24.09.10 SETTEMBRE 2010 IL
TRENINO
DELLE 07,10...
Appena qualche giorno indietro parlavo con mia nipote, Cecilia
Mariani, che si accingeva ad iniziare il suo primo anno scolastico in
quel di Viterbo.
Questo mese voglio raccontarvi parte di quegli avvenimenti, della
spensieratezza e della gioia di vivere, che ci pervadeva in ognuno di
quei trentacinque minuti di viaggio indimenticabile.
All’epoca, l’inizio dell’anno scolastico coincideva con i
primi giorni di ottobre e le scuole avevano termine il 15 giugno
dell’anno successivo. In una
di tali circostanze ebbi l’opportunità di frequentare Nuzzo
(Salvatore) Gnisci, di un anno più grande. Fu il mio “maestro” di
ballo, ammesso che le mie impacciate movenze potessero considerarsi tali
(imparai qualcosa solo più tardi!). Con Nuzzo condivisi tantissimi
altri eventi ed era sempre prodigo di suggerimenti e consigli. Fummo
legati da stima reciproca e sincero affetto. Fatalità volle che
celebrassimo, nel medesimo giorno, i rispettivi matrimoni (31 di Agosto
1974). Ma torniamo al nostro “personaggio”. Il nostro amico, ogni giorno di ogni settimana, di ogni mese, di ogni anno, iniziava la sua corsa da Civita Castellana alle ore 06,33 e, dopo aver toccato le stazioni di Catalano, Fabrica di Roma e Corchiano, giungeva a Vignanello alle ore 07,09 per ripartirne un minuto più tardi. Vallerano, Soriano nel Cimino, Vitorchiano e Bagnaia costituivano la stazioni successive, prima di giungere alle ore 07,44 alla stazione di Viterbo Porta Fiorentina. Ma cosa succedeva durante quei trentacinque minuti di viaggio? Avveniva di tutto e… di più! All’andata (Vignanello – Viterbo) le circostanze erano tra le più variegate: c’era chi ripassava qualche argomento scolastico in vista di una possibile interrogazione, chi sonnecchiava con la impossibile speranza di seguitare il sonno interrotto dalla partenza, chi, appartato, amoreggiava con la nuova fidanzatina, chi ostentava nervosismo alla vista di tale scena (ovviamente la ex fidanzatina), chi cercava di imbastire nuove conoscenze e simpatie, chi fumava con soddisfazione la prima sigaretta mattutina, chi giocava a carte, chi, sottovoce, cantava, chi disegnava cuori trafitti sul vetro di un finestrino appannato dal vapore e chi infine, avendo dimenticato l’abbonamento, trascorreva l’intero tragitto in “ritirata”, per evitare che il sig. Vallone (così detto perché lui diceva di somigliare all’attore Raf Vallone: mai notizia risultò più falsa!), controllore di bordo, potesse elevargli una contravvenzione (circostanza, per la verità, mai verificatasi; il sig. Vallone, burbero nei modi e, a volte, incomprensibile per lo stretto uso del dialetto napoletano, era fondamentalmente un bravo uomo e non avrebbe mai multato uno studente certo di colpire esclusivamente i genitori).
Il treno, su cui viaggiavano gli studenti di allora, era composto
da una motrice elettrica, parzialmente destinata ai passeggeri, che
trainava, molto lentamente, altre tre carrozze; il secondo vagone era a
scompartimento unico, due porte d’ingresso, piccola “ritirata” e
sedili contrapposti in legno per tre persone su di un lato e due persone
sul lato opposto; aveva circa cinquanta posti a sedere, ma normalmente
ospitava sessanta/sessantacinque persone; il terzo e quarto vagone erano
a due scompartimenti, tre porte d’ingresso, di cui una munita di
comoda piattaforma, piccola “ritirata” e sedili disposti come per il
secondo vagone; aveva circa quaranta posti a sedere ma, normalmente,
ospitava una cinquantina di persone.
La mia diretta esperienza ferroviaria risale all’ottobre 1960
quando, giovanissimo studente, iniziai a frequentare una nuova scuola
superiore appena avviata: era l’Istituto Tecnico Industriale Statale
“Armellini”, sezione staccata di Viterbo, che contava, all’epoca,
110 alunni. Bene, per ritornare alla mia esperienza, ricordo che i primi giorni di viaggio non furono assolutamente divertenti, ad eccezione della novità giornaliera che consentiva, a me e ad altri giovani timidi ed impacciati quattordicenni, di recarsi in città per studiare: eravamo solamente molto fieri di appartenere alla categoria degli studenti, che ci consentiva qualche piccolo vantaggio di carattere sentimentale!
Erano miei compagni di viaggio Angelo Fornasiero (Liceo
classico), Guido Tabacchini, Alessandro (Sandro) Suadoni (Istituto
Industriale) e Geo Gazzarini (Istituto per geometri).
Geo ed Angelo erano più grandi d’età e, con Sandro e Guido
miei coetanei, fumavano di nascosto come tanti altri ragazzi. Presto mi
convinsero ad emularli e così, al mattino, riunivamo i nostri piccoli
risparmi ed acquistavamo, al Bar della Stazione, n. 5 sigarette
Nazionali Esportazione senza filtro (all’epoca le sigarette potevano
essere vendute anche sfuse). L’anziana
proprietaria del Bar, Sig.ra Domenica (Mecuccia), apriva con maestria il
pacchetto intero e, con un tocco quasi da prestigiatore, riusciva a far
emergere esclusivamente il numero di sigarette richieste!
Le mie economie giornaliere di studente consistevano in molto
poco: Lit. 100 da poter utilizzare in caso di necessità e a volte
qualcosa in più, quando mio padre, di nascosto a mia madre, aggiungeva
altre 50 lire alla misera paghetta.
Il viaggio in treno del primo anno era, per tutte le matricole,
un viaggio movimentato. Si cercava di evitare il vagone degli
“anziani” in modo da non incorrere in scherzi e derisioni e,
inoltre, per scongiurare l’immancabile “sculacciata” di
iniziazione alla carriera di studenti.
Il nostro eroe, elegante e pulito nei suoi colori blu e celeste,
giungeva a Viterbo, come ho già detto, alle 07,44. La prima campana
d’ingresso a scuola suonava alle ore 08,00, ma l’ingresso era
consentito fino alle 08,15 onde permettere l’inizio delle lezioni alle
ore 08,20 (il termine delle lezioni
era alle 12,20 o 13,20 a
seconda dell’orario di 4 o 5 ore previste).
Una volta giunti in Piazza Verdi una parte di questo nutrito
gruppo di studenti, ed io tra loro, si staccava per una breve sosta alla
Pizzeria di Angela (locale ora occupato da un forno-alimentari) per
ascoltare un po’ di musica e per gustare, a mezzi o a terzi, una
squisita pizzetta napoletana, piegata in due ed abbondantemente farcita:
una bontà ed un gusto incomparabile al costo di Lit 60. Il
locale era molto piccolo, ma il numero di persone ospitate era enorme:
ancora mi chiedo come fosse possibile la contemporanea presenza di tanta
gente in un posto talmente angusto!
Le diverse sedi scolastiche erano abbastanza vicine tra loro,
pertanto si continuava insieme per un bel tratto. Percorrendo Via del
Corso, fino a Piazza delle Erbe, si saliva a sinistra per Via
dell’Orologio Vecchio ed al semaforo giallo lampeggiante (ora rimosso)
che si incontrava al termine della salita, si prendeva ancora a sinistra
per Via della Verità e si giungeva a Porta della Verità, superata la
quale, prendendo a destra, ci si immetteva su Viale R. Capocci, da cui
si accedeva all’Istituto Tecnico Commerciale “P. Savi”.
Via del Corso, alle ore 08,00 del mattino, appariva quasi
completamente deserta. Potevano incontrarsi due o tre persone che
attendevano a lavori particolarmente mattinieri. Tra questi c’era il
Sig. Otello, uomo di una certa età, magrissimo ed avvolto in un ampio
“paletot” marrone che poteva tranquillamente cingerlo per due volte.
Facevano tenerezza il suo volto e il suo breve e veloce passo, la
sua andatura aggraziata come quella di una ballerina.
Tutti insieme, noi ci disponevamo in fila indiana e lo seguivamo
per un lungo tratto imitandolo nella camminata: riconosco che ci
comportavamo da persone
maleducate e molto poco rispettose del prossimo. Con immenso piacere, con nostalgia ed anche con grande rammarico, voglio ricordare alcuni di quei tanti ragazzi che tanto hanno condiviso la mia esperienza, che hanno influito sulla mia crescita e sulla mia formazione di uomo; voglio ricordare coloro che hanno riempito gran parte delle mie giornate e sono riusciti a trasformare un timido quattordicenne in un “caciarone impenitente”. RicordarVi tutti, lo capirete, è impossibile e fin da ora mi scuso con tutti quelli che non elencherò, una cosa, però, mi preme sottolineare: per tutti ho nutrito, nutro e nutrirò un grande attaccamento ed affetto. Desidero ricordare inoltre, con immenso dolore e commozione, altri che molto prematuramente ci hanno lasciato: penso a Loretta Andreocci, Gabriella Bracci, Elia Gionfra, penso ancora a Paolo Paola, a Franco Grattarola e Mario Stefani: questi due ultimi compagni di canto, di carte e di scherzi molteplici.
Franco e Mario, come già raccontato, furono i protagonisti, con
Loreto e me, di epici scontri al biliardino e, qualche volta, al
biliardo. Entrambi avevano una “calma” quasi proverbiale, ma non
riuscivano a capacitarsi come
due “sbarbatelli” quindicenni potessero superarli in quel giuoco
dove si ritenevano insuperabili. Di contro, nel giuoco del biliardo non
avevamo “chance”: venivamo sempre sonoramente sconfitti. Gli altri compagni di viaggio, invece, desidero ricordarli con un velo di nostalgia per “quell’era beata” che tanto ci accomunò. Per comodità di elencazione tenterò di dividerli, ammesso che la memoria mi assista, per indirizzo di studi. Frequentavano il Liceo scientifico: Mario Tusoni, Biagio Ziaco, Domenico Paola, Alessandro Pugliesi, Emilio Petti, Alessandro Ceccarelli.
Frequentavano il Liceo classico: Giorgio Mastrogregori, Tommaso
Gionfra, Rosa Maria Orsolini, Angelo Fornasiero, i fratelli Giovanni
(Gianni) e Alessandro (Sandro) Mastrangeli, i fratelli Augusto e Cesare
Mastrangeli, Carla Pugliesi, Sandro Rita, Carla Chiricozzi (mia moglie),
Livia Annesi, le sorelle Mariella e Anna Lisa Petti, Paola Ceccarelli
della quale desidero ricordare le eccezionali capacità intellettive e
le invidiate votazioni riportate al termine dell’anno scolastico: Frequentavano l’Istituto industriale: Alessandro (Sandro) Suadoni, Guido Tabacchini, Loreto Seralessandri, Rosato Cioccolini, Giovanni (Gianni) Ceccarelli, Costantino Santi, Elio Larai, Vincenzo Salvatori, Francesco Bracci, Emilio Lelli, Tullio Stefanucci, Nicola Bracci ed il sottoscritto. Frequentavano l’Istituto femminile “Venerini”: Gradita Graziotti, Rosalba Salvatori, Luigina Ciambella e la già decantata Caterina Morini. Frequentavano l’Istituto tecnico per il commercio: Mario Lupi, Margherita Stefani, Amedeo Orsolini, Antonio Mezzopra, Marcello Piermartini, i due omonimi Mario Olivieri e Mario Bracci (entrambi ex sindaci di Vignanello), Venanzio Romoli, Luciano Fochetti, Luigi Stefani. Frequentavano l’Istituto Tecnico per Geometri: Napoleone Rita, Angelo Loppi, Giuseppe (Pino) Pacelli, Alessandro Testa. Frequentavano l’Istituto magistrale: Consolina (Lina) Pepe, Nicola Piermartini, Maddalena Costantini, Giuseppina Ceccarelli, Miriam Mastrogregori, Danila Annesi, Maddalena Stefani, Rita Marini, Anna Loppi, Adriana Chiricozzi, Rosanna Romoli, Attilia Fochetti, Maria Bracci, Bruno Sandro Ceccarelli, Giuseppina Buzi, Minervina Marini.
In quella atmosfera familiare e, per noi, particolarmente
accogliente e romantica si consumarono infinite relazioni sentimentali,
si allacciarono amori ancora stabili, si conclusero storie d’amore
sconvolgenti. Si pianse e si rise per amore. Si raccontarono verità e
falsità per amore. Si giurarono fedeltà e sincerità in amore. Si
ebbero scontri e litigi violenti per amore.
Quelli che invece vorrei raccontare sono alcuni simpatici episodi
che avvenivano nelle varie classi delle diverse scuole e che, nel
tragitto di ritorno, si raccontavano con attenta dovizia di particolari.
Il più bravo a raccontare tali episodi era Giorgio ‘e Profilio
(Giorgio Mastrogregori, attualmente stimato ginecologo (non poteva
essere diversamente!) nel Consultorio dell’Ospedale di Albano Laziale.
Giorgio era simpaticissimo: forte e prestante, era il discobolo-pesista
del Liceo Classico all’epoca dei Campionati Studenteschi ed ottenne
eccellenti prestazioni. Altra storiella simpatica che ogni tanto raccontava era relativa all’interrogazione che il Prof. Luiso (grandissimo e simpaticissimo insegnante di Scienze e Chimica) fece ad una sua avvenente allieva, vestita nell’occasione in modo provocante (tralascio i commenti e la descrizione particolareggiata fatta da Giorgio nel corso del racconto). La signorina, come continuava a chiamarla il Prof. Luiso, non era molto preparata e, pertanto, l’insegnante cercava di aiutarla formulando, via via, domande sempre più facili. Nel corso dell’interrogazione, inoltre, il prof. Luiso non nascondeva il piacere che provava nell’osservare le sinuose grazie della bellissima ragazza, per cui, alla errata trascrizione di una semplicissima formula chimica, il prof. Luiso si avvicinò alla lavagna, corresse un errore di distrazione che condusse alla giusta risposta e, rivolto all’allieva, esclamò: “Ecco quà, fficona!”, termine che alcuni assimilarono al “tontolona”, mentre altri, vista l’espressione, lo assimilarono ad uno spontaneo, sentito e, forse, eccessivo complimento. Le circostanze curiose che si verificavano in mattinata nelle varie scuole, venivano raccontate sul trenino delle 13,40 che riportava tutti noi studenti a Vignanello. Il ritorno era certamente molto più interessante rispetto all’andata: canti, giochi di carte e di abilità, fatti curiosi e circostanze imprevedibili erano motivi di allegria.
Un fatto curioso, avvenuto nella mia classe e degno di
“citazione”, desidero raccontarlo anche a Voi, spiritosi e simpatici
lettori.
Il vagone occupato da noi vignanellesi era una continua fucina di
idee, in special modo nel proporre prove di abilità impensabili, una di
queste (ideata, se non ricordo male, dal solito Napoleone Rita)
consisteva nel far volteggiare in aria un pacchetto, tipo rigido, di
sigarette cercando di farlo atterrare sul piano del sedile, in
equilibrio su una delle sei facce: due più piccole del valore di 5
punti, due poco più grandi del valore di 3 punti e due, le più grandi,
del valore di 1 punto. Vinceva chi, con 5 tiri realizzava il maggior
numero di punti: la posta in palio era pari al numero di sigarette
anticipate dai giocatori partecipanti. Ciò che riusciva meglio, e di cui tutti andavamo fieri, era il canto. Fernando Pacelli era bravissimo, sia come voce solista che come direttore di coro. A volte cantavamo insieme ed era capace di esprimersi in personalissimi contro canto che lasciavano stupiti. Gli applausi, per lui, erano frequenti e calorosi. Fernando ringraziava sempre alzandosi in piedi e sciorinando il suo affabile sorriso. Inchinava lievemente il capo in tutte le direzioni, come a voler imitare cantanti famosi, e poi riprendeva il suo posto. Anche Fernando ci ha lasciati molto presto: era il 2006.
Le arie intonate erano svariate: ce n’erano d’importanti e
famose (Va pensiero, Lassù sulle montagne, Quel mazzolin di fiori,
Il fazzolettino, Stornelli romani) ed altre dialettali ed equivoche
(Son tre mesi che faccio il soldato, Un giorno Certo il contenuto di tali arie non era da “Festival di San Remo”, ma l’esecuzione era sicuramente magistrale nella voce e nella gestualità. Nella famosissima “…e gli toccai i capelli” c’era un passaggio, interpretato dal solito Giorgio, dalla comicità sconvolgente; diceva il testo, a canzone avanzata: “…
e gli toccai il ginocchio, Bene, prima del “c’è un bell’occhio”, Giorgio toglieva gli occhiali, con una mano tappava l’occhio sinistro e, tenendo ben aperto l’occhio destro, con mimica allusiva concludeva la strofa suscitando, in tutti, una fragorosa risata. Con il passare del tempo, le nostre esibizioni canore diventarono sempre più articolate e “professionali” e diversi passeggeri prendevano posto nel nostro vagone per ascoltare il piacevole canto ma, soprattutto, per divertirsi insieme a tutti noi.
Poi, come tutte le cose, quell’affiatato gruppo iniziò a
diradarsi; a rotazione terminava il ciclo di studio e con esso,
inesorabilmente, l’allegria e la spensieratezza giovanile. Ci si
accorgeva, improvvisamente, di essere diventati adulti e si percorrevano
strade diverse. Il nostro eroe, il magico trenino delle 07,10, continua ancora il suo servizio, imperterrito come se il tempo si fosse fermato, ma non è più quello di un tempo, è divenuto più bello, più veloce, più caldo d’inverno e più fresco d’estate, si è adeguato ai tempi ed io, ritenendolo ancora “cosa viva”, immagino che si lamenti del progresso, del correre frenetico, della poca cura ed attenzione, di cui è oggetto, della scomparsa delle timide ed appartate coppiette, dell’aria festosa trasmessa da chi aveva bisogno di poco per essere felice, dei canti, dei cori, del mancato riconoscimento all’essenzialità del servizio ora quasi esaurito, di tutto quello, insomma, che per tanto tempo lo ha reso fedele amico e discreto compagno. Grazie caro amico, grazie di tutto ciò che ci hai dato e scusaci per non averti ricambiato affettuosamente come avremmo dovuto. Vignanello, li 24 settembre 2010 |