieri Ercole Campelli, Davide Perilli, Adriano Brancaleone, Antonio Petri, Natale Caponi, Giovanni Pigliapoco, e lo stuccatore Giovanni Ortensi.

            Nel frattempo il conte, la contessa e il cocchiere venivano assistiti in una vicina farmacia, dove il giovanetto domestico, più morto che vivo dalla paura, andava a raggiungerli;  di là con una vettura si ricondussero poi al loro palazzo in via Tre Cannelle.

            Più tardi ritornava a palazzo anche la carrozza, che aveva sofferto lievi danni, accompagnata da quei valorosi popolani ai quali il mastro di casa del conte diè in compenso due lire e mezza a testa – compenso meschino in verità dopo tana fortuna !

 

 

            La seconda curiosità compariva su “Libero quotidiano.it”  di venerdì 17 febbraio c.a.

 

            Nella rubrica STORIE, era riportata la seguente notizia:

 

Cobra  lo  morde  ai  testicoli.

Amico  non  succhia  il  veleno.

 

Jackson  Scott viene attaccato da un serpente in Tasmania.

Il suo amico si rifiuta di aiutarlo e lo porta in ospedale:

si salva per miracolo.

 

            Il fatto, di per se stravagante, è certamente più unico che raro.  Vorrei che, per un momento, ciascuno di noi si immedesimasse prima nella vittima e poi nell’amico.  Immedesimarsi nella vittima risulta malauguratamente facile: per lui c’è la comprensione di noi tutti !  Vestire i panni dell’amico lo trovo, onestamente, più impegnativo !  L’aiuto che si può prestare in certe circostanze risulta estremamente imbarazzante, pur risultando di vitale importanza.

            In molti avremmo rifiutato l’aiuto e ci saremmo comportati come l’amico di Jackson.  Pochi avrebbero offerto la loro collaborazione ( “de gustibus non disputandum est”, per dirlo alla latina !)

            La circostanza citata mi porta alla mente una barzelletta, di qualche decennio fa, che desidero raccontarvi.

            Teatro dell’evento è un bosco con fitta vegetazione e situato a notevolmente distante da qualunque centro abitato.

            Due esploratori sono in cerca organismi viventi del sottobosco e camminano carponi smuovendo foglie, arbusti e pietre disseminate in quell’area.

            Improvvisamente uno dei due, colto da impellente necessità fisiologiche, si allontana dal compagno ed inizia ad urinare, restando inginocchiato a terra.

            In quel momento ed in quella posizione non riesce ad anticipare lo scatto di una vipera, nascosta sotto una pietra, che sollevandosi da terra spaventata, morde l’uomo proprio sul glande.

            Potete certo immaginare lo spavento provato e, soprattutto, la preoccupazione per quel velenoso morso che poteva costargli la vita.

            L’uomo chiama l’amico e, in modo concitato, chiede l’aiuto ed l’assistenza del caso.  L’amico corre velocemente in soccorso ma, quando viene informato del fatto, rimane interdetto. “Cosa posso fare ?” chiede al malcapitato.   “Non saprei – dice quest’ultimo – prova a leggere le istruzioni sul Manuale di Pronto Soccorso che tengo nello zaino”.

            L’amico, premuroso e solerte, prende il manuale e incomincia a sfogliarlo, dopo i vari tipi di “morso” trova, finalmente: “MORSO  DI  VIPERA”.

 

            Il Manuale consiglia di tenere calmo l’infortunato per evitare una più rapida circolazione sanguigna, di iniettare subito una fiale di siero antivipera, suggerisce di legare “a monte” l’organo interessato e obbliga il trasporto immediato nel più vicino posto di Pronto Soccorso.

            Segue  un  P.S. Importante: “Nel caso di assoluta impossibilità ad effettuare quanto indicato, comportarsi nel modo seguente: Incidere con un coltello i fori di entrata dovuti al morso e succhiare, in modo energico, l’organo nel punto di incisione sputando poi in veleno fuoriuscito”.

            L’amico del malcapitato esploratore si trovò nella stessa situazione dell’amico di Jackson (o della nostra se avevamo in precedenza deciso di indossare i suoi panni).

            Valutò che non sarebbe riuscito a calmare l’amico, considerò che non aveva il siero antivipera e che non avrebbe potuto trasportarlo in breve tempo al Pronto Soccorso e decise, inoltre, che non avrebbe certamente “succhiato” l’organo inciso.

            L’unica cosa possibile era quella di “legare l’organo a monte” per evitare la contaminazione del circolo sanguigno, accortezza che si accinse ad eseguire scrupolosamente. 

            Poi, quando l’amico gli chiese: “Cosa ancora c’era scritto sul manuale”,  l’amico, cercando di sfuggire il suo sguardo, rispose: “Che te tocca morì !”

 

 

            Ciao a presto

 

Vignanello, li 24 febbraio 2012

                                                                                           Tommaso  Marini