30.12.10
...e per ogni mese, un Vignanellese
di Tommaso Marini

DICEMBRE  2010

 

LUIGI CALVANELLI
FU DUILIO E PIA ANNESI

Una missione sacerdotale vissuta con l’entusiasmo di un adolescente

 

         Questa mia storia inizia, come la mia vita, in una Chiesa: quella di Santa Maria della Presentazione, in Vignanello. Finirà, come la mia vita, in questa Chiesa.        La Chiesa dove ho ricevuto il Battesimo, la Cresima , la Comunione , dove ho contratto Matrimonio, dove ho Battezzato e Cresimato, le mie figlie, dove una di esse ha contratto Matrimonio, dove ha ricevuto il Battesimo mia nipote Lavinia, dove tutti i Sacramenti, escluso il mio Battesimo, si è svolto alla presenza di Giggi, come confidenzialmente ero solito chiamare don Luigi Calvanelli.

         Diceva che avrebbe provveduto anche ad accompagnarmi “dall’alberi pizzuti” perché era certo di vivere fino a 150 anni, ma questo non avverrà anche se in questa Chiesa, la sua Chiesa per 54 anni e 15 giorni, si svolgerà, in sua assenza, il mio funerale ed il funerale di quei tanti che l’hanno amato e stimato per un’intera vita.

        

        Sono le 14,50 del 17 Novembre 2010. La Chiesa è quasi al completo ma un’infinta moltitudine di persone sosta sulla Piazza antistante per accogliere i resti mortali di un grande uomo oltre che di un eccellente sacerdote.

        

         Mi ritrovo improvvisamente a riflettere su quale “vulcano culturale” si sia spento. E’ un turbinio di eventi recenti e trascorsi:

         il Circolo A.C.L.I. (di cui ho già parlato in un altro mio racconto), la biblioteca cattolica (affidata e curata da Guido Tabacchini), il giornalino parrocchiale (il primo numero conteneva un fantasioso articolo di Nicola Piermartini, oggi apprezzato giornalista, che iniziava così: “Se qualcuno mi chiede cosa sia l’Artete io, guardando il sole, risponderei che, se due per due fa quattrocentosessantaquattro,… ), il Comitato per l’Amministrazione dei Beni della Chiesa (i membri erano Rino Rita, Giuseppe Grasselli, Alessandro Pacelli, Luigino Campana e Tommaso Marini. Presidente don Luigi. Il Comitato ebbe vita breve a causa delle differenti “vedute amministrative”!), l’acquisto del terreno al Cimino, Loc. Piangoli, l’acquisto dell’area, poi adibita al campeggio marino di Tarquinia, Loc. Spinicci (nel 1972 fui Direttore del Campo per l’intera stagione estiva), la Cantina Sociale a salvaguardia dei produttori vinicoli locali, il Cinecircolo “Domani” con proiezioni periodiche nella Sala della ex Sagrestia e, in estate, nei castagneti di Talano di proprietà della Parrocchia, il Gruppo Scout che ebbe un successo insperato, “Radio Domani”, la creatura più voluta ed amata, che curò personalmente fino a poco prima della fine, il Pensionato per Anziani, la casa per Ferie al Cimino, Loc. Piangoli (un’ampia area dove fece costruire casette in muratura per ipotetici villeggianti), la cooperativa di consumo alimentare (rilevando la licenza di un antico negozio di alimentari: quello di Gustavo Ceccarelli, in Corso Mazzini).

        

         Ore 15,05: sicuramente l’attimo più toccante, l’attimo in cui difficilmente si riesce a trattenere le lacrime. Tutti i credenti dovrebbero gioire per questo tanto agognato ricongiungimento con il Padre celeste; nonostante ciò, gli occhi di tutti i presenti risultano vistosamente “lucidi”. Forse non siamo sufficientemente credenti e certamente non riusciamo a cogliere l’attimo di gioia che la nostra religione ha riservato per chi anela a Dio.

         A mente fredda condividiamo i dettami della nostra religione, cerchiamo di essere coerenti con la nostra dottrina di fede, ma il nostro sentimento “terreno” è, ora, più intenso e penetrante di qualsiasi altra “ragionata” considerazione.   

 

         Diaconi, Parroci e Vescovi sfilano, in una interminabile processione, verso l’Altare Maggiore della Collegiata di S.M. della Presentazione per celebrare la S. Messa Solenne ed il Rito funebre per don Luigi Calvanelli.

         La sua assenza, tra il rilevante numero di concelebranti, è un ulteriore motivo di commozione. “Come è possibile la sua mancanza?”. Sembra l’interrogativo posto dall’infinità dei presenti: “Mai successo! E’ la prima volta! Impossibile, inverosimile!” Ma… già! Avevamo volutamente dimenticato la notizia che ci aveva lasciato sgomenti nella mattinata di ieri.

        

         Osservo don Elio seduto nel primo banco del Coro, è pensieroso e triste: con don Luigi ha convissuto per quasi mezzo secolo, forse con vedute differenti ma sempre con rispetto e stima reciproca. La malattia che lo ha colpito non gli consente di esprimere verbalmente i suoi sentimenti ed il cordoglio, ma la sua tenera espressione vale molto di più di qualsiasi altra esternazione: sembra volersi scusare per quel suo “restare in vita”.        

         Don Elio Da Gualdo: un altro eroe della nostra comunità, dei nostri tempi .

        

         Ha inizio la Messa Solenne ed il silenzio è tangibile come la generale commozione, ma non posso fare a meno di tornare indietro negli anni e ricordare:

          

         1950: un giovanissimo “tamburino” percorre le vie del paese suonando un’allegra marcia. E’ un paese molto contento in ampiezza: poche strade principali selciate e altre, meno importanti, sterrate. E’ estate, il tempo è bello e splende un magnifico sole; il “tamburino” suona per richiamare l’attenzione delle mamme che hanno deciso di “mandare alle colonie di Talano” i loro bambini.

         E’ una delle prime iniziative di don Luigi, ordinato sacerdote nel 1947, che vuole avvicinarsi alla Comunità (non la Comunità in Chiesa, ma la Chiesa in Comunità: la sua testarda battaglia di sempre). Anch’io, ricordo, mi aggiungevo a quel lungo plotone di bambini che procedevano verso Talano cantando. La “colonia” contemplava attività sportive, bagni di sole, colazione, pranzo e merenda, preghiera e libero svago. Ci si divertiva tantissimo e si faceva amicizia con tanti altri bambini;

         1952: la mia famiglia si trasferisce in una nuova casa a San Rocco. Forse “la colonia” continua ma la distanza per frequentarla è rilevante, pertanto termina quella splendida esperienza;

         1954: escursione e campo in Località Convento di San Vito della Cassia (Poggio Nibbio, Passo del Cimino m. 800 s.l.m.). Don Luigi inaugura la prima esperienza di incontro con i giovani. Partecipa mio fratello Romolo ed io, con mio padre, mi reco in visita. La località risulta lontana da Dio e dagli uomini ma pace e silenzio regnano sovrani;

         1955: Prima Comunione. Il Corso di preparazione viene svolto da un giovanissimo don Luigi. Il “ritiro” pre-Sacramentale, nei locali delle Suore di mezzo Borgo, avviene con la sua assistenza spirituale;

         1956: campo alla Palanzana (Viterbo), Eremo di S. Antonio, m. 802 s.l.m.; ancora un incontro con i giovani, molti sono gli stessi di qualche anno prima. Il posto è incantevole e quel piccolo gruppo di ragazzi è entusiasta per l’iniziativa. Molti genitori, oltre a mio padre e me, si recano in “scooter” a far visita ai propri figli. La moto è d’obbligo poiché le strade sono solo mulattiere ed anche maltenute;  

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

         1957: frequento la 1^ media ed il corso di Religione, per un breve periodo, viene tenuto da don Luigi, sostituito poi da don Manfredo Manfredi fino alla fine dell’anno scolastico. Nei due anni successivi avrò come insegnante don Elio.

 

         L’omelia del Vescovo, Mons. Romano Rossi, è semplice e commovente. Strappa un lungo applauso alla comunità, accorsa numerosa alla Celebrazione Eucaristica ed al Rito Funebre di commiato, per un doveroso ringraziamento all’opera prestata da un “padre” che non c’è più.

         Don Luigi avrebbe semplicemente risposto citando il Vangelo: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv. 15,9).

 

         Una strana sensazione mi pervade nel corso della cerimonia: non riesco ad immaginare don Luigi “costretto” in una bara. Lo è il suo corpo, ma non il suo spirito. Quest’ultimo è certamente fra noi, presente.

         Confesso di non aver trovato il coraggio per andare in Ospedale a rendere omaggio alle sue spoglie mortali ma, credetemi, è stato più forte di me: quell’atto istintivo cercava, forse, di opporsi alla sua morte, cercava di mantenere “vivo” un riferimento, un pensiero, un’epoca, una giovinezza, un simbolo.

 

         La Santa Messa procede: Solenne nelle intenzioni, nelle Letture, nei Canti liturgici, nel Vangelo, nell’Eucarestia… ed io mi perdo ancora nei ricordi:

 

         1961: campeggio in prossimità dell’Eremo di Camaldoli, Appennino tosco-emiliano m. 1100 s.l.m. (rigorosamente maschile).

         Prima esperienza di autogestione adolescenziale e, forse, di incosciente avventura proposta da un “pazzo” sacerdote. Con don Luigi collaborava un “giovanissimo” Giuseppe (Peppe) Moroni e fungeva da cuoca Innocenza (Rosa) Calvanelli.

         Al secondo giorno un forte temporale spazzò via tutte le tende che usavamo come riparo. Dormivamo in terra su un posticcio sacco riempito di paglia che alla sera, dopo stancanti attività, risultava il più comodo materasso del mondo.

         Rosa cucinava benissimo, ma la nostra fame era incolmabile. Avevamo tutti una buona razione di caldo pane appena sfornato ed un’acqua ghiacciatissima, tanto da sconsigliare bucato ed abluzioni. In compenso avevamo il piacere di gustare, con una modica spesa, le “gemme di pino”, caramelle artigianali preparate dai frati camaldolesi (esperti farmacisti e speziali) dal gusto squisito e dall’effetto salutare. Avevo tre compagni di tenda: Carlo Bracci, Giuseppe Ascensioni e Mario Stefani, quest’ultimo scomparso prematuramente.

 

         Una Domenica, dopo la Messa , don Luigi ci portò in visita all’Eremo dei Padri Camaldolesi.

         Questi frati, dal caratteristico saio bianco, abitavano in celle piccole e spoglie: solo un Cristo crocifisso, un inginocchiatoio, libri di preghiere e meditazioni, un minuscolo tavolo ed un letto in legno.

         Qualcuno di noi chiese all’anziano frate che ci guidava nella visita se non sentisse nostalgia della vita secolare, se non gli mancasse la radio o la televisione, come occupasse il suo tempo libero. La risposta ci sorprese: “Vedete ragazzi – iniziò l’anziano frate con voce calda e suadente – sono tanti anni che conduco questa vita e ciò nonostante, ogni giorno, aspetto con ansia il momento delle mie preghiere perchè mi fanno sentire vicino a Colui per il quale ho consacrato me stesso. Il resto della giornata è un continuo lavorare nei campi, per il nostro sostentamento, ed un vagare continuo, in ogni luogo, pronti a confortare tutti coloro che soffrono. Se alla sera non ci sentiamo sufficientemente stanchi, apriamo la finestra della nostra accogliente stanza ed ammiriamo ciò che di più bello ci ha dato il Signore: uno splendido cielo ed un numero infinito di corpi celesti che nessuno di noi frati è mai riuscito a contare per intero!”

 

         Di quel periodo ricordo passeggiate interminabili: Soci per lo struscio serale, Moggiona per l’acquisto di souvenir artigianali, Serravalle per ascoltare, intorno ad uno sgangherato juke-box, i successi canori di Nico Fidenco (Legata ad un granello di sabbia e What a Sky, Il mondo di Suzie Wong), Bibbiena e Poppi per la visita di una infinita quantità di tesori artistici.

         Quei 15 giorni trascorrevano veloci e lasciavano una nostalgia sconvolgente, nonostante le numerose vicissitudini.

         Tutti si ritornava pieni di entusiasmo, soddisfatti per quella “assoluta libertà” consumata, felici di quei colloqui con cui, don Luigi, sapeva soddisfare quella sete di conoscenze adolescenziali che ci pervadeva. Molti e molti di noi lo avremmo seguito anche in capo al mondo!

         1962: campeggio estivo a Passo la Calla (Campigna), m. 1.296 s.l.m.. Siamo a brevissima distanza da Capo d’Arno (sorgente dell’omonimo fiume, sul Monte Falterona): un’acqua limpida e gelida, un paesaggio incantato dell’Appennino tosco-emiliano. Il pianoro che segna la caratteristica località è il nostro spazio per il campo; una piccola costruzione in muratura (concessa in uso) è sufficientemente attrezzata per funzionare da “cucina”; Peppe Moroni è il collaboratore organizzativo e Rosa Calvanelli l’esperta cuoca.

         Partecipano al campo anche persone molto più grandi: Francesco (Checchino) Ceccarelli, Nazzareno (Neno) Bracci, Bruno Olivieri, Gianmario Ferri.

Le temperature, nonostante sia estate, risultano molto basse e Ideale (Lillo) Pacelli è costretto, dopo due giorni, ad abbandonare il campo per motivi di salute: una terribile tonsillite, con febbre molto alta, allarma l’intero gruppo di campeggiatori.

         Il luogo scelto risulta molto isolato. Si popola la domenica: persone che, per il caldo delle città, salgono a quota 1200 s.l.m. per un po’ di refrigerio. I posti più vicini sono Campigna, a 3,5 km ., e un minuscolo chalet, “Lo scoiattolo”, che funziona come ristorante ed albergo. Noi più piccoli non abbiamo soldi per usufruire di tali servizi ma con la scusa di accompagnare Antonio Mezzopra e Peppe Moroni, che spesso vi si recavano a cena, abbiamo l’opportunità di vedere un po’ di televisione.

         Qualche giorno prima della fine del campo otteniamo il permesso di recarci a Camaldoli (luogo del campo dell’anno precedente) percorrendo esclusivamente sentieri di montagna (una bella responsabilità per don Luigi, ma “l’incoscienza” faceva parte del suo carattere!). Partenza di buon mattino: 2 tende, le provviste sufficienti per tre giorni, qualche indumento di ricambio, le piantine del percorso e via… in dieci, con l’accordo di ritrovarci a Camaldoli, dopo tre giorni, per rientrare tutti insieme a casa.

         L’ impresa si concluse, felicemente, alle ore 23,30 dello stesso giorno. Avendo calcolato male le distanze (circa 25 km di sentieri di montagna) ed avendo commesso qualche errore nell’interpretazione delle carte (credo che percorremmo oltre 40 km) giungemmo a Camaldoli sfiniti, affamati, sconvolti. Ci addormentammo su di un marciapiede in pietra dopo aver mangiato voracemente il contenuto di una scatoletta di sott’aceti. Dieci “irresponsabili” che desidero ricordare: Tommaso Gionfra, Antonio Mezzopra, Salvatore (Nuzzo) Gnisci, Mario Stefani, Mario Mastrogregori, Attilio Agnitelli, Alfredo Olivieri, Mauro Ceccarelli, Luigi Lupi ed il sottoscritto. Ricordammo quell’impresa per lungo tempo;

         1963: campeggio estivo alla Camosciara (nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo) m. 1.100 s.l.m.. Per la prima volta un campeggio misto! Le critiche a tale iniziativa furono interminabili: ragazzi e ragazze insieme… lontani da casa… per 15 giorni: uno scandalo! Solo un prete “esaltato” ed “incosciente” poteva partorire questa assurda idea.

Fortuna volle che moltissime mamme cedettero alle richieste dei propri figli e che tale formativa esperienza durasse per ben tre anni: 1963, 1964, 1965.

         Nel primo e secondo anno, noi ragazzi eravamo accampati nelle folte abetaie della Camosciara, mentre le ragazze alloggiavano in edifici concessi in uso dalla Amministrazione Comunale di Villetta Barrea. Il terzo anno ottenemmo, dal Comune di Civitella Alfedena, l’autorizzazione ad utilizzare l’edificio scolastico per l’alloggio delle ragazze ed una adiacente area pianeggiante per la sistemazione delle tende dei ragazzi.

         Raccontare le esperienze di quel periodo, l’allegria, gli eventi tragici e comici, l’incoscienza di quel periodo, risulterebbe pressoché impossibile. Ricordo solo che, per l’entusiasmo, i partecipanti al campo del primo anno furono gli stessi partecipanti dei campi successivi, seguiti, via via, da un numero sempre crescente di giovani.

         Vale forse la pena ricordare le difficoltà incontrate e superate (vista la “testardaggine” del nostro eroe) per la realizzazione di tali iniziative: i difficoltosi permessi rilasciati dall’Ente Parco, l’individuazione di aree idonee agli accampamenti, la logistica nei collegamenti, il vettovagliamento trasferito con difficoltà e mezzi di fortuna da Vignanello alle località del campo. I sopralluoghi con gli Agenti forestali prima dell’inizio dell’attività, la preparazione di pasti caldi per i ragazzi realizzati dall’impareggiabile Rosa con cucine da campo approssimative, le tante, tante emergenze che si presentavano ogni giorno.

         Qualche fatto curioso? Il “furto” di barattoloni di tonno e di confezioni di mortadella per la fame patita, le escursioni in autostop per la visita di Pescasseroli, Castel di Sangro o Sulmona, l’incontro di calcio (con rissa finale) Vignanello – Villetta Barrea, il terrore del mancato rientro di don Luigi al termine di una escursione fatta in montagna con i “piccoli” del campo, le cadute ricorrenti nel ruscello di acqua gelida che separava la buia strada per la Camosciara con gli spazi usati per le nostre tende, l’escursione di due giorni organizzata per la visita del Rifugio Resuni (m. 1.500 s.l.m.) e la notte insonne trascorsa da don Luigi, accovacciato di traverso sulla apertura di comunicazione tra il piccolo spazio riservato alle femmine e quello riservato ai maschi, l’assillante richiesta della popolazione di Civitella Alfedena che voleva don Luigi parroco del posto perché il loro Vescovo non si decideva ad inviarne uno tutto per loro, l’amicizia nata con il proprietario del chiosco, con annessa trattoria, da cui acquistavamo dolci e piccoli oggetti di artigianato abruzzese, i chilometri e chilometri di strada percorsi per andare dal campo al paese e viceversa, gli scherzi di dubbio gusto consumati nei confronti dei “novizi” del campo, le tante ore dedicate alla “abbronzatura di montagna”, sotto un sole quasi irresistibile, in compagnia di Nicola e Domenico (The Greeck Gods), le innocenti “simpatie” nate con le ragazze del posto, i pomeriggi trascorsi in un piccolissimo bar ad ascoltare la musica e le canzoni del tempo, e poi Passo Godi, Barrea, Scanno e paesaggi sconfinati dove vagava la nostra immaginazione e dove il piacere del silenzio fortificava quell’infinito amore per la montagna che, con gli anni, don Luigi era riuscito a far germogliare in tutti noi;

         1964: per incarico di don Luigi ed in rappresentanza del Circolo A.C.L.I., partecipai ad un Corso Estivo di Formazione A.C.L.I. che si tenne al Terminillo.

         In tale circostanza ebbi l’opportunità di conoscere due grandi personaggi: uno politico, Bartolomeo Ciccardini detto Bartolo, ed uno ecclesiastico, don Pierino Gelmini. Il primo fu Deputato al Parlamento italiano per sei legislature con cinque incarichi di sottosegretario alla Difesa, il secondo fu fondatore della Comunità “Incontro” di Amelia volta al recupero di “soggetti difficili”.

         Il carattere ed il carisma di questi due personaggi ricordava il carattere, le idee ed il carisma di don Luigi: fui in contatto con loro per molto tempo.

 

         Torno per un attimo alla realtà, in Chiesa, e mi rendo conto che le circostanze descritte non sono che la proiezione accelerata di un film: quello della mia vita! Questo Uomo che tanto rivedo e di cui tanto sto parlando non c’è più, e sono certo che soffrirò per la sua mancanza.

         Continua la somministrazione dell’Eucaristia: un fiume di persone si alternano per poter ricevere la Particola come ultimo gesto d’amore reso ad un personaggio ineguagliabile. Nella mia testa continua il disordinato e rapido susseguirsi di fatti ed immagini:

         1965: nei locali in disuso dell’ex Ospedale Ruspoli riprende il funzionamento del Ricovero di Mendicità causato dall’arrivo di un “ospite confinato per motivi di sicurezza”. Si chiama Cosimo e viene da Palermo, il suo cognome non l’ho mai conosciuto. Don Luigi mi assegna l’incarico di Segretario, compenso Lit. 4.000 al mese. Il compito da svolgere consiste nella compilazione periodica di notizie da inviare in Prefettura e nel provvedere alla predisposizione dei Mandati di pagamento per le spese sostenute dalla Sig.ra Cecilia Marini che, come cuoca, provvedeva alla preparazione dei pasti da somministrare al giovane Cosimo. L’incarico durò per due anni e spesso mi recavo presso la sede del Ricovero di Mendicità per assolvere le mie funzioni e per accertarmi che tutto procedesse per il meglio. Feci anche amicizia con Cosimo ma non riuscii a staccarlo dal suo volontario isolamento. Quando tornò al suo paese mi scrisse per ringraziarmi dell’amicizia. Poi qualche cartolina, a cui risposi, e poi più niente.

 

         Mons. Rossi riprende la parola al termine della Comunione. La Messa Solenne volge al termine e mi accorgo, per la prima volta, di aver seguito pochissimo la celebrazione perso, com’ero, in una infinità di ricordi e di immagini.

 

         La benedizione di saluto ed il Rito funebre non mi distolgono dal pensare e rivisitare altre circostanze curiose e piacevoli:

         1976: con don Luigi, e mio padre Caio, affrontammo un lungo viaggio per una “pazza idea”. Un’idea che don Luigi custodiva da sempre nel suo cuore e che nasce da un infinito amore per la montagna. La meta è San Martino di Castrozza (TN), 630 Km . per vedere un Albergo di 150 camere posto in vendita per chiusura di attività. Il prezzo non lo ricordo, ricordo solo che era una cifra astronomica: ma questa, per don Luigi, era la preoccupazione minore! Si visionò l’immobile, si accennò ad eventuali modalità di pagamento ma poi non si fece nulla. Con l’occasione, però, don Luigi volle fare una piccola deviazione, a Sesto Punteria, per la visita di un Centro vacanze di proprietà di un parroco di Civita Castellana, don Checchino. La distanza, 135 Km ., non era eccessiva ma il percorso tortuosissimo; impiegammo 4/5 ore, ma lo spettacoloso scenario alpestre ripagò magnificamente il disaggio subito.

 

         Don Luigi era, caratterialmente, “un girovago”: amava spostarsi, viaggiare, vedere città e luoghi sconosciuti. Diceva di non aver mai pensato alla patente di guida perchè avrebbe speso più tempo a viaggiare che a fare il prete (una passione che accomuna tanti sacerdoti!).

 

         1978: colti da nostalgia decidemmo di ritornare in Abruzzo. Il viaggio fu una rievocazione di tutto ciò che era accaduto molti anni prima. Ricordammo fatti curiosi ed esilaranti, riflettemmo sulle difficoltà superate e decantammo la particolarità del posto: abetaie sconfinate, silenzio pressoché assoluto, ospitalità e riservatezza degli abitanti, natura splendida ed ineguagliabile. 

         La visita dei “nostri” luoghi fu molto serrata: Opi, un paesino caratteristico con una sola entrata e la medesima uscita, un giro panoramico a Villetta Barrea, una visita a Civitella Alfedena, con passeggiata in pineta. Il pranzo fu consumato nella piccolissima Trattoria della Camosciara. Riconoscemmo immediatamente il proprietario e fummo tentati di salutarlo calorosamente (erano trascorsi 14 anni dal nostro ultimo campo) ma, avemmo l’impressione che non si ricordasse più di noi.    Nel corso del pranzo, il proprietario tornava spesso da noi per soddisfare altre richieste ma senza mai accennare ad un saluto, un cenno con il capo… niente!

         Al momento del caffè, don Luigi non potette trattenersi dal chiedere se si ricordasse di noi: “Certamente – rispose l’uomo – lei è padre Luigi ed è stato in campeggio qui nel 1963 e nel 1964” . Rimanemmo sconvolti dalla risposta. “Avrei voluto salutarvi all’arrivo – continuò – ma stavate conversando e non mi sono permesso di disturbare”. “Alla faccia della riservatezza!“ concluse don Luigi.

         Ci fu un cordiale saluto con la promessa di rivederci presto (cosa che non si realizzò per mille altri motivi) e ci spostammo a Pescasseroli dove, casualmente, veniva posto in vendita un immenso e splendido palazzo che versava in condizioni disastrose. Vidi un lampo negli occhi di don Luigi, un lampo che conoscevo bene!

         Un vigile urbano ci segnalò un indirizzo dove incontrammo una persona incaricata del possibile collegamento con i proprietari. Ottenemmo un numero telefonico di Napoli ed il nome della proprietaria (Donna Alberica dei Conti di non so dove), una nobile partenopea che non aveva più interesse a mantenere l’immobile.       Quando telefonicamente le dissi che la persona interessata era un sacerdote si mostrò particolarmente disponibile ad un incontro per definire la cosa, ma poi… la testa di don Luigi prese altre direzioni e tutto finì come era principiato;

        

         1979: la donazione di un immobile in Piazza Cesare Battisti da parte dei coniugi Maddalena e Lamberto Lelli, con la precisa volontà destinarlo alla realizzazione di un Pensionato per anziani, creò non poche preoccupazioni al nostro eroe.

         I lavori di risanamento e ristrutturazione dell’immobile furono molto onerosi e durarono per lungo tempo. La struttura fu avviata, gradualmente, ad avanzamento lavori e diversi ospiti vennero accolti nel costituendo “Pensionato Maddalena e Lamberto Lelli”. Purtroppo varie concause di carattere legislativo, economico e la troppa ingenuità imprenditoriale non permisero un continuo e regolare funzionamento che potesse soddisfare le diverse necessità degli ospitati, tanto da giungere, in tempi recenti, all’interruzione dei servizi.

 

         Ma come era la sua vita di tutti giorni? Don Luigi è un personaggio eclettico: intelligente, versatile, eterogeneo, enciclopedico, spiritoso, pungente, cortese e scorbutico, amorevole e severo, disponibile e testardo.

         Don Luigi è l’uomo della “ratio”: legge, legge in continuazione, tutto e di tutto. E’ un instancabile ricercatore della “verità”, non solo di quella religiosa ma di tutte le “verità”. Ha il coraggio di ammettere gli “errori”: quelli di chi ha usato impropriamente la religione e quelli da lui commessi nella vita.

         Questo è quello che più amo in lui. Questo senso di autocritica è quello che, più di ogni altra cosa, ha trasmesso ai ragazzi della mia generazione.

 

         Desidero ricordare alcune circostanze nelle quali emerge il suo variegato carattere, circostanze tra il serio ed il faceto, circostanze che alcuni ignorano ma che avranno il piacere di leggere, e che altri ricordano ma che, sicuramente, avranno il piacere di riascoltare.

         Ho già detto di quanto gradisse “girovagare per il mondo” per motivi più disparati, motivi a volte seri ed altri quasi inutili. Saliva in auto sul sedile anteriore e dopo aver accuratamente sistemato la tonaca, si aggrappava con la destra alla maniglia posta in alto alla portiera. Era il segnale che “si poteva partire”. Il primo pensiero era per il rifornimento di carburante, che doveva avvenire esclusivamente a sue spese.

         Suoi compagni di viaggio fummo tanti e ciascuno di noi ebbe da raccontare certamente qualcosa. Spesso l’autista era Casimiro Grattarola, altre volte Geo Gazzarini, Guido Tabacchini, Luigi Antonozzi, Carlo Bracci (questi fu anche uno degli “autisti ufficiali” del Bottegone Vagante) e Silvano Martiri, che portava sempre al seguito Francesco (Checco) Piccioni (Checco i’ bello).

         Di Casimiro ho già scritto nel trascorso mese di gennaio ma voglio ricordare una seconda curiosa circostanza.

         I due, Casimiro e don Luigi, si erano recati a Roma per qualche affare che don Luigi doveva sbrigare relativamente ad incombenze parrocchiali. Terminato il giro degli impegni obbligatori, si accorsero che avevano tempo a disposizione e pertanto decisero di utilizzare una strada più lunga per tornare a Vignanello.

         Casimiro, pensando ad uno scherzo che potesse mettere in difficoltà il “prete”, prese la Via Tiburtina che percorse fino al G.R.A. dove, fingendo di sbagliare, continuò per un tratto di strada sufficiente ad incontrare un gruppetto di “donnette” intente ad esercitare la loro “professione”. La vista di don Luigi non creò in loro particolare effetto, ma quando lo stesso chiese a Casimiro di fermarsi per distribuire alle donne tutto il danaro che aveva in tasca, con l’idea di toglierle dalla strada, queste, visto il danaro, si allontanarono velocemente pensando chissà cosa. “Ha’ visto don Lui’ – disse pronto Casimiro – so’ così religiose che co’ i preti nun ce vanno. Manco co’ quelli che le pagono!” Casimiro ripartì e velocemente fecero rientro.

         Immaginate quali commenti seguirono al racconto che Casimiro riferì, di pomeriggio, a tutti coloro che frequentavano il Circolo A.C.L.I. e quali “battute” dovette abbozzare don Luigi.

 

         Un fatto analogo ed ugualmente comico si verificò nella stradina che, dalla S.P. Canepinese, consentiva l’accesso ai terreni che don Luigi aveva acquistato al Cimino.             

         L’equipaggio auto: alla guida Silvano Martiri, sul sedile anteriore don Luigi e sul sedile posteriore “Checco i’ bello”.

         Primo pomeriggio di un’estate torrida: fa molto caldo e i tre decidono di fare una passeggiata in montagna, per ossigenarsi e rinfrescarsi.

         La strada da percorrere è breve, una decina di chilometri, e l’ora particolare, le tredici circa, permette un rapido raggiungimento della meta. Lasciata la strada provinciale ed imboccata la secondaria, l’attenzione cade su una macchina ferma con un uomo, in piedi, parzialmente nascosto da una portiera aperta. Silvano continua la sua marcia, con andatura più lenta, per osservare, con gli altri compagni, la strana postura dell’uomo che vista la macchina, ma non i passeggeri, fa cenno con la mano di continuare. L’auto dei nostri amici continua lentamente e in corrispondenza dell’uomo, impegnato in una sconcia “performance” sessuale unitamente ad una “signorina” discinta, anziché continuare si blocca.

         Silvano non sa che fare, Checco scruta di nascosto la scena, don Luigi continua a ripetere di continuare la marcia. L’uomo in piedi, nel vedere un prete a brevissima distanza, si “tuffa” all’interno della sua auto coprendo con il suo corpo quello della partner e chiude lestamente la portiera.

         Un attimo di imbarazzo, poi Silvano riparte e tutto termina senza che se ne parli più per l’intero pomeriggio.

         La discrezione che Checco e Silvano riservarono a don Luigi non fu, però, la stessa che usarono la sera quando il fatto fu riproposto, con dovizia di particolari, ai soliti frequentatori del Circolo.

Riferiva Checco: “ Sirvano s’era fermato tanto vicino che quello cristiano e don Luigi se poteno dà ‘a mano! Quanno quello ha visto i’ prete, ha sbiancato. Manco si gli’essero dato ‘na roncettata!”

         Anche questo fatto venne detto e ridetto tantissime volte ma mai, per rispetto, in presenza di don Luigi.

 

         Alla Domenica, dopo la Messa , don Luigi aveva l’abitudine di venire al Circolo A.C.L.I. prima di salire in casa per consumare il pranzo.

         Il suo comportamento, all’entrata, è ben rappresentato nella ricorrente immagine di Gesù che caccia i mercanti dal Tempio. Infuriato per la mancata presenza dei Soci del Circolo alla Celebrazione liturgica, si avventava sulle carte da gioco utilizzate nei diversi tavoli, gettandole in terra e decretando, di fatto, il termine delle partite.        

         Le proteste non lo intimorivano, anzi di fronte ad una reazione di un giocatore di biliardo, a cui aveva scombinato la posizione delle biglie, finse di colpirlo con un calcio. Lo fece con tale foga che l’altezza raggiunta dalla gamba destra fu tale da trascinare, per mezzo della tonaca allacciata fino in fondo, anche la gamba sinistra con il risultato che il caro don Luigi cadde pesantemente all’indietro, finì contro una porta a “bandiera” che si aprì, e dopo la sua caduta si richiuse facendolo scomparire, dalla vista. Ci precipitammo per soccorrerlo ma lui, disteso e dolorante mormorò: “Lasciateme stà un momento così, fermo fermo!”

         Qualcuno scherzosamente sentenziò: “Troppo poco, chi la fa, l’aspetti!”.  

         Un episodio che lui era solito ripetere era quello accaduto in uno dei campeggi alla Camosciara.

         Nel corso di tali campi don Luigi era solito dedicarsi premurosamente all’educazione dei più piccoli. A volte tale compito sfociava nella incoscienza, e quindi si recava con questi bambini nei luoghi più impensati per ammirare la natura (rimase un intero pomeriggio, e parte della serata, a recuperare alcuni di questi bambini che non riuscivano a ritornare indietro perché bloccati da un pericoloso dirupo da scavalcare. Solo la ricerca e l’aiuto di noi più grandi, allarmati dal mancato rientro, fece concludere felicemente l’avventura), oppure li istruiva sulla fauna caratteristica del luogo.

         Molti di questi animali erano completamente sconosciuti ai più e don Luigi si preoccupava di far conoscere nome ed abitudini ai piccoli frequentatori del campo. Durante una di queste lezioni naturalistiche Mauro Sbarra, oggi comproprietario del Bar Moderno, iniziò a gridare: “Dolloviggi, dolloviggi. Guarda un po’: l’asino quello è fatto un’andra maniera!” Lo diceva in tono spaventato, indicando con la mano una placida mucca intenta a ruminare. Il fatto era che Mauro, piccolissimo, non aveva mai visto una mucca ma solo qualche somaro che ancora circolava per il nostro paese.

         Per lungo tempo don Luigi, incontrando Mauro ormai adulto, continuava a chiamarlo “l’asino quello” in segno di scherno.

 

         Luigi Calvanelli nasce a Vignanello il 30 Maggio 1922 da Duilio (1890–1943) e Pia Annesi (1892–1978). Duilio è un bell’uomo e Pia una bellissima ragazza. Duilio, come ricordava don Luigi commentando una foto apparsa in “Vignanello in cartoline d’epoca” pag. 25, “Glie facéa a ronna” insistentemente, tanto da finirne ricambiato. I due si unirono in matrimonio il 14 Febbraio 1912 (giorno di San Valentino, non ancora istituito come giorno della Festa degli Innamorati) e si vollero un mondo di bene, come ripeteva don Luigi (probabilmente il giorno scelto per le nozze fu di buon auspicio!).

         Duilio e Pia ebbero cinque figli: Lea (1913–1995), Filomena (1915–1915), Luigi (1919–1920), Luigi (1922–2010) e Innocenza detta Rosa (1924–2002).  
 

         Nel 1943 Duilio, unica fonte di reddito per la famiglia, muore prematuramente lasciando la famiglia in una preoccupante situazione finanziaria. Un terreno di proprietà consente il sostentamento dopo la tragica circostanza.

 

         Dopo  la  morte  del  padre, Lea  si  unisce  in  matrimonio  con  Luigi  Gionfra (1897–1982), vignanellese trasferitosi a Roma nel 1934. Il matrimonio si celebra nel 1945 ed i due coniugi risiedono a Vignanello fino al 1954 poi, nel 1956, si trasferiscono a Roma da dove Lea ritornerà, alla morte del marito, nel 1982.

         Anche Innocenza, con la speranza di un futuro diverso da quello che la attende in paese, cerca fortuna a Roma dove si trasferisce nel 1957, quasi sicuramente in casa della sorella. Purtroppo le sua aspettative non si realizzano e così, nel 1961 (anno del primo campeggio a Camaldoli), torna a Vignanello e dedicherà il resto della sua vita, insieme alla madre Pia, al “sacerdote” don Luigi.

         Innocenza (‘a Rosa ‘e don Luigi) ha lasciato questa vita terrena nel 2002. La sua morte è stato un duro colpo per suo fratello e per comunità intera.

 

         Nel Dicembre dello scorso anno, Biagio Tusoni intervistò don Luigi per dar modo ai vignanellesi di conoscere più a fondo questo “strano” prete ed altrettanto “originale” uomo.

         L’intervista, per la quale mi complimento a posteriori, venne pubblicata nel Giornalino parrocchiale “Vignanello In…forma”.

         E’ l’analisi di una vita, contenuta ed intensa, fatta dallo stesso attore.

         Le domande poste, semplici ed efficaci, danno modo al soggetto di poter agevolmente rivisitare il suo percorso esistenziale: con grande soddisfazione, qualche rimpianto e velata nostalgia.

         Dall’articolo appena descritto venimmo a scoprire molto del caro don Luigi: la sua vocazione, lo stimolo materno alla vita sacerdotale, gli studi impegnativi in Seminario, la Laurea in Teologia, lo scontro pubblico con i Testimoni di Geova, il fascino dei Padri Gesuiti sparsi per il mondo, gli incontri importanti.

         All’età di undici anni entra in seminario diocesano a C. Castellana e poi frequenta il seminario regionale di La Quercia ; nel giugno del 1947 viene ordinato sacerdote e il 29 celebra la sua prima Messa nella Chiesa di S.M. della Presentazione.

         Il 30 Novembre del 1956 viene nominato Abate Parroco di Vignanello.

         Una vita contenuta come schema di eventi: difficoltà in ambito familiare (ma chi di noi non ne ha!), anni di studio e preparazione (l’impegno di tutti!), vita sacerdotale alleviata dalla presenza amorevole di persone care (molti non hanno tale fortuna!), la possibilità di una vita tranquilla (a questo si riferiva don Luigi quando, riportando il pensiero di alcuni, diceva: “E’ ‘rivato ‘n antro magnone”).

         Una vita circoscritta considerata la sua ossessiva voglia di “spaziare” in ogni campo ed in ogni luogo. Una vita costretta dalla realtà di un luogo con mentalità contadina. Solo il troppo amore per il suo “gregge” è riuscito a trattenerlo per tanti anni in questo abulico paese.

 

         Ma anche una vita intensa come impegno: un lavoro immane per sradicare l’antico concetto di “prete padrone”, quel concetto che don Luigi riscontrò nella gente, in tutta quella popolazione abituata ai modi ed al rigido tradizionalismo del suo predecessore.

         Una vita intensa confortata da una Fede incrollabile e da una volontà ineguagliabile. Una vita intensa come è la vita di chi ha avuto la grande fortuna di incontrare il Signore!

 

         Desidero, con tutto me stesso, soffermarmi su questo aspetto perché coglie appieno il senso della sua esistenza e della sua missione.

 

Dall’Omelia dell’Em.mo Card. Joseph Ratzinger per la Messa Esequiale del defunto Romano Pontefice, P.zza S. Pietro 8 aprile 2005.

         “Seguimi” dice il Signore risorto a Pietro, come sua ultima parola a questo discepolo, scelto per pascere le sue pecore.“Seguimi” – questa parola lapidaria di Cristo può essere considerata la chiave per comprendere il messaggio che viene dalla vita del nostro compianto ed amato Papa Giovanni Paolo II, le cui spoglie deponiamo oggi nella terra come seme di immortalità – il cuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosa speranza e di profonda gratitudine.

 

         Questo il messaggio più grande che dovremmo cogliere dalla vita terrena di chi ci ha lasciato per un incontro agognato da sempre: l’incontro con il Signore dopo aver assolto la sua missione!

         Da questa magnifica e profonda Omelia dovremmo trarre conforto per il dolore causato dall’evento luttuoso che stiamo celebrando.

 

         Racconta don Luigi, nella sua intervista, che le parole dei Gesuiti, i film proiettati, le sere stellate, i discorsi di questi preti lo estasiavano, la scoperta della grandezza del Vangelo lo spinse a farsi prete.

         Certamente questo fu l’approccio ma la sostanza fu diversa. Anche per lui fu senz’altro una invitante voce, appena sussurrata: “Seguimi!”. Fu l’esortazione di quell’imperativo pressante: “Seguimi!”. Fu il tarlo di quella voce alitata che si era trasformata in un martellante suono: “Seguimi!”. Fu quel magnetico sussurro che era divenuto assordante e ineludibile: “Seguimi!”.

         Niente è più saggiamente grande del Vangelo, quel Vangelo che don Luigi scoprì e lesse per tante, tante volte e dal quale scoprì la motivazione di tanto trasporto: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv. 15,16).

 

         Capì presto che la Chiesa aveva bisogno di cambiamenti. Se ciò non fosse avvenuto avrebbe corso il rischio di invecchiare. Capì che c’era bisogno di aria ed abitudini nuove, di servire la gente, di aprire a nuove esperienze. C’era bisogno di una rivalutazione dei Sacramenti, dell’aiuto ai bisognosi, della creazione di realtà “operanti” nei campi più disparati.

 

         “Perché battezzate i neonati?” Ripeteva al Fonte Battesimale, “Portateli da Grandi! Anche Cristo si è battezzato da grande!”

         “Perché decidete di sposarvi?” Ripeteva nel Corso di preparazione al Matrimonio, “Andate a convivere, non create altri “disgraziati” che, come voi, non parteciperanno alla vita della comunità cristiana!”

        

         Queste sue “uscite”, ritenute quasi prossime all’eresia, suonavano come esternazioni stravaganti. Pensavamo alle affermazioni di un esaltato e, in parte, tacitavano le nostre coscienze. Stupiti! Infantili! Superficiali! Scettici! Questo eravamo: sordi e felici di non sentire! Il suo era solo un invito: “Alzatevi, andiamo!”

 

         In questi ultimi giorni mi sono mosso per attingere notizie sul tema.

         Mi ripetono in modo ricorrente le solite frasi, frasi che tutti antepongono a qualsiasi giudizio: “Don Luigi stava troppo avanti. Nu’ l’avemo capito. Parlea troppo difficile. Glie volea levà a sedia da i’ Papa. Capìa solo esso.”

         Forse faremmo tutti meglio a chiedere scusa per gli insegnamenti inascoltati, per la disponibilità negata, per gli interessi personali irrinunciabili.

         In tutti ho riscontrato un unico rimpianto: non sentire più le sue critiche, i suoi ripetuti rimproveri, il suo costante stimolo a “FARE”.

         Colpiva, durante la Messa quel personale “spezzare il pane” che accompagnava con il rituale “FATE questo in memoria di me”, marcando il verbo FARE.  

 

         Grande è stato l’amore che don Luigi ha nutrito verso tutti noi parrocchiani ed immensa la magnanimità nei confronti del prossimo. Un amore ed una magnanimità che non gli ha mai consentito più di un cappotto liso e di due tonache (una per tutti i giorni e una per le occasioni, come diceva lui), rifiutava un cappotto più nuovo perché diceva: “Che c’ho da fa’, mica so’ i’ Vescovo. E’ meglio un pezzo ‘e pane per chi c’ha bisogno!”

         Il Vangelo, ancora il Vangelo: “Il buon pastore offre la vita per le pecore” (Gv. 10,11). E finalmente: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimante nel mio amore” (Gv. 15,9).

        

         Ore 17 del 17.11.2010: la Messa Solenne è terminata ed anche il Rito Funebre di commiato. Anche la mia storia e terminata: in una Chiesa, come avevo premesso. Non ho seguito attentamente le celebrazioni, vorrei uscire e dimenticare questo giorno ma qualcosa mi spinge ad avvicinarmi alla semplice bara in legno e ad accarezzarla, come se volessi trasmettere al corpo del suo occupante un po’ di “calore” ed infinita riconoscenza.

         Non certo alla sua anima che, comodamente seduta sul parapetto della loggia d’organo e gambe “a penzoloni”, sorride beatamente mormorando: “Non ce l’ho fatta da vivo, ma da morto v’ ho portato tutti in Chiesa!”

 

         Credetemi, non pensavo di poter dire tante cose su questo mio indimenticabile “personaggio di dicembre 2010” , ma mi accorgo anche di averne trascurate tante altre curiose: il rispetto e la stima per don Giovanni Cardarelli, la capacità di ritrovare immediatamente qualsiasi cosa nel mare di disordine che regnava tra le sue carte, i dibattiti politici con i Sindaci del paese, Radio Domani e la passione per la comunicazione, la velata contrarietà per le suore ed i carismatici (lui preferiva l’azione: “La preghiera è importante – ripeteva – ma l’agire lo è di più”), il suo impossibile cappello di paglia indossato nel corso dell’estate, la sua costante voglia di acquistare immobili da utilizzare per future improbabili finalità sociali.

         Una cosa mi torna in mente e mi consente di far conoscere quale capacità espressiva possedesse e quale passione scatenassero le sue Omelie domenicali, Omelie che non si limitavano alla semplice spiegazione del Vangelo, ma che toccavano i bisogni e le esigente della gente; spesso c’era più spazio per i quotidiani che per il Vangelo!

         Quando ero molto più giovane ed assistevo (sempre poco, per la verità!) alla Messa domenicale, incontrai una attempata coppia di coniugi, poi seppi che venivano da Terni, i quali tutte le domeniche affrontavano il viaggio di andata e ritorno per ascoltare l’Omelia di don Luigi. “Come mai – chiesi una domenica che si erano attardati in Chiesa – questa scelta? Siete di origine vignanellese?”, “Assolutamente no – rispose l’uomo – veniamo per l’immenso piacere che abbiamo nell’ascoltare un Vangelo moderno.”

         La risposta mi colpì, e quasi mi commosse la dolcezza con cui quella frase fu pronunciata. Non lo dimenticherò mai.

 

         Una cosa è certa, tutti rientreremo a casa un po’ più poveri dentro e ci peserà per lungo tempo la mancanza di un paziente padre, di un affettuoso fratello,di un fidato amico.

         Ogni vignanellese potrà ricordare un aneddoto, un fatto, una circostanza, un qualcosa che avrà avuto a che fare con lui, con le sue abitudini, con il suo carattere, con la sua cultura, con la sua missione cristiana, con le sue iniziative, con la sua testardaggine, con il suo amore.

         Vorrei formalizzare un ringraziamento a nome della comunità, un ringraziamento per quanto ci ha insegnato, per quanto ci ha lasciato, per quanto ci ha amati, e sono certo che lui ricambierebbe il complimento rispondendo che grazie a noi tutti, ha avuto l’opportunità di incontrare Cristo: ogni giorno!

 

         Il mio ringraziamento personale è comunque doveroso, un ringraziamento all’amico ed al sacerdote per ciò che ha saputo trasmettermi e per il piacere della sua compagnia: grazie don Luigi, grazie di cuore.

 

         Questa è la storia lunghissima di un personaggio unico. Spero solo di non avervi annoiato. Se così fosse, credetemi, non era nelle mie intenzioni!

 

         Cordialmente

 

Vignanello, 30 Dicembre 2010