20.03.10
...e per ogni mese, un Vignanellese
di Tommaso Marini
MARZO 2010
il Prof. Francesco Fochetti
01.12.1902 - 12.05.1986
“…ed è severamente vietato cantare: “Ce l’aveva come un passone”
e “La mise sopra il sacco della farina fina”.
Erano, questi, due versi di altrettante canzoni “sboccate” delle quali mi pregio di citare rispettivamente la prima strofa: “Piglia un sasso e bussa alla porta” e “Un giorno la Rosina andò alla mola”, per ricordarne il contenuto e l’usanza della mano d’opera agricola, quasi sempre sessualmente mista, di intonarle sfacciatamente nel corso della giornata lavorativa.
Le parole del prof. Fochetti, in perfetto italiano dotto, schioccavano all’orecchio degli operai come frustate per i neofiti e come motivo di ilarità per quelli più anziani.
Tutti gli anni, all’inizio del primo giorno di raccolta delle nocciole, così si concludevano le “direttive”, che il professor Fochetti (appellativo talmente ricorrente, da credere che “professor” fosse il suo vero nome di battesimo ) impartiva ai suoi operai.
Erano uomini e donne che si accingevano alla raccolta delle nocciole, “strappate” manualmente dalla pianta (metodo definito tecnicamente come “raccolta del frutto pendente”), per un arco di tempo giornaliero che andava dalle ore 07,00 alle ore 17,00, dal lunedì al sabato.
Le raccomandazioni del prof. Fochetti, persona meticolosissima, riguardavano: il salario giornaliero, l’ora di inizio raccolta, il periodo di riposo per la colazione, il periodo di pausa per il pranzo, la fornitura del vitto da parte del datore di lavoro (pane e pomodoro per colazione, pane e formaggio per pranzo, “barlozzo”, con acqua (molta ) e vino (poco), di “acqua temperata”), l’ora della fine della raccolta, le modalità di conservazione del prodotto raccolto e, da ultimo, il divieto assoluto di linguaggio scurrile e/o allusioni equivoche (impensabile pronunciare frasi tipo: “sotto a ‘sta punta” per invitare, con lessico ricorrente ed un po’ equivoco, le operaie a raccogliere le nocciole, poste su un alto ramo, che altri operai avevano opportunamente piegato).
Quest’ultima raccomandazione serviva per evitare che la sorella Giacinta, nubile e donna di chiesa, potesse scandalizzarsi e, abbandonata la sua funzione di controllore, potesse tornare a casa prima della fine della giornata lavorativa.
L’espediente, che si ripeteva puntualmente in prossimità della fine della “giornata”, permetteva agli operai di rallentare sensibilmente il ritmo di lavoro o di anticipare la fine del turno di lavoro giornaliero.
Il prof. Fochetti era così: intelligente, furbo, pignolo, puntiglioso. Non ammetteva repliche alle sue affermazioni ma, fondamentalmente, era un “buono”, un “vero signore” di quelli che Antonio De Curtis, in arte Totò, avrebbe inserito tra i “signori di nascita”.
Sapeva, il prof. Fochetti, del comportamento degli operai ma preferiva ignorarlo. Glielo riferiva ogni sera, impietosamente, laconicamente e con dovizia di particolari la sorella Giacinta, ma sapeva anche che i “suoi” operai avevano bisogno di quella misera paga giornaliera e del suo aiuto per sopravvivere.
Non “licenziò” mai nessuno: era fiero nella sua veste di “proprietario terriero” temuto, rispettato e sempre consapevole di tutto ciò che avveniva, anche di quello che, ufficialmente, era avvenuto o doveva avvenire a sua insaputa.
Forse il suo carattere, le necessità famigliari, la mancata individuazione di un “buon partito” lo costrinsero a vivere una vita da scapolo impenitente.
Uomo colto, intelligente, piacevole conversatore, di agiate condizioni economiche, visse come ogni “rampollo” di una famiglia benestante.
Si laureò, credo, intorno al 1930. Il paese, per lui, era “troppo piccolo” e privo di interessi che potessero stimolarlo.
Visse lontano da Vignanello per lungo tempo. A Roma insegnò, frequentò i salotti culturali dell’epoca, ambienti signorili, circoli esclusivi. Tornava in paese, come diceva lui, solo per motivi famigliari, era il dovere di visita agli anziani genitori.
Condusse una vita intensa, dispendiosa e sregolata fino alla morte del padre Giovanni, avvenuta nel 1943; nel 1961, alla morte della madre Maria Vittoria Manini, si stabilì definitivamente in Vignanello per poter meglio amministrare i beni di famiglia e prendersi cura della sorella Giacinta, anch’essa nubile.
L’agricoltura non era mai stata la sua passione: delegò l’amministrazione di tutto alla sorella restando, solo formalmente, la figura di riferimento.
Il prof. Fochetti preferiva la mondanità, la bella vita, le donne. Bell’uomo, ricco, interessante, elegantissimo, “abito spezzato” con pantaloni marroni, giacca quadrettata con immancabile “papillon”, aspetto ben curato e giovanile, viaggiava su una Innocenti Austin A40 Spider. Allegro, sorridente e, molto spesso, accompagnato da attempate donne, che ostentavano in modo quasi patetico una evidente bellezza ormai sfiorita.
Lui mostrava tutta la sua dialettica, la sua cultura, le sue educate attenzioni. Nell’osservarlo conversare e muoversi, circondato da queste belle signore, si aveva l’impressione di rivivere i tratti, i movimenti e le scene della “bella epoque”: immagini che, da giovane adolescente, mi colpivano emotivamente e che sono rimaste indelebilmente impresse nell’album virtuale dei miei ricordi.
Il Prof. Fochetti non rivestì mai cariche pubbliche, non perché non avesse le capacità, ma perché non amava il compromesso, la sottomissione psicologica, la mercificazione cerebrale.
Insegnò, alla fine degli anni ‘60, Scienze Naturali e Geografia presso l’I.T.I.S. “A. Volta” di Viterbo lasciando, nei colleghi e negli alunni, un caro ricordo per la signorilità di comportamento, per la preparazione professionale e pedagogica, per la sua spiccata simpatia e per le sue “belle maniere”, come dicevano i colleghi, quasi da farlo apparire un personaggio irreale.
Gli ultimi anni di vita furono, per lui, sicuramente i più duri: situazione economica compromessa, vendita di alcune proprietà resa necessaria per il sostentamento. Successivamente, difficoltà di deambulazione lo costrinsero in casa per lungo tempo.
Fu spirito libero per tutta l’intera esistenza, mai rinnegò la sua condotta di vita e mai risparmiò critiche a chi viveva per cumulare fortune a scapito della conoscenza, fu magnanimo verso il prossimo, ma non ricevette dal prossimo identico trattamento.
Assistito dalla sorella, ormai vecchia, e da qualche nipote non diretto, si spense serenamente il 12 Maggio 1986 all’età di 83 anni.
Due anni più tardi, all’età di 87 anni, lo seguì anche la sorella Giacinta che volle donare alla Chiesa l’ultimo bene di un’immensa proprietà: casa Fochetti, con “affaccio” su Corso Matteotti.
Vignanello, li 20 Marzo 2010
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