23.05.10
...e per ogni mese, un Vignanellese
di Tommaso Marini

MAGGIO  2010

Gli Emigranti
 

Ellis Island
(l’isola delle lacrime)

Il ricordo di Arturo Gervasi, personaggio nel mese trascorso, mi spinge a rivisitare un particolare periodo della storia italiana: il periodo della grande emigrazione verso le americhe, che durò dal 1876 al 1929 e che coinvolse un rilevante numero di connazionali (nel periodo 1876 – 1915 emigrarono circa 14.000.000 di persone, 870.000 solo nel 1913, a fronte di una popolazione che nel 1900 era di circa 33.000.000 di abitanti) e compaesani.

            Alla storia di Arturo associo altri personaggi, anch’essi emigrati, anch’essi partiti e poi tornati a Vignanello per i motivi più disparati: Romolo Marini (1876 – 1956) Romolo “i’ sartore”, Alpino Annesi (1893 – 1978) “Alpinolo”, Giovanni Cagnetti (1900 – 1974) “Giovannino l’americano”, Tommaso Cianchi (1929 – 1993) “Tomassino ‘i Macchione” (“i Macchioni” erano considerati personaggi talmente solerti da essere indicati come coloro che “dormono e sentono c’or’è!”) ed una emigrante Fiorentina Moroni (1927 – 1958) “Nina”.

            Per la verità compaesani che emigrarono all’estero furono tantissimi e si recarono nelle località più disparate del mondo, ma quelli citati li ricordo in modo particolare, vuoi per l’affetto, per la signorilità, per quel finto americanismo acquisito, per la simpatia o per il doloroso esito della loro vicenda.

           

Romolo Marini nasce a Vignanello il 15.02.1876
da Giovanni e Maddalena  Loddi

            Romolo, mio nonno paterno, emigrò in America alla fine del 1913, aveva 37 anni, una moglie di 32 e due figli: Mercede di 4 anni  e Caio di neppure un anno (Marino, il primogenito, era morto all’età di 2 anni nel 1907). Anche lui, come gli altri, conobbe il viaggio estenuante in nave, conobbe “il purgatorio” di Ellis Island (l’Isola delle Lacrime), l’accozzaglia di razze e lingue sconosciute, l’ostilità di chi lo considerava intruso in terra d’altri.  

            Romolo era un bravo sarto ed avviò una soddisfacente attività nella caotica New York. L’idea era quella di realizzare qualcosa di duraturo ed economicamente valido per poi trasferire l’intera famiglia in America. Purtroppo non ne ebbe il tempo! Nel 1914 scoppiò la Prima Guerra Mondiale e, con la possibile entrata in Guerra dell’Italia, fu emanato dal Re Vittorio Emanuele III un Decreto, con il quale tutti i cittadini italiani, emigrati all’estero e di età inferiore a 40 anni, dovevano rientrare in Italia per essere arruolati nell’Esercito. Romolo di anni ne aveva 38. La mancata risposta a tale obbligo avrebbe comportato l’infamante accusa di diserzione.

            Romolo non ci pensò più di tanto: in parte la Patria , in gran parte la nostalgia per la famiglia e per i quieti luoghi natii lo convinsero ad imbarcarsi per l’Italia dove, fu arruolato in Fanteria ed inviato a combattere sul Carso e sul Brenta fino alla fine della Grande Guerra. 

            L’America fu un’occasione persa ma, la Guerra gli diede l’opportunità di incontrare un commilitone valleranese, Francesco (Checco) Mariani (1880 – 1958) che rimase il suo più grande amico e questa fu una grande fortuna, perché si sa: chi trova un amico trova un tesoro! Fu un’amicizia fraterna, coltivata dai discendenti e che attualmente perdura nonostante i protagonisti, le loro consorti, i loro figli, le consorti dei loro figli siano quasi totalmente deceduti, ad eccezione di Ottavio Mariani e della consorte.

            Tra il 1915 ed il 1918 Penelope, moglie di Romolo, e Felicetta, moglie di Checco, non facevano che incontrarsi frequentemente per scambiarsi le notizie dei loro cari, rileggendo insieme le rare lettere che giungevano dal fronte o confortandosi a vicenda per le paure e per le preoccupazioni, scatenate da eventi e notizie funeste che quotidianamente giungevano dai campi di battaglia.

            La sorte non fu nemica di Romolo e Checco, che tornarono alle loro case ed ai loro cari poco dopo il 4 Novembre 1918. Rimasero eternamente legati da quel sentimento che nasce, reciproco, nel pericolo, nella paura, nella speranza di tutto ciò che ci spinge a credere alla fine positiva di una tragica esperienza. 

            Le Feste Patronali erano l’occasione del ricongiungimento dei due fratelli “acquisiti”, per San Biagio i Mariani erano ospitati a Vignanello e per San Vittore i Marini erano ospitati a Vallerano. Osservarli mentre parlavano, mentre uno assentiva ai discorsi dell’altro faceva tenerezza, sembravano due eterni innamorati: c’era quasi da pensare che bisognasse fare più guerre per avere più amore! Chissà quali vicendevoli segreti custodivano i loro cuori, quali ricordi passavano nelle loro menti, chissà quali paure condivise li rendevano così uniti, chissà quali orrori rivisitavano in quei loro ricorrenti incontri.

            Tali circostanze, vissute anche da me personalmente, perdurarono fino al 1955, anno che precedette la morte di Romolo poi, in modo più sporadico, fino alla morte del caro Checco nel 1958.

            Romolo era un eccezionale cacciatore. Rinnovò la Licenza di Caccia fino all’età di 79 anni ed a tale veneranda età, durante una delle sue uscite, colpì una starna che si era levata in volo al suo passaggio. Aveva la vista di un falco e non usò mai gli occhiali.

            Amava parlare di guerra, di imprese, della sua amicizia con Checco, delle notti trascorse all’agghiaccio, dei massacranti turni di guardia, dei commilitoni più sfortunati rimasti sui monti.

Nonno Romolo amava la natura, la quiete, la campagna; della sua avventura americana parlava pochissimo. La “sua” America rimase solo in qualche soldo, che assicurò un breve periodo di benessere alla famiglia ed una foto, scattata a New York nella primavera del 1914, che lo ritrae elegantemente vestito, a perenne ricordo di… un gioco di quei tanti che fa vita! (per dirla alla Guccini).

 

Alpino Annesi nasce a Vignanello il 12.11.1893
da Augusto e Rosa Sforza

Di Alpinolo è rimasto il ricordo della stravagante eleganza americana, quasi maniacale: vestito grigio-chiaro, cappello Panama, camicia rigata con collo bianco, cravatta in tinta e scarpe chiare per sua breve uscita mattutina; gessato blu, cappello Borsalino, camicia bianca con cravatta scura, scarpe bianche e nere per la passeggiata pomeridiana.

Nelle sue tasche non mancavano mai chewingums o caramelle da regalare a tutti i bambini che incontrava per la strada, forse a dimostrazione dell’affetto che avrebbe saputo dare a quei figli, che la natura gli aveva negato.

Era emigrato negli Stati Uniti nel 1920, all’età di 27 anni, poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, a cui aveva partecipato. Aveva fatto fortuna nel commercio di stoffe ed abbigliamento: era un bell’uomo, intelligente, riflessivo, aveva buon gusto, modi squisiti ed era un piacevolissimo conversatore.

            Nel 1948, rientrato in Italia a Roma da cittadino americano, si unisce in matrimonio con Milena Innocenzi dalla quale non avrà figli e con la quale si trasferirà in America per amministrare la sua attività commerciale.

            Nei frequenti viaggi Stati Uniti – Italia aveva l’abitudine di rientrare con una consistente scorta in scampoli di tessuto, che cedeva a prezzi irrisori. Personalmente ritengo che lo facesse solo per amore verso il prossimo e per condividere con gli altri la sua esuberante agiatezza.

            A seguito della morte della moglie Milena, intorno agli anni sessanta, Alpinolo, così lo chiamavano tutti, era rientrato definitivamente in Italia. Viveva a Roma e nel periodo estivo si trasferiva a Vignanello in una casa di proprietà situata in Via San Rocco. Io adolescente, che abitavo nella stessa via, restavo ammaliato sul balcone di casa ad osservarlo mentre passava per la sua breve passeggiata; ostentava abbigliamenti impossibili e poco intonati alla contenuta eleganza paesana.

            Tornava periodicamente in America e mantenne sempre l’abitudine di rientrare in Italia con la solita scorta di stoffe e materiali affini. Mia madre era sarta e ricorreva spesso ad Alpinolo per l’acquisto di tessuti originali e particolarmente eleganti.

            Alpinolo visse per lunghissimo tempo, in Italia ed in America, con una persona della quale ricordo perfettamente la fisionomia, ma della quale ho perso ogni riferimento; di lei ricordo il nome, Clotilde, e ricordo ancora che Alpinolo la sposò, in seconde nozze, alcuni anni prima di morire.  

            Questa bellissima e giovane donna, che frequentava assiduamente la casa di mia madre Ida, lo accompagnò e lo accudì amorevolmente per il resto della lunga vita.

            La sua morte, avvenuta a Roma nel 1978, privò l’intero paese di una persona affascinante, di un uomo che tutti consideravano “di famiglia”. Alpino espresse il desiderio di essere tumulato a Vignanello e moltissime persone parteciparono alla cerimonia funebre, cerimonia commovente per “le intenzioni” espresse da alcuni bambini presenti, quei bambini a cui “nonno” Alpinolo regalava regolarmente e con amore una ben accetta ghiottoneria!

           

Giovanni Cagnetti nasce a Vignanello il 09.02.1900
da Giuseppe e Maria Ciambella

            Di Giovannino è rimasta, invece, la sua figura inconfondibile seduta su una sedia posta con lo schienale a rovescio, posizione che gli consentiva di poter appoggiare comodamente le braccia sulla spalliera e la schiena al muro del fabbricato retrostante.  

            Posto all’inizio del Vicolo Primo, a ridosso dell’angolo che la Chiesa Collegiata forma con il Corso Matteotti, Giovanni rimaneva per ore a scrutare ed a commentare, in modo critico e con alta voce imperiosa, chiunque transitasse in quei luoghi: ne aveva per tutti!

            Giovannino, emigrato negli Stati Uniti nel 1924, si sentiva americano, anzi era americano!

Ricordo un curioso fatto, che riferisco con piacere, a riprova di questo suo convincimento: una poco acculturata “commare” vicina di casa doveva restituire un oggetto alla “commare” Irma (Irma Pallotta, 1912 – 1995), moglie di Giovanni. Non avendola trovata in casa chiese notizie a Giovanni che, fingendosi soprappensiero, così rispose: “she had gone to buy some socks”. La “commare” rimase interdetta a quella risposta e Giovanni, resosi conto della impossibile comprensione, aggiunse: “ehm,… come dite voi qui in Italia:  mi era  ‘nata a comprare i pedalini”!

Giovanni era un uomo intelligente, forse un po’ chiacchierone, ma ebbe discreta fortuna negli Stati Uniti, si stabilì a New York e visse cantando da baritono e da basso. Era partito per l’America con la segreta speranza di ricalcare le orme di Arturo Gervasi, con il quale diceva di aver cantato in più di una occasione. Le sue capacità canore, per la verità discrete, non lo fecero diventare un “grande” della lirica, ma gli consentirono di condurre una vita decorosa.

            Giovannino rientrò in Italia nel 1949 e sposò Maria Buzi. Tornò in America dopo il matrimonio e rientrò definitivamente in Italia a metà degli anni sessanta: pensionato e cittadino americano: la sua più grande soddisfazione! Maria Buzi lo rese vedovo e nel 1971 ebbe una seconda moglie, che lo accudì con amore fino alla morte: era il 10 Marzo 1974.

 

Tommaso Cianchi nasce a Vignanello il 04.09.1929
da Giovanni e Giovanna Tusoni

Di Tommaso Cianchi è rimasto caro e vivo il ricordo della sua contagiosa allegria, della sua disponibilità e della sua pazienza proverbiale. Una volta, con mio cugino Geo Gazzarini, lo chiamammo in aiuto per spegnere un incendio che si era avviato, in quel di Centignano, mentre eravamo intenti a bruciare le sterpaglie esistenti su di un terreno di proprietà. Tommaso non si scompose nè si allarmò: prese una pala, una falce, uno straccio bagnato per coprirsi la bocca e si gettò in quella impresa dall’esito incerto. Per fortuna tutto andò bene ! Ricordavamo spesso quella pericolosa circostanza, immaginando ciò che sarebbe potuto succedere. 
Nel 1954 si unisce in matrimonio con Anna Maria Chiricozzi dalla quale avrà tre figlie: Maria Elena nel 1955, Giovanna nel 1960 e Loredana nel 1967.
Tomassino emigrò in Argentina nel mese di novembre del 1963. Due suoi cugini, Oddo e Quirino Cianchi, che lo avevano preceduto ed erano riusciti a fare fortuna in campo edilizio, gli fecero sapere che c’era bisogno di personale che avesse esperienza nel campo, c’era tanto da lavorare e da guadagnare, c’era l’opportunità di fare soldi, tanti soldi: serviva qualche sacrificio e la voglia di lavorare.
L’Argentina era in via di sviluppo, riferivano i suoi cugini: “i primi sarebbero stati primi, i secondi sarebbero stati nessuno”.
In Italia gli anni sessanta non erano tanto male, era il periodo del “boom economico”. Congiuntura e disoccupazione erano termini sconosciuti, il lavoro non mancava e per la famiglia Cianchi non esistevano problemi economici: il lavoro di artigiano edile non faceva diventare ricchi, ma per Tommaso era più che sufficiente. 
Certo, il benessere conquistato dai cugini e l’euforia trasmessa di facili e sicuri guadagni, erano un tarlo costante che rodevano il cervello di Tommaso, erano un “crì, crì” continuo che suonavano come un: “vai! vai!”, un dubbio atroce che sicuramente non gli avrà permesso di dormire per più di una notte. 
Tommaso non poteva lasciarsi scappare la grande occasione. I cugini argentini avrebbero trascorso l’estate a Vignanello e, in autunno, sarebbero nuovamente rientrati in Argentina.
Era una buona occasione per mettere in pratica ciò che aveva solo teorizzato. Era la sua occasione: radunò il necessario, spese parte dei suoi risparmi per acquistare biglietti, lasciò la famiglia con il segreto intento di tornare a prenderla e partì per Buenos Aires, dando inizio alla sua avventura. 
Credo che la traversata via mare dell’Oceano lo colpì in modo impressionante e lui non perdeva occasione per ricordare quei giorni, quei lunghissimi 18 giorni di traversata: parlava della maestosità del transatlantico, delle persone importanti, delle sfarzose cerimonie, delle grandiose feste da ballo ed anche della tristezza, che regnava negli ambienti riservati alla “Terza Classe”. 
In Argentina le opportunità non mancavano e tutto lasciava presagire il meglio; qualche difficoltà iniziale con la lingua, con le usanze locali, ma poi arrivarono i primi frutti del massacrante lavoro e tutto venne presto dimenticato. L’edilizia era il suo campo e Tommaso dava il meglio delle sue capacità, per acquistare notorietà e per dimostrare quanto valesse la sua opera.
I cugini gli avevano affidato l’incarico di capo squadra: un lavoro di responsabilità, nel quale erano indispensabili capacità, perizia ed esperienza.
A Tommaso sembrava veramente di “aver trovato l’America”: lavoro, guadagni, soddisfazioni, amicizie importanti. 
La posizione economica, raggiunta in poco tempo, gli fece pensare che poteva trasferire in Sud america l’intera famiglia. Tommaso aveva trascorso due lunghi anni di lavoro massacrante, di sacrifici, di rinunce, di nostalgia ed ora poteva pensare ad una nuova vita in un nuovo mondo. Poteva pensare ad una famiglia nuovamente riunita, agiata e felice.

Purtroppo le sue aspettative vennero annientate dalla resistenza dei familiari, poco disposti a trasferirsi in un posto “lontano da Dio e dagli uomini”, come si usava dire per indicare località poste quasi ai confini della realtà.
Anna Maria, sua moglie, non ha intenzione di lasciare Vignanello ed il sogno di un trasferimento della famiglia diventa, per Tommaso, un sogno irrealizzabile.
A nulla valgono le insistenze e nulla riesce a smuovere la determinazione di una moglie tanto, forse troppo, attaccata ad una vita semplice, ostile ad uno sconvolgimento di vita, alla necessità di rincominciare tutto: abitudini, amicizie, stile di vita, lingua, luoghi e, soprattutto, la vita in un mondo sconosciuto e lontano dal suo amato paese.

Sconfortato da tali difficoltà, Tommaso non sa che fare: fermarsi ancora o rientrare in Italia. E’ una scelta ardua, è una decisione troppo importante. Forse avrà chiesto consiglio ai cugini che tanto avevano fatto per lui, ma il dramma è tutto suo; suo e di una famiglia che lo aspetta, ma solo per rimanere in Italia.
Siamo all’inizio del 1966, Tommaso fa i suoi conti. Ha risparmiato e messo da parte un cospicuo gruzzolo. In fin dei conti quel lavoro in Argentina era stato ben ripagato. E poi, la nostalgia per le due figlie e per la moglie fanno il resto. 
L’Argentina è nel suo pieno sviluppo economico e le previsioni consiglierebbero la permanenza in loco, ma Tommaso è spaventato da un altro lungo periodo di solitudine, straniero in un paese straniero.
Non c’è tempo da perdere, c’è bisogno di una decisione, anche se dolorosa. E la decisione è una: il ritorno in Italia !
Nel marzo del 1966, Tommaso parte per l’Italia. Non può portare con sè tutto ciò che ha guadagnato, ma solo una piccola parte. Il resto dei suoi risparmi potrà seguirlo in Italia dopo un’operazione di cambio ufficiale.
L’Argentina è economicamente forte, ricca ma ostinatamente protezionista: il cambio di pesos argentini in lire italiane è disastroso ed i risparmi di due anni di lavoro si trasformarono in un piccolo tesoretto, molto lontano dalle sue aspettative.
Tommaso rientra nel suo paese d’origine, stanco, deluso, sconfitto. “Tornò come fan tanti, due soldi e giovinezza ormai finita” (così Guccini canta il ritorno di suo nonno emigrato in America). Aveva perso, come altri, il piacere per la vita, annegato nel sudore, che era sgorgato copioso dalla sua fronte.
Cerca di darsi da fare con lavori alternativi: con un socio acquista un piccolo autocarro ed avvia, come tanti altri compaesani, una piccola attività commerciale, trasportando e vendendo, per un breve tempo, vino in quel di Roma e dintorni.
Questa attività dura pochissimo, non è il suo lavoro, non sa fare il commerciante ! Riprese, allora, con orgoglio la sua attività, quella su cui aveva puntato tutto, quella che era sempre stata la sua professione: artigiano edile.

Visse finalmente una vita tranquilla e decorosa circondato dall’amore dei suoi cari. Nel 1993 una morte improvvisa lo tolse ai suoi familiari ed agli amici, lasciando in entrambi un grande rammarico.

   

Fiorentina Moroni nasce a Vignanello il 22.10.1927
da Ludovico e Giacinta Salvatori

Anche Fiorentina Moroni emigrò: emigrò in Australia, emigrò con suo marito Franco Mastromichele (1923 – 2008).

Fiorentina (Nina) imparava a cucire da donna a casa di mia madre Ida ed era una ragazza carina ed intraprendente. Emigrò con entusiasmo, suo e di tutte le sartine sue amiche, a Brisbane (Queensland) nel 1957 dopo il matrimonio avvenuto nel 1956.

La sua avventura fu breve come la sua vita: ebbe una figlia, Bianca, nata nel 1958, che ancora vive in quel luogo ed è proprietaria di una avviatissima attività di ristorazione.

Fiorentina purtroppo non ebbe fortuna analoga: un’auto la falciò e la uccise, all’inizio della primavera australe del 1958. Nina si recava con la figlia neonata ad una visita pediatrica. Allontanando da se il carrozzino dove Bianca dormiva, riuscì a farla vivere una seconda volta: semplicemente sacrificando la sua vita!

Nina aveva 31 anni ed il suo sogno australiano era durato poco più di un anno, un anno di massacrante lavoro, senza alcuna soddisfazione personale che, credeva, sarebbe arrivata con il tempo, ma che non si concretizzò mai.

Per motivi economici e burocratico-assicurativi, la sua salma tornò in Italia nel 1962, giunse a Napoli in nave e da lì al paese natio.

Dopo 4 lunghi anni, Vignanello pianse una sfortunata figlia che la sorte aveva rapita troppo presto. Al rito funebre partecipò, in religioso silenzio, l’intera popolazione; gli occhi gonfi di pianto, le lacrime, la disperazione di molti si unirono all’immenso dolore dei parenti più stretti.

Tutti ebbero l’impressione di aver perso una persona cara e piansero: chi per una figlia, chi per una madre, chi per una moglie, chi per una sorella, chi per un’amica… chi per un sogno.

Quel sogno che Nina, con ostinazione, avrebbe voluto realizzare lontano, quel sogno che era finito presto… troppo presto!  

 

Vignanello, li  23 Maggio 2010