29.07.11
...e per ogni mese, un Vignanellese
di Tommaso Marini

LUGLIO 2011

 

 

Eccezionalmente, solo per questo mese… ancora un Vignanellese

 

                Giuro che la promessa fatta lo scorso mese, quella di interrompere questa mia rubrica mensile era stata fatta con convinzione e motivazioni valide.

                Per carattere difficilmente ritorno sulle mie decisioni ma, si sa, la carne è debole e le tentazioni infinite!

                Per carità, niente di vietato o compromettente, ma una quasi “sussurrata” curiosità del caro Americo Stefanucci mi ha costretto a cambiare idea.

                Non parlo di targa commemorativa o foto aerea (di questa ultima potrei accennare ad una confidenza fattami in proposito da persona degna di fiducia, il cui nome non rivelerò mai… neanche sotto tortura!) alle cui ricerche Americo si è tanto dedicato, ma di un personaggio vignanellese (anzi due!) che riservano una storia tragica per motivazioni assurde in società civili: vessazione politica le prima, vendetta disumana in guerra la seconda.

 

                I personaggi in questione avevano identico nome e cognome, Vittorio Olivieri, appartenevano alla stessa famiglia, essendo l’uno zio e l’altro nipote e sperimenteranno la medesima angoscia di una morte violenta a distanza di 21 anni: nel 1923 il primo, nel 1944 il secondo.

               

                Desidero raccontarvi brevemente la vita e la storia di queste due persone: il primo, uomo maturo di 52 anni ed il secondo, giovane uomo di anni 24.

 

                La storia che propongo in via eccezionale in questo mese di luglio non è di certo una storia allegra, tutt’altro! Forse la lettura renderà un poco più tristi le vacanze di tutti voi e, segretamente, ne sono quasi contento. L’aria di vacanza e la mente sgombra vi daranno modo di riflettere su quanto sia assurdo “spegnere” una qualsiasi altra vita umana per le ideologie più disparate

 

VITTORIO OLIVIERI di ANTONIO
19.08.1870 – 28.02.1923

 

                Questo primo Vittorio viene ricordato dai lontani nipoti, i quali riportano notizie apprese dai rispettivi padri, come uomo semplice e tranquillo.

                La politica attuale lo avrebbe certamente annoverato tra l’elevato numero di moderati, ma Vittorio non si interessava di politica, non aveva grilli per la testa né tanto meno idee rivoluzionarie.

                Presuppongo che avesse prestato regolare servizio militare di leva ed essendo nato nel 1870 credo non avesse partecipato alla Prima Guerra Mondiale, considerata l’età

                Vittorio era uomo di carattere, dal fisico prestante e dalla forza muscolare non comune, ma non per questo litigioso ed arrogante.

 

                Il padre Antonio e la madre Nicolina Pacelli avranno complessivamente quattro figli: Ludovica, Augusto, Adriano e Vittorio. Poi Nicolina morirà e Antonio sposerà in seconde nozze Maria Grazia Pacelli, sorella della moglie defunta. Da questa seconda unione nasceranno Maria Vittoria, Giulia, Maria Vittoria e Vincenzo.

                Vittorio si unisce in matrimonio con Delia Stefanucci il 27.09.1899, il 29.01.1901 nasce Marianna e il 06.11.1904 nasce Maria Cecilia (entrambe moriranno nel 1906). La famiglia risiede presso la casa dei genitori di lui, in quella via che anticamente era Via Valle Minore al 139, proprio al termine della salita che immette nel tratto pianeggiante in direzione del cimitero. La cantina di proprietà situata al livello stradale del fabbricato di residenza gli consentiva di svolgere la sua attività di agricoltore senza la necessità di recarsi in centro e senza l’abitudine di intrattenersi in conversazione nei luoghi pubblici; un carattere un po’ chiuso come di solito lo avevano i contadini.

                Tutto quanto argomentato permettono di capire quanto poco lo interessassero gli eventi bellici, la situazione politica nazionale, l’avvento del fascismo nel 1921.

                Una cosa che certo non sopportava, e che non aveva mai sopportato, era la vessazione, il dover obbligatoriamente condividere le idee del regime, il saluto romano, la camicia nera e tante altre manifestazioni di sudditanza che altri uomini, pervasi dal peggior fanatismo, pretendevano d’imporre.

                Presto il suo comportamento risultò inviso al regime, certamente provarono a convincerlo con modi “spiccioli” ma Vittorio sapeva difendersi e sapeva farlo in modo efficace.

                In quei primi anni di Regime coloro che rifiutavano il sistema imposto dalle coreografie fasciste erano additati come antifascisti e pertanto sottoposti a “cure particolari di rieducazione”. Spedizioni punitive a suon di manganello ed immancabile “olio di ricino” si ripetevano giornalmente, preferibilmente di sera, onde evitare scomode presenze e testimonianze (gli Squadristi, prima di eventuali azioni, obbligavano tutti i cittadini circolanti in paese a rientrare in casa).

                Per Vittorio che non voleva sottostare ai dettami del regime, non per ideologia ma per carattere, fu organizzata un’azione coercitiva che, a differenza di tante altre azioni analoghe, ebbe un epilogo tragico: la morte.

               

                Il 27 febbraio 1923 cadeva di martedì. Vittorio si era recato in campagna di buon ora ed era tornato per il pranzo. Presuppongo un breve riposo, qualche parola con i famigliari circa i lavori fatti al mattino (febbraio non è un mese molto intenso per gli agricoltori) e poi in cantina a preparare il programma di lavoro del giorno seguente.

                Febbraio è un mese triste e breve come le sue giornate (“febbraricchio corto e tristo” recita un detto paesano) e chissà che la collocazione temporale del periodo carnevalesco non dipendesse proprio da questo!

                Al tramonto solitamente Vittorio rientrava a casa, ma quel giorno si attarda ad aspettare una vicina di casa per rifornirla di un po’ di scarto del vino (‘a feccia) con la quale avrebbe ottenuto dell’ottima acquavite dopo accurata distillazione (l’operazione richiedeva l’uso di un semplice ed ingegnoso dispositivo chiamato tamburlano).

                La commare arriva in cantina, riempie il recipiente che ha portato e riprende la strada di casa. Incrocia un gruppo di persone in camicia nera che procede a passo svelto in direzione contraria alla sua ma non immagina ciò che sta per accadere, se ne rende conto poco più tardi quando un vociare concitato quasi la costringe a guardare sulla strada, nascosta dietro gli scuri della finestra.

                Vede il compare Vittorio che viene trascinato via con la forza dal gruppo di persone che aveva incontrato poco prima.

                Vittorio oppone resistenza, spintona e forse colpisce qualcuno degli aggressori, non invoca aiuto, non urla per non allarmare i familiari ma così facendo non riesce a sfuggire all’esecuzione.

                Viene trascinato di peso sotto il ponte della Roma Nord in località Maregnano e bastonato brutalmente, selvaggiamente, quindi lasciato esanime in strada.

                Poi la “squadraccia” si disperde ed i rantoli di dolore richiamano l’attenzione di alcuni uomini e donne che prestano i primi soccorsi e lo conducono con un carretto all’Ospedale Ruspoli di Vignanello.

                Non è ancora l’ora di cena, ma Vittorio non riuscirà mai a consumare quel pasto perché all’Ospedale Ruspoli quella avvenuta tragedia si trasforma in farsa ed alla criminale aggressione si aggiunge la connivenza e poi ancora l’omertà e quindi l’intimidazione.

                Al momento del ricovero le persone che hanno trasportato Vittorio accennano a qualche nome dei responsabili, ma l’incaricato dell’Ospedale che redige l’atto di accettazione del ricovero non trascrive alcunché, anzi paventando guai personali per i soccorritori suggerisce di motivare il ricovero come conseguenza di caduta accidentale.

                I soccorritori vengono rassicurati dell’assistenza e poi allontanati, come i familiari accorsi nel frattempo.

                Si è fatta sera e la notizia circola per il nostro piccolo paese: Vittorio è grave ma, considerato il fisico, riuscirà a raccontarla!

                Probabilmente la gravità delle percosse venne sottovalutata, o come si mormorava, qualcuno fece visita nottetempo a Vittorio per… non fargliela raccontare!

                Sta di fatto che alle 5 e 30 del 28 febbraio 1923 Vittorio muore. Muore nel silenzio più assoluto e con l’impunità degli aggressori: anche questo era possibile in quell’epoca tragica!

                Quella che segue è la testuale scarna comunicazione che il Presidente del locale Ospedale trasmette all’Ufficiale di Stato Civile dell’epoca:

 

“Anno millenovecentoventitre addì ventotto del mese di Febbraio ore 11 presso la Casa Comunale.  Io Cav. Anselmi Attilio, delegato dal Commissario Prefettizio il 23.11.1922, con atto approvato di Ufficiale di Stato Civile di Vignanello, avendo ricevuto dal Presidente del locale Ospedale avviso in data di oggi relativo alla morte di cui appresso e che, munito del visto, inserisco nel volume degli allegati a questo registro (Registro degli Atti di Morte, ndr) do atto che alle ore cinque e minuti 30 del ventotto Febbraio millenovecentoventitre, nel detto Ospedale è morto Olivieri Vittorio di anni

cinquantadue, nato e residente a Vignanello, figlio di fu Antonio e di fu Pacelli Nicolina, agricoltore, celibe (1).

         L’Ufficiale dello Stato Civile      Cav.  Anselmi Attilio”

 

       Solo al termine della Seconda Guerra Mondiale si rese giustizia in modo simbolico a questo consumato martirio, rinominando Via Valle Minore, la sua via, in Via Vittorio Olivieri.   La sua originaria abitazione è ora collocata al  n. 39.

 

(1) Sull’atto di morte Vittorio viene definito celibe in quanto era sposato con il rito religioso, ma senza atto civile. Prima del concordato fra Stato e Chiesa del 1929 i matrimoni religiosi non venivano automaticamente comunicati all’anagrafe civile, pertanto si poteva risultare celibi civilmente, seppure sposati in chiesa.

 

VITTORIO OLIVIERI di AUGUSTO
21.10.1919 – 06.06.1944

 

         Il secondo Vittorio Olivieri nasce di martedì, a Vignanello, da Augusto e da Siena Giuseppa che avranno complessivamente quattro figli, tre maschi e una femmina.

                La Grande Guerra è terminata da poco ed è prossimo l’avvento dell’Era Fascista. Vittorio ha poco più di 3 anni quando lo zio omonimo, fratello di suo padre, viene brutalmente massacrato e non vivrà l’angoscia familiare di quei giorni, ma ne sentirà parlare sicuramente negli anni successivi.

                Vittorio abita in Via Casalino 112 (attuale civico 80), praticamente tra Vicolo Cieco e Piazza della Repubblica, con i genitori, fino al 26.09.1940 data del suo trasferimento a Milano dove frequenta la Scuola di Pubblica Sicurezza.

                Anagraficamente non rientrerà più a Vignanello. Qualche anno più tardi viene trasferito per servizio in quel di Terni e spesso faceva capo in paese per una visita ai genitori ed agli amici che aveva lasciato per lavoro.

                Raccontano i parenti ancora in vita che nei suoi rientri a Vignanello aveva l’abitudine di soddisfare la passione dei cacciatori locali rifornendoli di qualche fucile da caccia acquistato nelle armerie di Terni a prezzi convenienti, considerando la sua professione, o cartucce per fucile da caccia particolarmente ricercate per qualità.

 

                La notte del 10 agosto 1943 (martedì) e per l’intera giornata dell’11, la città di Terni subisce la prima e più pesante delle 108 incursioni aeree da parte dell’aviazione anglo-americana; centinaia furono i morti sepolti sotto le macerie di una città devastata.

                Anche la Caserma di Pubblica Sicurezza venne distrutta e Vittorio scampato ai bombardamenti, in mancanza di un presidio in Terni, ebbe il permesso di rientrare a Vignanello per un periodo più lungo della solita visita periodica ai genitori e parenti.

                Purtroppo quello che doveva essere un lungo periodo di permanenza in famiglia segnò fatalmente la sua esistenza: la Morte, spietata, non perdona quando deve compiere  la sua triste missione.

                Una cara persona di famiglia raccontava di un ingenuo anziano vicino di casa che aveva una paura terribile della Morte (‘a Teresa, come veniva indicata dagli anziani che cercavano di evitarne perfino il nome!). Nel suo personale mondo riteneva che si potesse sfuggire alla Morte semplicemente non facendosi trovare in casa o dicendo che la persona cercata si era spostata in altro luogo. La Morte l’avrebbe cercato in tutti gli altri posti indicati e poi, stanca di cercarlo, lo avrebbe lasciato in pace.

                Bella come possibilità, ma irrealizzabile! La Morte aveva cercato Vittorio a Terni ma qualcuno le aveva detto che si era trasferito a Vignanello e Lei aveva continuato a cercarlo, con determinazione, mai stanca nonostante l’età ed il non trascurabile peso della sua immensa falce.

                Il 6 giugno 1944 è martedì (martedì, martedì… ancora quei maledetti martedì!), alle ore 15 circa, in prossimità del passaggio a livello della ferrovia Roma Nord si ferma un camion tedesco ed una moto con sidecar. E’ in corso la ritirata delle truppe tedesche di occupazione.

                Convinti dell’immediato arrivo delle forze alleate alcuni uomini del posto attaccano i militari che, sopraffatti, si danno alla fuga per chiedere rinforzi.  

                Il camion viene depredato e dato alle fiamme mentre la moto resta incustodita ed in disparte non essendoci persone in grado di guidarla.

                Anche Vittorio è lì, nell’area della Valle, in prossimità del luogo in cui si sono svolti i fatti; sa guidare una moto, fa parte del suo mestiere, e forse più per dimostrare le sue capacità, piuttosto che per appropriarsi del mezzo, sale in sella, mette in moto e parte alla volta di Vallerano percorrendo quella strada sterrata che diverrà, in seguito, via San Rocco. In prossimità del bivio della Colonnetta, ossia all’incrocio con Viale Vignola, si imbatte in una pattuglia di militari tedeschi che intimano minacciosamente l’Alt.

                E’ l’inizio della fine: la Morte paziente ed imperturbabile l’aveva finalmente trovato e di certo non se lo sarebbe lasciato scappare.

                “Perché quella moto ?” chiedono i militari tedeschi. Vittorio non sa giustificarsi. Viene perquisito e trovato in possesso della pistola d’ordinanza. “Da dove viene ?” chiedono ancora i militari tedeschi. Questa volta Vittorio risponde e dice di essere un poliziotto ma, vestendo abiti civili, non viene creduto.

                Allora i due militari lo ammanettano e lo conducono quasi di corsa in Località Ruscello a Vallerano. C’è un Santuario, la casa del parroco ed un ponticello sotto il quale scorre mestamente un rivolo d’acqua che va a convogliarsi al Fosso della Cupa.

                Vittorio viene fatto inginocchiare sul ponte, viene freddamente mitragliato e poi gettato in quel rivolo d’acqua diventato ancora più triste perché macchiato di sangue. I militari se ne vanno ed il parroco, don Manfredo Manfredi, non può che benedire quel giovane cadavere che, come per difendersi dai proiettili, antepose le mani alla faccia, mani e faccia maciullate da quei colpi sparati a bruciapelo.

 

                Vittorio Olivieri aveva 24 anni , era un bel giovane ed era celibe, ma questo non commosse ‘a Teresa.

                Quello che segue è quanto riportato dall’Atto di Morte redatto e conservato nel Comune di Vallerano:

 

“L’anno millenovecentoquarantaquattro addì nove del mese di Giugno alle ore quattordici nella Casa Comunale.   Avanti a me, Borelli Carlo, Commissario Prefettizio Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Vallerano, sono comparsi Rapiti Nildo di Giovanni di anni ventidue, Carabiniere residente in Vallerano e Di Battista Pietro di Luigi di anni ventitre, di professione fornaio residente a Vallerano, i quali alla presenza dei testimoni Antonozzi Alba di Leone di anni ventuno, impiegata residente a Vallerano e Forliti Floro di fu Mariano di anni quarantasei, impiegato residente a Vallerano mi hanno dichiarato quanto segue:

Il giorno sei del mese di Giugno dell’anno millenovecentoquarantaquattro alle ore sedici e minuti trenta in Contrada Ruscello è morto Olivieri Vittorio dell’età di anni ventiquattro di razza ariana residente in Vignanello, Guardia P.S. che era nato a Vignanello da Augusto, professione ignorasi, residente a Vignanello e da Siena Giuseppa, professione ignorasi, residente a Vignanello. La morte è avvenuta per causa di guerra.

Il presente atto viene letto agli intervenuti i quali tutti insieme a me lo sottoscrivono.

Rapiti Nildo, Di Battista Pietro, Antonozzi Alba, Forliti Floro.

L’Ufficiale di Stato Civile Carlo Borelli.”

 

Meditate gente, meditate!      Saluti a tutti e… buone  vacanze

 

Vignanello, li 29 Luglio 2011 

                                                                                                              Tommaso  Marini

 

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Breve nota a carattere genealogico
di Vincenzo Pacelli

 

Antonio Olivieri, figlio di Innocenzo e Maria Vittoria Lelli, sposa Nicolina Pacelli, figlia di Giovanni e Rosa Andreocci, il 7 gennaio 1863 ed hanno quattro figli: Ludovica (1864), Augusto (1865), Adriano (1868) e Vittorio (1870-1923).

Poi Nicolina muore e Antonio, il 15 settembre 1872 si risposa con Maria Grazia Pacelli, sorella della moglie defunta. Da questo secondo matrimonio nasceranno altri quattro figli: Maria Vittoria (1873), Giulia (1874), Maria Vittoria (1876) e Innocenzo (1881).

Augusto, fratello di Vittorio, sposerà Giuseppa Siena e dalla loro unione nasceranno Arturo, Giovanni, Vittorio (1919-1944) e Nicolina.