26.06.11 GIUGNO 2011
Per questo ultimo mese un... costume vignanellese.
L’INCONTENIBILE PASSIONE PER IL BALLO (Carnevale e… contorni!)
Raccontare gli anni spensierati e felici dell’Holiday è stata anche un’occasione per ripensare ad altri sani divertimenti consumati nel corso della gioventù. Divertimenti che derivavano da abitudini ancora più antiche e consolidate, “passioni” che, per generazioni, avevano allietato i giovani del nostro paese. Una gioventù differente la loro: breve, concomitante con un periodo storico difficile, rattristata dalla guerra, segnata dalla scarsità di cibo, costretta ad un eccesso di responsabilità, poco acculturata e prevalentemente stanziale. Parlando della cosa con i miei genitori ascoltavo la solita storia, le medesime spiegazioni: non c’era tempo per il divertimento, altre cose occupavano la mente, bisognava imparare un lavoro (solitamente quello del padre), si doveva mettere su famiglia (molto presto), si dovevano mettere al mondo figli (forse anche troppi). E si finiva per trascorrere una normalissima vita da “indigeno paesano”. Vignanello vantava un alto numero di contadini, un discreto numero di artigiani, un limitato numero di commercianti ed un quasi inesistente numero di impiegati. Alcuni, pochi per la verità, si recavano in città per imparare meglio “il mestiere” (mio padre Caio, classe 1913, lo fece recandosi a Roma all’età di 14 anni) ma, inevitabilmente, ritornavano in questa amata ed odiata realtà paesana. Dicevo che il corso della “spensierata” gioventù era molto breve! Ebbene era proprio così. Per i giovani era previsto un ricorrente richiamo alle armi che, con l’obbligo di leva previsto all’età di 20 anni, sottraeva ulteriori cinque, sei o sette anni, alla vita di tutti gli uomini. Per le ragazze la gioventù non esisteva quasi, così come non esisteva emancipazione. Le donne, poi, non avevano scampo: sarte (come Ida, mia madre), o casalinghe come le tantissime altre. La crescita culturale, la “visibilità”, la vita pubblica, un possibile successo femminile, avevano lo stesso effetto di un’infamia per l’intera famiglia (non era certo tempo di “veline”!) Desidero, in proposito, raccontare un fatto accaduto nella casa, da nubile, di mia madre. C’era nella famiglia Pugliesi una generale predisposizione per il canto, nonno Angelo (Angelino “i’ fabbricchio”) 1885-1965 accompagnava cantando, insieme ai membri della Confraternita dei Sacconi, la Processione del Venerdì Santo. La voce imperiosa di coloro che si esibivano in un commovente acuto, proprio in corrispondenza della Piazzetta della Colonna, dicono si potesse sentire distintamente fino alla curva di Selva Luce, sopra Canepina. Ma l’eccellenza nel canto, in famiglia, fu raggiunta da mia zia Barbara (1911-2003) che possedeva, a detta di intenditori, una bellissima voce da soprano. Le continue insistenze di zia e degli accreditati estimatori convinsero Angelo e Zaira Mecozzi (1888-1975), sua moglie, ad effettuare una prova d’ascolto presso un importante maestro di canto lirico in Roma. Il maestro, terminato l’ascolto, si mostrò particolarmente interessato alla formazione professionale di mia zia, prevedendo un quasi certo successo, ma quando precisò che mia zia doveva trasferirsi a Roma per frequentare giornalmente le lezioni di canto, e per di più in casa del maestro, calò il gelo. Mio nonno prese zia Barbara per mano e la ricondusse a Vignanello, farfugliando che la frequentazione di tale scuola poteva compromettere la reputazione della figlia. Una storia emblematica che serve a testimoniare l’arretratezza culturale esistente in paese e di come possibili capacità artistiche venissero fatalmente sepolte da quell’assurdo modo di pensare.
Tempo libero e divertimento, dicevamo. Due cose quasi inesistenti fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. La Guerra è sempre fonte di grandi lutti e di immenso dolore, è la peggior disgrazia che può colpire un popolo, una nazione, un paese. La fine di questa tragedia, per fortuna, è anche una rinascita di vita, di novità, di costumi ed è anche principio di ripresa economica. Comunemente si afferma che la guerra è fine e rinascita contemporanea di ogni Paese, e fu proprio ciò che accadde in Italia dopo il 25 Aprile 1945!
Negli anni in cui il Paese era in guerra ed il suo “fragore” era lontano (ma non così lontane erano le preoccupazioni per coloro che erano al “fronte”) si lasciava poco spazio al divertimento ed al tempo libero e poi i rigidi costumi paesani non facilitavano gli svaghi. Gran parte degli uomini erano al servizio della Patria, richiamati in località sperdute all’Europa o dell’Africa. I giovani dovevano sopperire a quella mancanza per il sostentamento della famiglia e le donne non erano mai state abituate ad una vita di società. Le donne, le giovani ragazze erano abituate a condurre una vita di “vicinato”: l’unico modo per scambiarsi impressioni e confidenze senza far sorgere sospetti ed ipotesi di frequentazioni compromettenti. Poi la guerra vissuta direttamente in paese aveva sconcertato gli abitanti, con il terrore e le uccisioni. La voglia di divertimento di alcuni poteva apparire come voler dimenticare il dolore degli altri, come voler sottovalutare la morte. Il dolore solidale non lasciava spazio all’allegria, allo svago.
La fine di tutti questi dolorosi fatti concretizzò diverse “liberazioni”: dagli oppressori, dai dolorosi eventi e, finalmente, da una mentalità troppo conservatrice. C’era bisogno di aria nuova, di libertà, di divertimento, di speranza, d’amore. Era necessario dimenticare le paure ed i soprusi patiti, il troppo tempo trascorso senza alcuna dignità, senza alcun rispetto, quasi come animali. La “passeggiata” serale in Corso Matteotti, abitudinaria e consolidata negli anni (interrotta dal “coprifuoco” tedesco), riprese con maggior entusiasmo. I giovani, molti giovani, erano tornati a casa, chi dai campi di battaglia, chi dagli angusti nascondigli per evitare la deportazione, chi dai campi di prigionia. Le ragazze potevano rivedere le antiche “fiamme”, potevano tornare a sorridere, potevano tornare a vivere. La passeggiata su Corso Matteotti aveva delle regole precise. Il percorso andava da Piazza della Repubblica fino all’inizio di Corso Mazzini (Borgo). La ridottissima circolazione veicolare assimilava questo tratto di strada ad un’area pedonale, invasa da persone in costante movimento ed in allegra conversazione I gruppetti di giovani, prima omogenei per sesso e solo più tardi eterogenei, non avrebbero mai azzardato uno sconfinamento, salendo magari verso l’Arco del Vignola o dirigendosi verso Corso Garibaldi, che corre parallelo al Parco del Castello Ruspoli, subito dopo il Ponte della Fontana Barocca. Molte donne più anziane sedevano davanti ai portoni che si affacciavano sul Corso ed osservavano attentamente tutto ciò che poteva essere preludio di un’innocente storia affettiva. Tante, quasi tutte, le conoscenze, le simpatie, i sentimenti, le promesse di matrimonio si sono concretizzate in quei 150/200 metri, selciati prima ed asfaltati poi, fino alla metà degli anni sessanta. Lo “struscio”, inizialmente sparuto e via via sempre più nutrito, come un crescendo rossiniano, prendeva avvio al tramonto del sole (all’imbrunire) e terminava inesorabilmente con il suono dell’Ave Maria della sera (crepuscolo) perché: “Quanno sone l’Ave Maria, più nissuno sta per via” oppure “Quanno sone l’Ave Maria a casa ‘ell’addri se va via” (recitavano alcuni detti popolari), per ribadire il concetto che per quell’ora tutti dovevano rincasare.
Esistevano, per la verità, altre forme di divertimento e/o passatempo, ma costituivano prerogativa maschile. Il “maschio” (padre, marito o figlio in età) poteva tranquillamente rimanere fuori casa a suo piacimento. Al mattino attendeva alla propria attività e nel pomeriggio, o dopo cena, poteva frequentare Bar, Osterie, Cantine, giocare alle carte, alle bocce oppure al biliardo e rientrare in casa quando lo riteneva più opportuno. La “femmina” (madre, moglie o figlia) aveva il compito di educare i figli, accudire la casa, preparare il mangiare e magari apprendere qualche lavoro rigorosamente casalingo. Per loro, non era contemplato alcuno spazio di tempo né per lo svago né per la conversazione né per il sociale. Non esistevano le Vacanze, le Crociere, i Viaggi e questo anche per le contenute risorse economiche della maggior parte della popolazione. Esisteva solo qualche piccolo divertimento: una Gita a piedi alla Faggeta, un incontro conviviale a Centignano il giorno di Pasquetta (suona ancora nelle mie orecchie una antica cantilena intonata da mia madre che cercava di “rabbonirmi” con una promessa: “Si te comporti bene fino a Pasqua, te porto a Centinano co’ ‘a barozza, te faccio magnà ‘a “scarsella” e l’ovo ‘e Pasqua”) e qualche rara serata al Ballo di Carnevale.
Era, quest’ultimo, il periodo più socializzante e molti erano i luoghi dove si scatenavano le voglie represse di sano divertimento. C’erano piccole sale da ballo dislocate per il paese, locali destinati al altre funzioni che venivano trasformati per l’occasione in veri e propri ritrovi da ballo. Alcuni di questi locali venivano gestiti dalle associazioni più disparate (Partiti politici, Banda Musicale, Gruppo Sportivo), altri da persone appassionate di ballo ed anche sensibili ai sicuri, anche se contenuti, ritorni economici.
La Banda Musicale disponeva del locale in Via Cavour, nell’attuale sede di “Valle Fiorita”, la Democrazia Cristiana utilizzava i locali dell’odierno Archivio comunale messi a disposizione dai Sindaci (anch’essi, probabilmente, appassionati ballerini) per delle Serate da Ballo “ad inviti”, il Partito Liberale organizzava i suoi balli nel garage Piermartini, oggi risistemati e sede della “Pizzeria 0761”. Gli imprenditori privati “attrezzavano” per lo scopo “La Tavernetta”, in Via San Rocco nei locali dell’ex Mulino Petti (posto dirimpetto al negozio di Alimentari “Fanelli”), “La Grotta Azzurra”, in Via della Cupa, gestita da Fiore Stefani (Belfiore 1911-1978) e Luigia Annesi (1911-2003) sua consorte (locale attualmente usato come deposito merci dell’Alimentari “Ciambella”). Alla fine di Via San Rocco, Alvaro Orsolini gestiva, negli spazi esistenti al di sotto della propria abitazione, un altro locale per il ballo, cosi come in Piazza Cesare Battisti (proprio al di sopra del cantinone Paola) analoga attività veniva gestita da Giuseppe Spalletta (Peppe i’ Duce, 1910- 1973).
Personalmente ricordo uno solo di questi locali, “La Grotta Azzurra”, dove ero stato condotto, tenerissimo avventore, dai miei genitori: Ida mia madre, appassionatissima ballerina, e Caio mio padre, poco amante di tale divertimento, ma ugualmente frequentatore di tali ritrovi adibiti al ballo.
Per sopperire agli spazi limitati dei locali, i ballerini si alternavano nell’uso della pista utilizzando un metodo estremamente semplice. Il biglietto d’ingresso includeva, nel costo, un nastro colorato da appuntare sul vestito di ognuno in modo visibile. All’inizio di ogni brano ballabile veniva “chiamato” il colore di nastro che poteva scendere in pista, obbligando il resto dei presenti ad un forzato riposo che consentiva di consumare una “gassosa Ceccarelli” o un “dolce confezionato”, da acquistare presso il più che morigerato buffet del locale. I colori di nastro “chiamati” si avvicendavano nel corso della serata e consentivano “pari opportunità” (già d’allora!) ai convenuti. La musica da ballo proveniva da altalenanti grammofoni a manovella o, nelle serate più importanti, da piccoli complessi paesani messi in piedi per la bisogna. Per i più appassionati di ballo (ed anche i più facoltosi) c’era la possibilità di acquistare più di un nastro colorato in modo da poter restare in pista per maggior tempo.
Nell’immediato dopoguerra iniziò le prime proiezioni il Cinema Comunale, poco distante dall’attuale collocazione (vecchio Cinema) nei locali di proprietà del Comune. Lo smantellamento, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, del Circolo Ricreativo Dopolavoro Fascista consentì la costruzione del Nuovo Cinema Comunale nella attuale collocazione urbana.
Poco più tardi, il Cav. Pietro Paolo Anselmi (1906-1993) realizzò una accogliente struttura in Via Vignola 41 (palazzina recentemente trasformata in appartamenti e locali commerciali) e trasformò la sua attività (Bar l’Imperiale, in Piazza Gramsci) in una nuova attività imprenditoriale: accoglienza e ristorazione. L’Albergo Ristorante Belsito andava regolarmente esaurito nel corso della stagione estiva. Moltissimi “forestieri” trascorrevano le vacanze estive nel nostro paese, alcuni erano originari del posto, altri si affezionavano al clima e all’ospitalità locale. Ancora più tardi, Giugno 1954, si inaugurò in Via San Rocco 73, il “Cine Cimino” di proprietà di Luigi Stefani, Rodolfo Boccolini, Oddino Mancini. L’opera di costruzione avvenne sotto ai miei occhi: abitavo al n. 75 di Via San Rocco fin dal 1952! La prima proiezione cinematografica fu “Scaramouche” con Stewart Granger, Janet Leigh e Mel Ferrer.
Dall’anno successivo la gestione del Cinema passò da Alfeo Petti (1921-1970) e Storo Petroni (1926-1992). Fungeva da macchinista Ludovico Fiorentini (1914-1978) che abitualmente svolgeva attività di elettricista.
Verso la fine degli anni sessanta anche Luigi Bracci (Cencio pistoletta 1912-1989), avviò un’attivita di ristorazione in quel di Centinano: era il Ristorante “L’Astronave”, dai locali capienti e dalla cucina tipica vignanellese. Il Ristorante “L’Astronave” fu sede di numerosi banchetti nuziali e di divertenti ed affollati Veglioni danzanti con cena, Orchestra ed elezione di Miss Astronave. Ottenne un buon successo fino al termine della sua attività.
Come già detto, il dopoguerra segnò l’avvio di una nuova attività imprenditoriale: quella collegata alla villeggiatura estiva. Pensando alle attuali strutture ricettive non lo si crederebbe, eppure Vignanello era una meta vacanziera molto ambita.
Molte persone della vicina Roma che avevano conosciuto il nostro paese nel periodo bellico per i motivi più disparati (sfollati, acquirenti di alimentari per uso proprio o per rivendita “a borsa nera”, emigrati vignanellesi, amici e parenti lontani) avevano preso l’abitudine di far ritorno nel nostro paese. Alcuni per rivisitare i luoghi, altri per ringraziare quanti avevano contribuito alla loro sopravvivenza, altri ancora per trascorrere, finalmente in tranquillità, ore liete circondati da una natura incontaminata. Ci fu chi acquistò casa e si stabilì definitivamente in paese e chi, non potendo abbandonare la città, veniva qui a trascorrere l’intera stagione estiva. Queste due ultime categorie di persone vennero classificate come “villeggianti”.
I villeggianti frequentavano il nostro paese, cambiavano i nostri modi di ragionare e, forse, “civilizzavano” le nostre coscienze; i due Cinema contribuivano a modificare le vecchie abitudini ed il divertimento. Le due capienti Sale cinematografiche divennero le sedi abituali dei Veglioni di Carnevale e l’avvento di queste Sale segnò la fine dei piccoli, discreti ed amati ritrovi oramai superati dal progresso.
Entrambi i locali venivano accuratamente addobbati per l’evento con allegri festoni e disegni in tema.
Il Cine Cimino usava immense pitture, autore di queste ultime fu, per diversi anni, il compianto Publio Muratore di Gallese, importante pittore contemporaneo viterbese e mio insegnante di Disegno di scuola media; di Gallese era anche il presentatore delle diverse serate: il bravissimo maestro Dino De Nicola; per la musica si disponeva dell’Orchestra Armonia (nella foto, da sinistra): Galileo Pacelli alla chitarra, Vittorio Forliti e Ludovico Ceccarelli al sassofono, Vincenzo Maccioni alla batteria, Italo Cherubini (non il padre di Angelo, ma un omonimo) alla percussione, Pietro Pilli e Domenico (Memmo) Mastrangeli alla tromba, Vittorio Bracci e Angelo Cherubini alla fisarmonica.
Il Cinema Comunale aveva un complesso musicale meno numeroso ma certamente non meno capace: Casimiro Grattarola al sassofono, Reno Soprani alla chitarra, Raoul Anselmi alla batteria, Francesco Lelli alla tromba ed Ivano alla fisarmonica. In tali nuovi ambienti venni introdotto, molto presto, dai miei genitori e tale divertimento divenne per me abituale fino alla fine di queste ricorrenti tradizioni che perdurarono, in modo fortemente partecipato, fino alla metà degli anni Settanta.
Descrivere una serata di Carnevale è come rivivere l’allegro entusiasmo profuso nel cerimoniale, che precorreva l’evento. Una sensazione, che desidero trasmettere, nella speranza di farlo vivere anche a coloro che tale evento non lo hanno vissuto. I preparativi iniziavano ai primi di Dicembre per la ragazze: d’obbligo il confezionamento dell’abito per il ballo (a volte anche più di uno!). Mia madre, sarta, entrava in fibrillazione: fino all’avvio del Carnevale (17 gennaio, festa di Sant’Antonio da Padova) lavorava fino a notte inoltrata insieme ad una moltitudine di “sartine” che frequentavano la mia casa per imparare a cucire! Per noi maschietti occorreva meno tempo per i preparativi ma “l’abito per il ballo” era d’obbligo anche per noi. Anche mio padre, sarto, aveva il suo “gran da fare” ed anche lui rientrava tardissimo, a notte inoltrata. Papà confezionò il mio primo abito da ballo quando avevo 11 anni (vedi foto qui sotto), era il 1957 e Angelo Cherubini, mio compagno di classe e d’età, suonava la fisarmonica sul palco del Cine Cimino con “L’Orchestra Armonia”.
Ida, Caio e Tommaso
Le serate da ballo importanti (quelle in cui si indossavano gli abiti eleganti appositamente confezionati) ricorrevano di sabato. Si ballava anche la domenica pomeriggio ma in modo molto informale. L’ultima settimana di Carnevale costituiva un vero e proprio Tour de Force: si ballava il Giovedì Grasso (pomeriggio e sera), il Sabato Grasso (sera), la Domenica (pomeriggio e sera) il Martedì Grasso (pomeriggio e sera). Era questo l’ultimo giorno di Carnevale, poi aveva inizio la Quaresima con il Mercoledì delle ceneri. In tale giorno anche le scuole principiavano alla seconda o terza ora. Il ballo della sera era definito in modo erroneo, infatti si proseguivano i balli fino alle 02, alle 03 o fino a quando le mamme (immancabili ed attentissime osservatrici) delle ragazze presenti non obbligavano le figlie a rientrare a casa. Solo il Martedì Grasso tutto aveva rigorosamente termine alle ore 24, inizio del periodo di Quaresima !
Quale era il divertimento? Unico ed imperdibile: si trascorrevano le serate in comitiva, magari formando un gruppo mascherato, si ballava e ci si “strisciava” (ossia si legava saldamente, per mezzo di una moltitudine di stelle filanti, la coppia intenta al ballo) a turno quando, ballando, ci si accompagnava ad una possibile conquista e ci si riposava, affannati, al casereccio “buffet” appositamente funzionante nei locali della Sala. Le spese sostenute dalle diverse comitive venivano, il più delle volte, condivise!
Anno 1963: Gabriella Coaccioli, Piero Stefani, Aldo Reali, Franca Bernardini
Il Carnevale è stato quasi sempre l’evento scatenante di amori e passioni. Passato il Carnevale era possibile conoscere le nuove sboccianti simpatie osservando il “passeggio” serale su Corso Matteotti: si scopriva tutto ciò che si era voluto nascondere nel corso dei diversi Veglioni.
Non mancavano, nel corso delle manifestazioni, due attrattive importanti: il Ballo in Maschera e l’Elezione della Miss, quest’ultima sempre più inflazionata! Il Ballo in Maschera permetteva, con il viso coperto, di atteggiarsi in modo originale, sfacciato e simpatico, anche un po’ eccessivo, ma… “una volta l’anno era consentito impazzire !” Gli scherzi, ovviamente, si consumavano solo nei confronti di persone particolarmente spiritose. L’elezione della Miss era l’evento più atteso da ragazze e cavalieri. Le prime inseguivano l’ufficializzazione della loro bellezza, i secondi aspiravano a “partner” per Ballo con la Miss che, scegliendo il cavaliere dal Palco, confessava le sue segrete simpatie. C’erano elezioni di Miss per tutti i gusti. Alla più importante Miss Vignanello, si potevano aggiungere Miss Sorriso, Miss Simpatia, Miss Eleganza, Miss Sport. Impensabile l’elezione di un “Mister”, tale abitudine comparve solo più tardi.
Le Miss venivano incoronate con una fascia che ricordava il Titolo appena conquistato e poi, come regalo… “trenta garofani, un “necessaire” similoro da viaggio, quattro biglietti con sconto per cine, cinque flaconi di shampoo in omaggio” (come sintetizza Francesco Guccini in una sua simpaticissima canzone). Il Concorso di bellezza più ambìto era, senz’altro, l’Elezione di Miss Cimino. Le contendenti erano le Miss dei vari paesi del circondario, seguite dai rispettivi fan e dalle rispettive ed immancabili mamme! Il Concorso chiudeva il periodo carnevalesco ed era regolarmente seguito da un infinità di critiche (alimentate da persone vicine alle non elette) e da favorevoli commenti (sostenuti dai simpatizzanti delle neo elette): fu così per tutti gli anni, fino a quando si decise di interrompere tale manifestazione.
Una cosa da ricordare, perché costituiva un vero e proprio corollario alle serate danzanti, era l’impressionante numero di mamme assonnate, vera e propria platea di pubblico, sedute ai margini della sale da ballo o schierate in piedi a ridosso del parapetto della galleria, attente ad osservare il corretto comportamento delle figlie: riprendendolo od assecondandolo, con occhiate intenditrici, a seconda dello stato sociale del “cavaliere” di turno. Ed ancora le “performance” canore di Enrico Stefani, che imitava a perfezione Adriano Celentano, di Michele Furno, sosia quasi perfetto di Little Tony, di Luigino Lupi, con la sua famosa interpretazione di “Stella d’argento”.
Nel periodo non carnevalesco si prese l’abitudine del Ballo domenicale. L’Albergo Ristorante “Belsito” mise a disposizione i suoi locali per tale sano divertimento. Il Cav. Pietro Paolo Anselmi aveva visto giusto e l’idea superò le aspettative. Si ballava tutte le domeniche, escluso il periodo carnevalesco, nel gran salone interno destinato alla ristorazione nel periodo estivo. Nel corso della stagione estiva si utilizzava una pista da ballo esterna, di forma circolare, dove anche i villeggianti potevano provare l’emozione ed il piacere della danza. I pomeriggi danzanti erano allietati dal “Quintetto Azzurro”: Angelo Cherubini alla fisarmonica, Romolo D’Alessio alla batteria, Vittorio Forliti al sassofono, Domenico (Memmo) Mastrangeli alla tromba e Galileo Pacelli alla chitarra. “Pietrone”, come tutti indicavano l’Albergo Belsito, risultò per molti anni luogo di relazioni verbali ed affettive, fino alla cessazione dell’attività. Anche Dante Ascensioni, in Via San Rocco al n. 101, provò ad avviare un locale per il Ballo ma, purtroppo, tale passatempo non trovava più fanatici sostenitori e la cosa morì entro un periodo relativamente breve.
E poi? Poi, come tutte le cose, anche questo passatempo terminò la sua storia. Fu una storia molto lunga ed intensa che si tentò di far rivivere forzatamente. I Dirigenti del Gruppo Sportivo Vignanello si adoperarono per tale opera ma oramai erano sbocciati interessi diversi di vita, di divertimento, di aggregazione. Il progresso, le auto, la disponibilità economica, la coscienza e la conoscenza di nuove realtà avevano preso il sopravvento su quei divertimenti ritenuti oramai troppo antichi, troppo prevedibili, troppo consueti. Questa ossessione per il nuovo, che in altri ragionamenti ho definito “andare di fretta”, decretò la morte di un’altra tradizione popolare. Francamente non so se la sorte peggiore sia stata quella di veder morire tali abitudini o quella di veder vivere un rapido progresso senza tradizioni
Saluti a tutti e… seguitemi in altre iniziative! Tommaso Marini Vignanello, li 26 Giugno 2011
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