CARLO ALBERTO SALUSTRI (TRILUSSA)

Biografia: la vita e le opere

 

            Carlo Alberto Salustri nasce a Roma, al quarto piano di Via del Babbuino 114, il 26 ottobre 1871. Il padre, Vincenzo, è un cameriere nativo di Albano; la madre, Carlotta Poldi, è bolognese.

            Nel 1872 muore per difterite la sorella Isabella di tre anni. Nel 1874 muore il padre, e la famiglia deve trasferirsi prima a Via Ripetta 22, poi a Piazza di Pietra 31, al quinto piano di palazzo dei Cinque (oggi Palazzo Lazzaroni): viene accolta dal marchese Ermenegildo dei Cinque Quintili, padrino di battesimo di Carlo.

            La madre, per vivere, fa la sarta. Dal 1880 al 1886 frequenta le elementari al Collegio San Giuseppe, poi all’Angelo Mai di Via degli Zingari.

            Carlo non è un buon scolaro, e ai libri preferisce il passeggio a Piazza di Spagna. Ripete due anni. Filippo Chiappino, poeta vernacolo sull’orma del Belli, lo esorta invano a conseguire la licenza tecnica.

            La scuola non era stata per Carlo occasione troppo feconda di letture, se si esclude qualche favola di Luigi Fiacchi letta con un certo interesse. Carlo legge l’antologia del Belli che l’editore Perino ha pubblicato nel 1885 desumendola dalla scorrettissima e “censurata” edizione Salvucci.

            Legge i sonetti romaneschi di Giggi Zanazzo, che presso Perino ha fondato e dirige il foglio di folklore dialettale “Il Rugantino”. Sul n. 7 de “Il Rugantino”, il 30 ottobre 1887, Zanazzo gli pubblica il primo sonetto (L’invenzione della stampa).

            Carlo, che ha assunto lo pseudonimo-anagramma di Trilussa, inizia così la sua collaborazione ai giornali romani, che lo vedrà presente ne “Il Rugantino”, nel “Capitan Fracassa”, nel “Don Chisciotte”, nel “Messaggero”, nel “Travaso delle Idee”.

            Su “Il Rugantino” pubblica Versi e Stelle, madrigali di stampo zanazziano in onore di venti belle donne, raccolti poi in un volume con dedica allo stesso Zanazzo (Stelle de Roma, Cerroni & Solaro, Roma 1889). Per questo volume il Chiappino, “purista” vernacolo e autore di un rigoroso glossario romanesco, lo attacca accusandolo di ignorare il vero dialetto trasteverino.

            Nel 1890 e nel 1891 compila due almanacchi romaneschi (Er mago de Borgo), in cui inserisce molti sonetti omessi nell’edizione mondadoriana.

            Dal 1895 al 1912 vive a Trastevere, prima in piazza Piscinula, poi, in via della Longarina. Nel 1895 pubblica presso l’editore Voghera Quaranta sonetti, illustrati da Gandolin. Nel 1896 escono presso Folchetto Altri sonetti.

            Nel 1901 Voghera gli pubblica le Favole romanesche e Caffè concerto, nel 1903 Er serrajo.

            Nel 1903 partecipa a Milano al “Torneo dialettale italiano” cimentandosi con Salvatore Di Giacomo. Compie varie tournée con altri poeti dialettali: nel 1901 a Padova, nel 1904 a Brescia, nel 1909 a Ferrara. Gira l’Italia riscuotendo molto successo con i versi che lui stesso declama.

            Trilussa è famoso. Scopre una ragazza trasteverina (il suo grande amore) e la lancia come stella del cinema con il nome di Leda Gys. Nel 1914, forse per seguirla, si reca in Tournée in Egitto. Ora vive in via Maria Adelaide, in uno degli studi fin-de-siècle ideati da Hermann Corrodi, tra animali impagliati, cianfrusaglie esotiche e bizzarrie di ogni sorta.

            Nel 1918 escono Le finzioni della vita, nel 1919 Lupi e agnelli, nel 1920 Le favole.

            Nel 1922 Mondadori inizia la pubblicazione sistematica di Trilussa nelle raccolte che saranno definitive. Ora vive discretamente grazie ai suoi versi e gode la fama facile del salotto. Il suo entourage intellettuale non è tra i più aperti: non frequenta Pirandello né la Deledda, che vivono a Roma; con Pascarella non intrattiene rapporti cordiali; al caffè Aragno preferisce l’osteria; veste con l’eleganza vistosa del provinciale, cravatte impossibili e baffi troppo curati.

            Nel 1924 si reca in tournée nel Sudamerica.

            Nel 1927 Asvero Granelli gli pubblica 23 favole che intitola Favole fasciste. Trilussa si rifiuta sempre di prendere la tessera fascista. Tuttavia a chi nel dopoguerra lo definisce “antifascista”, risponde: “Non è esatto. Io non sono stato fascista”.

            Sempre nel 1927 pubblica in prosa, Picchiabbò ossia La moje der ciambellano. Presso Mondatori escono La gente (1927), Libro N. 9 (1929) e La porchetta bianca (1930).

            Scrive testi per Fregoli e Petrolini, pranza con Lina Cavalieri. Ma nonostante le collaborazioni è assillato da problemi economici.

            Il 1932 è l’anno di Giove e le bestie, presso Mondadori, che nel 1934 pubblica Cento favole e nel 1935 Libro muto e Cento apologhi.

            Nel 1935 Silvio D’Amico gli dedica un acuto profilo critico.

            Nel 1937 escono Duecento sonetti (Mondatori), nel 1938 Lo specchio e altre poesie, nel 1939 La Sincerità e altre fiabe nove e antiche. Nel 1944 esce l’ultima sua raccolta, Acqua e vino.

            Le condizioni economiche di Trilussa sono sempre modeste. La salute è precaria. Soffre d’asma, non sopporta visite lunghe, ha rinunciato anche al diletto bicchiere di Frascati. Passeggia sempre meno in una Roma ormai diversa da quella che tanto aveva importato alla genesi della sua poesia. Vive sempre con la fedele Rosa Tomei, che da tempo gli è governante, segretaria, infermiera, con fedeltà e devozione commoventi.

            Sempre più estraneo a quanto accade fuori di lui nella vita sociale e letteraria, aspetta la realizzazione di un vecchio desiderio: la raccolta in un solo volume delle sue poesie, cui Pietro Pancrazi attende, e che uscirà postuma, nel 1951, per i “Classici” Mondatori.

            Il 1° dicembre 1950 Luigi Einaudi lo nomina senatore a vita per “altissimi meriti nel campo letterario e artistico”. Alla notizia esclama sorridendo alla fedele Rosa: “Semo ricchi”.

            Venti giorni dopo, il 21 dicembre, si spegne.

 

(Da Trilussa Poesie scelte Vol. I pagg. 12-24. Oscar Mondatori. Trilussa: la vita e le opere).

  

CURIOSITA’

             Malato da tempo e presago della fine imminente, ma con immutata ironia, così commentò la nomina ricevuta dal Presidente Luigi Einaudi: “M’hanno nominato senatore a morte.”

            Il ringraziamento per le felicitazioni inviate da tantissimi personaggi importanti, per la nomina attribuitagli dal Capo dello Stato, ricevettero tutte un curioso “si ringrazia” seguito dalla sua firma. Il biglietto venne spiritosamente spedito “post mortem”!

            Trilussa (Carlo Alberto Salustri) è sepolto nello storico Cimitero del Verano in Roma. Sulla sua tomba in marmo è scolpito un libro, sul quale è incisa una sua poesia.

            Trilussa fu padrino di battesimo del giornalista e radiocronista sportivo Sandro Ciotti; è morto lo stesso giorno di un altro grande poeta dialettale romanesco Giuseppe Gioacchino Belli, il 21 dicembre; il papa Giovanni Paolo I, nel 1978 durante un’udienza del mercoledì, ha recitato una toccante poesia di Trilussa.

  

ER DISCORSO DE LA CORONA

 

C’era una vorta un Re così a la mano

ch’annava sempre a piedi come un omo,

senza fanfare, senza maggiordomo,

senza ajutante…; insomma era un Sovrano

che quanno se mischiava fra la gente

pareva quasi che nun fosse gnente.

 

A la Reggia era uguale: immaginate

che nun dava mai feste, e certe vorte

ch’era obbrigato a da’ li pranzi a Corte

je faceva li gnocchi de patate,

perché – pensava – la democrazzia

se basa tutta su l’economia.

 

- Lei me pare ch’è un Re troppo a la bona:

- je diceva spessissimo er Ministro -

e così nun pò annà, cambi reggistro,

se ricordi che porta la Corona,

e er popolo je passa li bajocchi

perché je dia la porvere nell’occhi. –

 

Ma lui nun ce badava: era sincero,

diceva pane ar pane e vino ar vino;

scocciato d’esse er primo cittadino

finiva pe’ regnà soprappensiero,

e in certi casi succedeva spesso

che se strillava “abbasso” da lui stesso.

 

Un giorno che s’apriva er Parlamento

dovette fa un discorso, ma nun lesse

la solita filara de promesse

che se ne vanno come fumo ar vento:

- ‘Sta vorta tanto – disse – nun so’ io

se nu’ je la spiattello a modo mio! –

 

E cominciò: - Signori Deputati!

Credo che su per giù sarete tutti

mezzi somari e mezzi farabutti

come quell’antri che ce so’ già stati,

ma ormai ce séte e basta la parola,

la volontà der popolo è una sola!

 

Conosco bene le vijaccherie

ch’avete fatto per avè ‘sto posto,

e tutte quel’idee che vanno imposto

le banche, le parrocchie e l’osterie…

Ma ormai ce séte, ho detto, e bene o male

rispecchiate er pensiero nazzionale.

 

Dunque forza a la macchina! Er Governo

è pronto a fa’ qualunque umijazzione

purchè je date la soddisfazzione

de fallo restà su tutto l’inverno;

poi verrà chi vorrà: tanto er Paese

se ne strafotte e vive su le spese.

 

Pe’ conto mio nun vojo che un piacere:

che me lassate in pace; in quanto ar resto

fate quer che ve pare: nun protesto,

conosco troppo bene er mi’ mestiere;

io regno e nun governo e co’ ‘sta scusa

fo li decreti e resto a bocca chiusa.

 

Io servo a inaugurà li monumenti

e a corre su li loghi der disastro;

ma nun me vojo mette ne l’incastro

fra tutti ‘sti partiti intransiggenti:

anzi j’ho detto: Chiacchierate puro,

ché più ve fo parlà più sto sicuro.

 

Defatti la Repubbrica s’addorme

davanti a li ritratti de Mazzini,

er Socialismo cerca li quatrini,

sconta cambiali e studia le riforme,

e quello de la barca de San Pietro

nun sa se rema avanti o rema addietro. –

 

A ‘sto punto er Sovrano arzò la testa

e vidde che nun c’era più nessuno

Perché li deputati, uno per uno,

èreno usciti in segno de protesta.

- Benone! – disse – Vedo finarmente

un Parlamento onesto e inteliggente!

 

Trilussa (Carlo Alberto Salustri), novembre 1910

 

 

LIBBRO MUTO

 

Ner mobiletto antico, che comprai

Tant’anni fa da un antiquario in Ghetto,

c’era, sott’a la tavola, un cassetto

Che tira tira nun se apriva mai:

finchè scoprii er segreto e fu una sera

che nun volenno spinsi una cerniera.

 

Subbito, da la parte de l’intacco,

la tavoletta fece un mezzo giro

e er cassetto s’aprì con un sospiro

ch’odorava de pepe e de tabacco.

Guardai ner fonno e viddi in un incastro

Un libbro intorcinato con un nastro.

 

Un libbro rosso rilegato in pelle

Dove spiccava, tra li freggi d’oro,

un’arma gentilizia con un toro

e un mago che giocava co’ tre stelle:

e, sott’all’arma, er titolo in cornice:

“La Regola per vivere felice”.

 

- Dati li tempi, - dissi – è una fortuna! -

Ma in tutt’er libbro nun trovai nemmanco

una parola scritta. Tutto bianco.

Riguardai le facciate, una per una:

zero via zero. E chi sarà er sapiente

che fece un libbro senza scrive gnente ?

 

L’avrà lasciato in bianco co’ l’idea

De minchionà la gente che lo sfoja,

o avrà capito che la vera gioja

finisce ner momento che se crea?

Era un matto o un filosofo? Chissà

come sognava la felicità?

 

Trilussa (Carlo Alberto Salustri), 1935

 

 

LA FEDE

 

Quella vecchietta cieca, che incontrai

La notte che me spersi in mezzo al bosco,

me disse: - Se la strada nun la sai,

te ce accompagno io, che la conosco.

 

Se c’hai la forza de venimme appresso,

de tanto in tanto te darò ‘na voce,

fino là in fonno, dove c’è un cipresso,

fino là in cima, dove c’è la Croce… -

 

Io risposi: - Sarà… ma trovo strano

che me possa guidà chi nun ce vede… -

La cieca allora me pijo la mano

E sospirò: - Cammina! - Era la Fede.

 

Questa poesia fu recitata da S.S. il Pontefice Giovanni Paolo I (al secolo Albino Luciani), in occasione di una rituale Udienza Papale del mercoledì, nell’anno 1978.

 

 

FELICITA’

 

C’è un’ape che se posa

su un bottone de rosa:

lo succhia e se ne va…

Tutto sommato, la felicità

è una piccola cosa.

Questi pochi versi del poeta, semplici e commoventi insieme, sono incisi su di un libro scolpito ed incastonato nella sua tomba in marmo al cimitero del Verano di Roma.

 

Grazie per l’attenzione e saluti a tutti i puzzolosi !

 

Vignanello, li 24 settembre 2011

Tommaso Marini