28.01.12 GENNAIO 2011
IL MAESTRO PETTI Sei
con noi, dentro di noi.
Leggendo, più tardi, questo l’epitaffio sono rimasto quasi deluso. Certo, non potevo essere compreso in quel sentimento d’amore che per lui nutrono i suoi cari, ma il sentirmi estromesso dall’affetto e dalla riconoscenza dovuta al “mio maestro” mi ha reso triste quasi quanto la sua dipartita. Certo, l’esclusione, come per tutti gli altri, deriva dal fatto che non sono “uno di famiglia”, ma per la sua morte ho provato lo stesso dolore come se “uno di famiglia” lo fossi. La morte del maestro Petti è stata una grave perdita per tutti: giovani, meno giovani, adulti, anziani e vecchi. Il motivo è semplice ed ovvio: ha formato generazioni di Vignanellesi per anni ed anni, ha trasmesso con amore e dedizione il suo “sapere” ad un numero impressionante di persone, ha contribuito alla formazione del carattere di chi sa quanti adolescenti, divenuti poi operai, commercianti, artigiani, impiegati, affermati professionisti. Ha condiviso il suo tempo libero con altri appassionati di politica, di caccia, di pesca, di micologia, con quel suo sorriso accattivante, con i suoi modi gentili, con le sue parole semplici, dolci e assennate. Ha operato per il sociale aiutando, e non poco, il nostro caro don Luigi per il quale fungeva da autista, segretario, gestore e contabile dei vari campeggi estivi di Spinicci (Tarquinia). Personalmente, e come me tanti altri, avrei voluto far parte di coloro che ripetono: “Sei con noi, dentro di noi. Oggi domani sempre. Con amore, i tuoi cari”, seguito magari da una breve e semplice dicitura: “e con affetto, tutti gli altri”. Questa mia riflessione non vuole essere una critica alle scelte familiari ma la testimonianza di quanto la comunità amasse e stimasse il maestro Petti, di quanto tutti noi, ex bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni, avremmo voluto essere compresi in quel profondo pensiero che campeggia sulla sua lapide perché il maestro Petti è stato per tutti noi un secondo padre, un “padre putativo” con cui abbiamo scalato le montagne del sapere. Cercherò, nel mio piccolo, di ricordarlo con lo stesso amore con cui ci insegnava e ci faceva divenire assennati adolescenti e preparati scolari, pronti ad affrontare altri impegni di studio ed un percorso di vita responsabile. Proprio in questo momento sto considerando un altro curioso fatto, anche questa mia possibilità, ricordarlo scrivendo, è una possibilità dovuta ai suoi insegnamenti e ne sono profondamente commosso. Devo al maestro Petti la mia passione per lo scrivere (per la verità devo a lui anche la passione per “il far di conto”, per “la storia”, per “la geografia”, per “le attività pratiche”, per “la ginnastica”, per “la recitazione”, insomma per tutto quello che è il mio carattere), e mai come in questa circostanza mi lusinga il fatto di averlo avuto, nel contempo, insegnante e formatore. Tutto ciò che mi appassiona, che ancora cerco di apprendere, che racconto, che penso, che elaboro, come mi confronto, come agisco, come ragiono, insomma come vivo, altro non è che la realizzazione del suo insegnamento, del suo carattere, del suo animo: è il profondo significato del suo epitaffio, “Sei con noi, dentro di noi. Oggi, domani e sempre”. Pensiero che per ciascuno di noi, ex scolari, recita diversamente: “Sei con me, dentro di me. Grazie per ieri, oggi, domani, sempre !” Giuseppe Petti nasce a Soriano nel Cimino (VT) il 14 gennaio 1923 da Egisto e Antonina Borghesi, avrà una sorella nel 1924, ma rimarrà prestissimo orfano di padre. La mamma Antonina, con grandi sacrifici, farà studiare Giuseppe in seminario fino al conseguimento del diploma di maestro. Più tardi Peppino (come poi, confidenzialmente, lo chiameranno le tantissime persone con cui stringerà amicizia in Vignanello), giovanissimo insegnante, nel tragitto che percorre in bicicletta per recarsi nei luoghi di lavoro che, negli anni 1945/48, non sono che piccole scuole elementari (a Gallese, a Fabrica di Roma, a Bassano in Teverina), incontra spesso una ragazza vignanellese, Leda Annesi, anche lei giovanissima, anche lei esuberante maestrina, anche lei in bici, su quelle strade quasi impossibili da percorrere, per recarsi nelle medesime località per l’insegnamento. Prima una timida amicizia, poi un’accentuata simpatia ed infine l’amore. Leda raccontava sempre, come rivela la terzogenita Tiziana, di aver conquistato Giuseppe offrendogli una colazione “fatta in casa”: consisteva in una fetta di pane condita con acquavite e zucchero. Non è dato sapere se fu per effetto della fame o per effetto dell’alcool (così, i figli prendevano scherzosamente in giro i genitori) che nacque il desiderio di un legame importante, sta di fatto che Leda e Giuseppe non si separarono più: nel 1949 il fidanzamento e poi, 2 ottobre 1950, il matrimonio celebrato da un giovane sacerdote, don Luigi Calvanelli cugino di Leda, nella Chiesa Collegiata di S. Maria della Presentazione in Vignanello. Il ricevimento che seguì, venne offerto e consumato nel piccolo spazio annesso al Bar Moderno, dal pavimento in ciottoli bianchi e dalla copertura “a pergolato” di splendida glicine lilla. Da questo matrimonio nascerà Annaelisa (1951), Mariella (1952), Tiziana (1957). “Femmine, – ripeteva il maestro Petti – solo femmine!” Non sapeva darsene pace. Si dovette attendere il 1966 quando, più per “tigna” che per necessità, nascerà Maurizio: l’evento fu motivo di grande soddisfazione per Leda, Giuseppe e per l’intera famiglia (per la verità ci fu grande soddisfazione anche tra gli amici ai quali, ricordava mio padre, “offrì da bere”!)
Ma torniamo indietro: nel 1950 il maestro Petti inizia la sua attività di insegnante elementare a Vignanello, è la stessa classe con cui viene ritratto, l’anno successivo, in una foto di gruppo: correva l’a.s. 1951/52, la classe era la III elementare. Un’altra foto lo ritrae con i colleghi dell’epoca, la dedica sul retro riporta testualmente: “VESTRI (?) Gli insegnanti di tanto tempo fa”, sono la maestra Giacintina Gerardi, Meme (Domenica) Fucci, la maestra Valentina Valeri, il maestro Giuseppe Petti, il maestro Sabatino Valeri ed il maestro Fernando Fiaschi. (foto a fianco)Impressionante, all’epoca, la somiglianza del maestro Petti con il suo quartogenito Maurizio: una perfetta fotocopia! Da alunno di terza elementare ho avuto l’opportunità di ricevere le prime vere nozioni del sapere dal maestro Petti: era l’anno scolastico 1954/1955. Esperienza che ripetei con soddisfazione e gratificazione nei successivi anni scolastici 1955/1956 (IV) e 1956/1957 (V). Dei due anni scolastici precedenti, 1952/1953 (I) e 1953/1954 (II), ho solo il fugace ricordo dei ripetitivi eventi quotidiani: la severissima maestra Elisabetta Petrucci (maestra Betta 1900-1980), l’interminabile sequela di aste, cerchi, quadrati. Più tardi le pagine e pagine di vocali e consonanti, ed ancora numeri, maiuscole e minuscole, sillabe, suoni duri e suoni dolci, le doppie, gli accenti, gli apostrofi, gli articoli, le prime incerte letture ed operazioni aritmetiche, la foto ricordo di fine anno. Ricordo anche la cara bidella Italia, sempre pronta ad accudirci e coccolarci nei momenti di sconforto per la mancanza della mamma o in caso di disperate lacrime che seguivano le frequenti punizioni. Due cose ricordo ancora distintamente, due ricordi olfattivi indimenticabili: l’odore dei tronchetti di legno che, d’inverno, bruciavano in un’enorme stufa rossa in terracotta refrattaria e l’odore acre ma piacevole delle grandi rosse arance, consumate in aula dalla maestra Betta a metà mattinata. Condividevamo, con gli occhi fuori dalle orbite, il piacere con cui la maestra gustava quelle succosi frutti, e quel piacere veniva trasmesso, quasi per magia, alle nostre papille gustative ed avevamo, tutti, la sensazione di far colazione insieme a lei. In classe terza elementare, come dicevo, cambiai la mia maestra con un maestro: il maestro Petti, per l’appunto, che era stato trasferito a Vignanello qualche anno prima. Già il cognome, Petti, non ci era familiare (non lo avevamo inteso, come cognome indigeno, nell’appello mattutino degli anni scolastici precedenti!), proveniva da un altro paese (questo, chissà perché, ce lo faceva credere uno straniero!), veniva descritto come un maestro molto serio (per noi bambini, allora, la serietà dei maestri era sinonimo di “cattiveria”!), le “voci di corridoio”, ovviamente scolastico, lo definivano come uomo dal carattere inflessibile (qualche compagno di classe lo immaginò un “mostro personificato”, e tutti tremavamo al solo pensiero!). Il mio il primo giorno di scuola, anzi il primo giorno di scuola dell’intera classe, ebbe inizio con una profonda sensazione di paura, meglio, con un senso di vero e proprio terrore! Quando il maestro Petti entrò finalmente in aula, ci consolammo per il fatto di non dover trascorrere l’intero anno con un “mostro personificato” e tutti guardammo in malo modo il compagno che aveva scatenato tale fobia. Nella presentazione che ne seguì apprendemmo le regole di comportamento, la ripartizione dei “tempi” dedicati alle varie attività didattiche, una breve spiegazione delle materie di studio e varie altre cose indispensabili per una costruttiva giornata scolastica. Il contenuto delle regole, necessarie per un proficuo itinerario didattico, la mancanza dell’elenco delle punizioni ed il tranquillo parlare con noi in modo così aperto fece cadere un altro tabù: il maestro Petti non sembrava poi tanto “cattivo”! Solo il suo parlare, l’intercalare con raddoppio di consonante a inizio parola, la terminologia, il gesticolare, i modi educati, alimentavano il nostro terzo dubbio: era straniero, o forse no, ma sicuramente proveniva da chissà quale paese lontano. Quando, dopo qualche giorno, scoprimmo la sua provenienza (Soriano nel Cimino, un paese ad appena 8 chilometri di distanza da Vignanello) ne fummo quasi contrariati! Ecco, fu così che incominciò quella che io, spesso, definisco la mia “avventura scolastica”, sì, quei tre anni furono una lunga avventura vissuta nel trascorrere della “storia”, nell’osservare della “geografia”, nel conoscere della “poesia”, nel risolvere della “aritmetica”, nel realizzare della “pratica”, nel competere dello “sport”, nel convivere della “classe”. Le classi frequentate da me e dai miei coetanei erano particolarmente affollate. Il 1946, anno successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, registrò un elevatissimo numero di natalità: 158 le nascite, di cui 97 maschi e 61 femmine. Alcune di queste creature nacquero morte o morirono appena venute alla luce. Due di queste piccole morti desidero ricordarle perché avvennero in un’età in cui non si pensa alla morte: Valentino Olivieri (1946 - 1954), mio compagno di banco, deceduto a novembre in terza elementare, e Giacinta Ascenzioni (1946 – 1955), anche lei deceduta in terza elementare, era il mese di gennaio. L’elevato numero di bambini iscritti alla prima elementare, come ovvio, fece sì che si formassero, già dalla prima classe, quattro corsi paralleli, almeno credo. In terza elementare, comunque, i corsi scolastici erano certamente quattro: due maschili, uno con il maestro Petti ed uno con il maestro Fiaschi di Bagnaia, e due femminili, uno con la maestra Leda Annesi e l’altro con la maestra Rossi di Orvieto.
Ricordo anche che nella nostra classe frequentavano alunni più grandi che avevano ripetuto qualche anno scolastico: la circostanza non deve meravigliare, era una circostanza molto frequente! Nel corso dei tre anni scolastici “vissuti” con il maestro Petti riuscimmo ad appassionarci allo studio, a memorizzare le nozioni impartite, a confrontarci vicendevolmente in un’atmosfera di leale competizione tra compagni. Il maestro Petti si rivelò grande psicologo e grande pedagogo, sapeva che La nostra era l’età del voler primeggiare, del voler competere, del voler sapere, ed il maestro Petti, psicologo e pedagogo, era soprattutto uno stratega. Ci spingeva, inconsapevoli, allo studio, alla ricerca, alla voglia di dimostrare quanto ciascuno di noi valesse. Inutile dire che ci furono anche insuccessi scolastici per alcuni compagni, ma il numero dei successi surclassò ampiamente quello delle sconfitte.
La vita scolastica era particolarmente intensa, il rispetto e l’educazione erano alla base dei rapporti interpersonali e questo consentiva una convivenza civile con i compagni: si imparava a crescere come conviene in una società civile. Il concetto sembra elementare e di semplice applicazione. In effetti questo senso di graduale maturità non si riesce a trasmetterlo facilmente agli studenti di oggi e lo dico con cognizione di causa essendo stato, per 34 anni, insegnante di scuola media superiore. Forse allora credevamo in altri valori, i nostri genitori, poco acculturati, affidavano ai maestri l’educazione dei figli. Il signor Maestro era, come già detto, un secondo padre che svolgeva responsabilmente il suo lavoro di insegnante-genitore in modo competente (non si criticavano le metodologie d’insegnamento né si condannavano i sistemi coercitivi o le punizioni, anche corporali. Ricordo che una bacchettata ricevuta dal mio maestro, per avergli risposto in modo sgarbato, comportò un’ulteriore punizione decretata dai miei genitori: fui privato “dell’uscita pomeridiana” per un’intera settimana!). Comunque, dopo i primi giorni di “assestamento scolastico”, tutti incominciammo ad apprezzare le capacità didattiche del maestro Petti ed il piacere di imparare cose nuove. Pensandoci bene, la mattinata scolastica risultava perfino divertente! “Ma come - direte voi - a quell’età si preferisce la libertà, il gioco, il divertimento e non la costrizione scolastica. Come è possibile una cosa del genere?” Bene, desidero allora farvi entrare, per qualche giorno in quella mia classe e considerarvi miei compagni di scuola di terza e poi di quarta e poi, ancora, di quinta elementare incominciando, come si dice, dai “fondamentali”! Intanto per essere ammessi in classe era obbligatorio il grembiule, rigorosamente nero e “abbellito” da colletto e fiocco bianchi; sul braccio, destro o sinistro, veniva indicata, in numeri romani, la classe frequentata e sul petto avevamo scritto il cognome e l’iniziale del nome. Inutile dire che il grembiule doveva essere in ordine e pulito, così pure per il colletto ed il fiocco. Un grembiule troppo sporco, colletto o fiocco macchiati erano solitamente penalizzati con un aggravio di compiti per casa da svolgere per il giorno successivo. Poi c’era un capoclasse e, per esserlo, bisognava guadagnarsi il titolo sul campo ed essere democraticamente eletto a maggioranza dai compagni. Il secondo classificato svolgeva l’incarico di vice capoclasse (lo fui spesso e sempre mi auguravo che il “titolare” fosse malato per poter svolgere le sue mansioni!) Per essere eletti capoclasse, precisava il maestro Petti, bisognava solo essere: scolari diligenti, puntuali, sempre preparati, compiti fatti, disponibili con i compagni, ordinati ed educati, insomma bisognava essere Augusto Mastrangeli il quale, date le sue spiccate capacità, era tutto questo insieme e vinceva regolarmente le votazioni! Il compito del capoclasse era quello di collaborare con il maestro nel corso della mattinata, ritirare i quaderni dei compagni per la correzione dei compiti a casa, organizzare il gioco del silenzio in assenza del maestro scrivendo sulla lavagna i nomi dei compagni scalmanati Tutti noi avremmo voluto essere Augusto Mastrangeli, almeno per un giorno. Confesso di averlo anche chiesto in una Letterina a Babbo Natale: una letterina di chissà quanti anni fa! La classe era organizzata in maniera scrupolosa: un ampio armadio a muro conteneva i nostri quaderni dei compiti in classe, due “a righe”, uno per “la bella copia” ed uno per “la brutta”, e due a “quadretti” con le stesse finalità. In terza elementare l’Abbecedario era stato sostituito dal Sussidiario, un unico libro in cui si apprendevano nozioni di un’infinità di discipline: Religione, Lingua Italiana, Letteratura, Antologia e Grammatica, Storia, Geografia, Aritmetica, Geometria, Scienze, Attività manuali, Educazione fisica. C’era, poi, una materia a cui non avevamo mai dato importanza nelle classi I e II: era la Condotta. Lo zero in condotta era, nel nostro ingenuo immaginario, la minaccia più efficace alle turbolenze scolastiche (in verità non sapemmo mai in cosa realmente consistesse la minaccia, lo apprendemmo solo più tardi e ci rendemmo conto che, in pratica, non era poi molto pericolosa !) Avevamo un orario settimanale interno per poter meglio articolare lo studio delle diverse materie in programma: c’era il giorno dell’italiano, quello dell’aritmetica, quello della storia ecc. Ogni materia ed ogni argomento comportava l’accurata spiegazione del maestro, lo studio ed i compiti “a casa” relativi, poi la verifica finale con un “compito in classe” che comportava l’assegnazione di una valutazione numerica (erano rari i voti molto alti). I risultati dei compiti in classe decretavano l’avanzamento o la ripetizione dell’argomento trattato. La terza classe elementare risultò particolarmente impegnativa, non c’era l’abitudine ad uno studio vero e proprio e le tante materie del programma scolastico ci fecero sudare le famosissime “sette camice”. Ma poi l’anno si concluse e quasi tutti provammo soddisfazione per i risultati conseguiti. Alcuni dei nostri compagni non furono promossi in quarta e l’anno successivo si aggregarono a noi i ripetenti dell’anno prima. In quarta scoprimmo un’infinità di cose nuove. L’età non era molto diversa rispetto all’anno precedente ma un anno, a quell’età, contribuisce a sviluppare buon senso e maturità. Il maestro Petti sapeva del naturale mutamento dovuto alla crescita ed usò la nostra sete di conoscenza per darci nuove nozioni, nuovi interessi, nuove tecnologie. In quell’anno imparammo ad essere assidui lettori di cronaca giornalistica, di cultura generale, di sport, di tutto ciò che poteva colpire la nostra curiosità. Il “nostro” maestro, appassionato di ciclismo, volle trasmetterci la sua grande passione facendoci studiare la geografia seguendo il Giro Ciclistico d’Italia. Tutti noi avremmo preferito il calcio ma la passione del maestro vinse sul nostro scetticismo iniziale. Avevamo preparato una cartina dell’Italia, con Regioni, capoluoghi, provincie, montagne, colline, pianure, fiumi, laghi, mari (tutto rigorosamente muto) e degli spazi in cui trascrivere altre notizie di carattere economico. Al mattino il maestro Petti arrivava in classe con “Il Corriere dello Sport” e dopo aver letto la cronaca della “tappa” del giorno precedente, ci faceva trascrivere e ripetere, Regione per Regione, tutte le rispettive caratteristiche geografiche. Mai come allora si conosceva l’Italia: Regioni, Capoluoghi, Provincie e poi fiumi, monti, laghi, mari, confini, popolazione, altitudine, economia predominante. Ricordo che molti sapevano a memoria tutto questo, compresa la suddivisione dell’arco alpino, della dorsale appenninica, dei fiumi e relativi affluenti. Conoscemmo nel contempo anche il nome di molti ciclisti partecipanti al Giro d’Italia, avevamo le loro figurine (forse “Panini”) ed avevamo predisposto due diversi cartoncini “a tasche” dove ponevamo i nomi dei ciclisti: in uno secondo l’ordine d’arrivo di tappa, nell’altro secondo l’ordine di Classifica Generale. Correvano gli italiani Coppi, Bartali, Magni, Baldini, Favero, Aldo Moser (fratello maggiore di Francesco), poi gli stranieri Anquetil, Gaul, Bobet, Bahamontes. Ciascuno di noi aveva il suo idolo: molti tenevano per Coppi, altri per Bartali, altri ancora per Anquetil. Io tifavo per Gaul, fortissimo in salita. In una tappa di montagna (Merano – M.te Bondone) riuscì a staccare tutti gli avversari: a 8 minuti il secondo arrivato, a 12 minuti il terzo. Vinse così il Giro d’Italia del 1956. A volte, nel ruolo di vice-capoclasse, il maestro Petti mi spediva in un’altra aula, posta al piano superiore, per prendere le carte geografiche regionali. La classe era la quarta femminile e la maestra Leda (consorte del maestro Petti), prima della consegna del materiale, mi costringeva a ripetere la lezione di geografia relativa alla Carta geografica richiesta, complimentandosi per la preparazione e per l’enorme fiocco bianco con il quale mia madre mi mandava a scuola. Ero felice per tali apprezzamenti e ritornavo in classe sempre rosso in viso per la vergogna! Ma non era solo questo che ci avvicinava allo studio. C’erano altre attività scolastiche con le quali competere in quasi tutte le materie, erano le gare delle “tabelline” per l’aritmetica, le gare dei “verbi” per le grammatica, le gare di “poesie” per la letteratura, le gare delle “capitali” europee e mondiali per la geografia, le gare delle “date” per la storia, le gare di “salto in alto” per l’educazione fisica; una sfida continua, una competizione giornaliera per tutto e su tutto. Una cosa che tengo a ricordare era la preghiera mattutina che tanto snobbavamo ma che, in piccola parte, ci ricordava quotidianamente di essere cristiani. Un’altra passione che coltivammo, e che il maestro Petti amava, era il “traforo”. Tutti certamente conoscono tale sana disciplina. Bene, noi lo facemmo diventare la più interessante attività manuale scolastica. I consigli del nostro maestro ci consentirono di eseguire una quantità rilevante di lavori via via sempre più complessi. L’uso di quel lungo archetto corredato da una sottilissima lama dentata, il suo inconfondibile “gracidare” durante le lavorazioni, quello strano trapanino manuale indispensabile per forare i fogli di legno compensato su cui venivano incollate le “dime” in carta velina, erano cose di cui eravamo particolarmente gelosi, intoccabili da altri compagni e quasi sacre. Ricordo che per rendere più scorrevole il taglio del sottile seghetto e scongiurarne la rottura dovevano, su consiglio del maestro, lubrificarlo con la cera di una candela. Più tardi imparammo ad effettuare tagli sempre più precisi e perpendicolari al piano di legno, fino a cimentarci nella realizzazione, a fine anno, di un lavoro da “portare a casa”. Io realizzai un bellissimo “centrotavola” che mia madre conservò fino a quando divenni grande tenendolo, come fruttiera, sul tavolo della cucina. In quinta classe si presentarono diversi eventi straordinari. Il primo si verificò all’inizio dell’anno scolastico ed aveva, all’epoca, dell’impensabile. La nostra quinta classe divenne una classe mista (frequentavano con noi nove femmine) e, in più, si aggiunsero due maschi provenienti da altri paesi, erano Roberto Decini, proveniente da Montecompatri (RM), e Loreto Seralessandri, proveniente da Canepina.
Attualmente si tende a favorire l’eterogeneità della popolazione scolastica nella formazione delle classi, ma all’epoca dei fatti era considerata una circostanza scandalosa, non era mai accaduto che maschi e femmine frequentassero insieme la medesima classe! Ma c’era ancor di più! Io dovetti, addirittura, dividere il banco con una compagna: Anna Moroni! Ancora, quando abbiamo l’occasione di incontrarci, ricordiamo “quei bei tempi”, qualcuno dei compagni di classe e la bravura e le capacità d’insegnamento del caro maestro Petti. Le femmine che frequentavano la “nostra” quinta erano nove: Boccolini M. Antonietta, Moroni Anna, Pichi Anna, Piermattei Emma, Pierosara Paola, Pierosara Vanna, Stefani M. Antonia e poi Marisa e Giuseppa delle quali non ricordo in cognome. L’anno scolastico trascorse in modo proficuo e con “le femmine”, come eravamo abituati ad indicarle, riuscimmo ad istaurare un cordiale rapporto di amicizia. Concludemmo dicendo che, in fin dei conti, erano “scolare quasi come noi” (il “noi” era l’abbreviazione di “noi maschi”!). Il secondo evento straordinario si verificò a maggio quando venne a farci visita la RAI. All’epoca, esisteva un programma di Radio Uno (“La radio per la scuola” o “La radio e la scuola” non ricordo bene il titolo) che dava l’opportunità alle scuole elementari d’Italia di “farsi sentire per radio”. Era un’opportunità che veniva concessa a quelle Scuole Elementari italiane in grado di organizzare un piccolo spettacolo radiofonico, della durata di un paio d’ore, trasmesso “in diretta”. La notizia, comunicataci una quindicina di giorni prima, riempì di gioia noi scolari, pronti a dimostrare le conoscenze e le capacità acquisite, ed i nostri maestri, altrettanto pronti a pubblicizzare capacità professionali e versatilità personale. Il “giorno fatidico” ci recammo a scuola in perfetto ordine: grembiuli freschi di bucato, colletti inamidati e fiocchi immacolati, ben vestiti e pettinati (molto più “eleganti” degli altri giorni!) e forse convinti che, anche per radio, potessero vederci in tutta Italia. Eravamo tutti visibilmente emozionati e non avremmo trovato il coraggio di confrontarci con i microfoni RAI se non fosse stato per il caloroso incoraggiamento dei maestri. Poi “L’Inno Nazionale” segnò l’inizio della trasmissione. I nostri genitori ci ascoltavano con apprensione dagli apparecchi “accesi” in tutte le case di Vignanello. Lucia Alfonsi, Ercolina (Lina) Pacelli ed io, ci esibimmo in una bellissima poesia di Giovanni Pascoli, Breus, recitata a tre voci: Lucia era la voce narrante, io recitavo come Breus e Lina dava la voce alla sorella di Breus. Ricordo che la cosa riuscì molto bene e riscuotemmo gli applausi di tutti i presenti, maestri e scolari. La trasmissione ebbe termine con una esibizione canora di tutti gli alunni presenti alla manifestazione, le tre canzoni eseguite (“La luna nel rio”, “La colpa fu” e “La casetta il Canadà”, quest’ultima aveva partecipato al Festival di Sanremo di quell’anno) vennero accompagnate, alla fisarmonica, da Angelo Cherubini (foto a fianco e sotto), nostro compagno di classe e giovanissimo studente di musica. Da ricordare che, alla fisarmonica di Angelo, si aggiunse la musica di un pianoforte suonato magistralmente da don Manfredo Manfredi (foto a fianco) insegnate di scuola media a Vignanello.Quando tornai a casa mia madre mi abbracciò forte, mi dette un bacio sussurrando un “bravo” all’orecchio: quel bacio e quel “bravo” non li ho mai dimenticati! Anche mio padre fu molto contento di me, ma lo dimostrò in modo più contenuto. Terzo e ultimo evento, ma solo per un piccolo gruppo di alunni, fu la preparazione aggiuntiva finalizzata a sostenere l’Esame d’Ammissione alla scuola media, esame abolito l’anno scolastico successivo quando divenne obbligatoria la frequenza scolastica fino ai 14 anni. In sette affrontammo tale ostacolo (nella foto, da sinistra): Paolo D’Alessio, Roberto Decini, Alessandro Ceccarelli, Cleto Olivieri, Augusto Mastrangeli, io, Nicola Andreocci, Emma Piermattei.
L’esame, con scritti in italiano ed aritmetica ed orali in storia e geografia, fu brillantemente superato da tutti noi che, a malincuore, lasciammo le elementari e, peggio ancora, il maestro Petti che, per un triennio, aveva riempito pazientemente il “quaderno bianco” della conoscenza che era dentro a ciascuno di noi. Vorrei ricordare i nomi degli alunni di quella quinta classe “mista” dell’anno scolastico 1956/1957 ma nel dubbio di trascurare qualcuno dei cari compagni, preferisco tacerli. Una cosa sola mi preme ed è quella di affermare che tutti sono rimasti nel mio cuore di uomo: un caro saluto ed un abbraccio a tutti! Francamente non so se, nell’immaginario, sono riuscito a farvi “convivere” con quell’esiguo numero di noi bambini della metà degli anni cinquanta, posso solo dirvi che quell’esiguo numero è andato, via via, sempre crescendo quasi a formare un’intera comunità. Non so neppure se sono riuscito a comunicarvi i fattori emotivi essenziali, propri di quell’età: la fantasia, l’entusiasmo, la passionalità, la ricerca di un “leader”, tutto ciò che contraddistingue l’animo di ogni bambino e lo fa crescere un tutt’uno con le favole, lo studio, il gioco, l’esempio continuo: giorno dopo giorno, anno dopo anno, fino al momento in cui questa “semina” proficua lo farà essere finalmente uomo, dal carattere legato, in modo indissolubile, al carattere del suo precettore. Ripensandoci bene credo di non aver mai più avuto tale attaccamento allo studio ed alla scuola di quanto ne ebbi in quegli anni. L’artefice di quel mio entusiasmo, il seminatore dei miei interessi, il responsabile della mia determinazione nelle cose e del mio carattere intransigente, derivano sicuramente da quel “feeling” che immediatamente, al primo incontro, si era creato tra me e lui: il mio “maestro” di scuola e poi di vita. Ma il maestro Petti non fu solo un eccellente maestro, fu un altrettanto eccellente marito ed incomparabile genitore, un uomo disponibile per tutti, pronto in ogni evento, un amico per tutte le stagioni, disinteressato cordiale e simpatico, un collega sempre prodigo di suggerimenti e consigli. “Grandissimo maestro!” Era questo il termine con il quale continuavo ad appellarlo ogni volta che avevo il piacere di incontrarlo e di intrattenermi con lui per parlare di lavoro, famiglia e discutere dei fatti d’attualità. Lo trovavo ogni volta un po’ invecchiato, osservavo i capelli più radi ed argentati e non più quella “mascagna” scura che lo faceva distinguere tra mille. Ero ancora affascinato dai suoi modi, dalla sua parlata calma, da quel senso di sicurezza che sapeva trasmettermi da quando ero bambino. Il suo sguardo dolce, la sua lucidità di ragionamento, quel suo sorriso accattivante erano rimasti inalterati. Rivedevo in lui mio padre di cui, tra l’altro, era carissimo amico e frequentatore. Da mio padre aveva appreso il piacere della caccia, della micologia, dell’amore per la natura. Il maestro Petti non sapeva solo insegnare bene, sapeva altrettanto bene apprendere, ed allora mio padre gli aveva insegnato a richiamare gli uccelli imitandone il canto, a saper individuare le tracce lasciate da lepri, starne e fagiani, ad individuare i luoghi più probabili del germogliare dei funghi porcini, a riconoscere altre specie di funghi commestibili. Andavano spessissimo insieme: a caccia, per funghi, ed ogni volta mio padre non finiva mai di raccontare le nuove esperienze, gli insegnamenti ricevuti, le domande che poneva il maestro Petti (a volte ingenue, diceva papà) su argomenti che ignorava, le circostanze che vivevano insieme in quel loro “andare fòri”, come il maestro Petti definiva quelle curiose escursioni fatte senza alcuno scopo se non per il comune amore per la natura e per il piacere della compagnia. Spessissimo il maestro Petti, conseguita la pensione, si intratteneva nel laboratorio di sartoria di mio padre Caio, insieme a tantissimi altri cacciatori e/o micologi, abitudine che perdurò anche successivamente alla cessazione dell’attività di mio padre. Papà Caio ed il maestro Petti: entrambi discepoli ed insegnanti insieme! In estate la famiglia Petti, amante del mare e sempre in continua crescita, costituiva una presenza fissa sulle spiagge romagnole. Rimini era la città che la ospitava e la Pensione, a carattere familiare, sempre la stessa da trenta anni. Giuseppe e Leda potevano ritemprarsi al sole e ricaricarsi per l’anno scolastico successivo. Anche Annaelisa, Mariella e Tiziana gradivano quelle spensierate vacanze al mare. Non si risparmiavano foto e divertimento per i bambini, bagni di mare e di sole per i due pazienti genitori. Sicuramente Peppino avrà avuto un’infinità di amici: era nel suo carattere! Nel 1978, raggiunta l’età della pensione, Peppino si dedicò alla sua ultima “creatura” nata nel 1971: la definitiva casa in Via dei Castagni. Un desiderio che aveva fortemente voluto dopo il matrimonio e dopo aver abitato in un’infinità di altre case: Via delle Croci, Via San Rocco, Via Cavour, Via Amba Alagi, case sempre troppo piccole per una famiglia in continua espansione e senza spazio esterno, caratteristica quasi vitale per un amante della natura. Nel periodo natalizio Peppino si rendeva disponibile per arredare e predisporre in modo sapiente, all’interno di un vasto locale di Piazza Gramsci, la mostra dei giocattoli posti il vendita dal sig. Dante Orsolini, commerciante, in occasione della festività dell’Epifania. Sì, proprio l’Epifania, perché, a quei tempi, i regali non li portava Babbo Natale ma la “Befana” (per dirlo alla vignanellese!), c’era un giorno di tempo per giocare ed ammirarli poi, il giorno dopo venivano riposti e conservati per l’anno successivo. Alla faccia del consumismo attuale! Parlavo, poc’anzi, del suo amore sconfinato per la famiglia e per i figli, ed io voglio concludere questa mia testimonianza, che mi rendo conto solo ora ha superato le mie aspettative, con il ricordo che, del maestro Petti, hanno tre delle quattro donne di famiglia: Annaelisa, Mariella e Tiziana, è il segno di un amore profondo che consolida l’attaccamento viscerale per una persona eccezionale, cara, unica, insostituibile.
IN RICORDO DI NOSTRO PADRE
Sono Annaelisa, la figlia maggiore di Leda e del “maestro Petti”. “I miei fratelli hanno sempre sostenuto che ero la sua preferita. La realtà è che ho condiviso con lui la maggior parte della mia infanzia, giovinezza e adolescenza. Mio padre mi ha accompagnato per una gran parte del percorso universitario, era con me al primo esame, con me in molti altri successivi ed era con me il giorno della laurea. Quando ho iniziato a lavorare, avendo preso la patente da poco, papà mi accompagnava, il sabato e la domenica, in ospedale con la vecchia cinquecento. Mentre svolgevo la funzione di guardia medica, lui restava in macchina ad aspettarmi. Mi accompagnava anche a Nepi, Faleria, Calcata ecc., ed in altri posti da dove ricevevo chiamate di carattere professionale. Mio padre mi ha seguito, per i primi anni, anche quando ho ottenuto il posto di medico di base a Fabrica di Roma, restava fuori dell’ambulatorio e conosceva tutti i miei pazienti, con i quali si intratteneva a dialogare, quasi fossero un po’ anche suoi pazienti. Il ricordo più dolce che ho di mio padre è quando, da piccola, la domenica mattina mi mandava al forno di Alfio, che stava vicino casa in località Molesino, a comprare la pasta del pane già lievitata per farci le pizze fritte condite con lo zucchero, per tutti noi era una gran festa. Grazie papà per averci insegnato i valori più importanti della vita e per averci incoraggiato a non arrendersi mai”.
Sono Mariella, la secondogenita di Leda e del “maestro Petti”. “Da quando papà non c’è più, mi ritrovo spessissimo a pensarlo nei momenti, per fortuna, più gioiosi della nostra vita familiare. Uno tra i tanti risale alla nascita di Tiziana. Io ed Annaelisa frequentavamo la prima elementare. Eravamo in classe e papà venne a prenderci dicendo di aver visto una cicogna volare nel cielo e posarsi sul nostro palazzo. Ci prese per mano e ci portò a casa dove trovammo mamma Leda con un fagottino tra le braccia: era arrivata Tiziana! Nonostante fosse la terza femmina, papà sprizzava gioia da tutti i pori”.
Sono Tiziana, la terzogenita di Leda e del “maestro Petti”. “I miei genitori si sono conosciuti intorno agli anni 1945/48 quando entrambi si spostavano dai rispettivi paesi per recarsi nei luoghi di lavoro. Mamma conquistò papà offrendogli un’artigianale colazione: pane bagnato in acquavite condito poi con lo zucchero. Quella colazione “galeotta” funzionò come un filtro magico, Leda e Giuseppe non si sono più lasciati. Matrimonio nel 1950, celebrato da don Luigi già parroco, e poi la nascita di tre femmine tra il 1951 ed il 1957. Cambiamento continuo di casa, visto l’incremento familiare, al Borgo, poi San Rocco, Via Cavour nello stabile del Bar di “Gino”, poi nel 1963 in via Amba Alagi. Nel 1966 finalmente arriva il figlio maschio: è Maurizio ed arriva accompagnato da una grande festa. Nel 1978 papà lascia la scuola, si dedica alla sistemazione della nuova casa di Via dei Castagni e al suo hobby preferito: la caccia. Poi arrivano i nipoti, cinque in tutto, Barbara, Leonardo, Gabriele, Alessio e Luca (questi due ultimi sono “Petti”) e la vita di nonno Peppino trascorre serena tra gli affetti familiari. Uno dei miei ricordi più belli è della prima metà degli anni sessanta. Mio padre nei giorni che precedevano la festa dell’epifania, aiutava Dante Orsolini e la moglie Vincenzina ad allestire la mostra di giocattoli in un locale situato nella piazzetta dalla “Colonna” (Piazza Gramsci). Come per incanto questo locale, chiuso per il resto dell’anno, si popolava di giocattoli di ogni genere: bambole, carrozzine, biciclette, trenini, ombrellini, macchinine e tutto ciò che può colpire la fantasia dei bambini. A quei tempi non c’era Babbo Natale, ma trovavamo i giocattoli sotto l’Albero della Befana. Nei giorni che precedevano la festa io e tanti altri bambini come me, vivevamo il sogno ed il privilegio di entrare in quel negozio dove si poteva “chiedere alla Befana” il giocattolo desiderato. Mi sentivo felice e fortunata. Quante volte ho rivisto nei miei sogni quel negozio, quante volte ho rivisto mio padre che mi indicava una bicicletta rossa… quella bicicletta rossa che mi ha portato la Befana di tanti anni fa!” Bene, ho concluso anche questa mia piacevole fatica. Piacevole perché mi ha fatto ritornare un po’ bambino, ha rinvigorito il mio entusiasmo e mi ha fatto rivivere esperienze quasi dimenticate. Spero anche di aver fatto cosa gradita a coloro che hanno condiviso con me le “avventure” descritte e a coloro che con il maestro Petti hanno invece condiviso piacevoli ore di conversazione o di salutare “ozio”. Giuseppe Petti farà il maestro anche in cielo, è solo lì che possono andare certi personaggi, lo sconforto che provo (e che vi comunico) è questo: “Non credo che sarò un suo scolaro!”
Ciao a presto Vignanello, 28 gennaio 2012 Tommaso Marini
P.S. Un sentito ringraziamento a Tiziana Petti per il materiale fotografico fornito e pubblicato, un ringraziamento a Annaelisa, Mariella e Tiziana per il bel “ricordo” del padre ed un grazie particolare ad Angelo Cherubini e ad Onorio Pacelli per il materiale fornito. 08.03.12 7 marzo 2012. Questo pomeriggio è tornata alla casa del Padre
LEDA ANNESI (1925 – 2012) I funerali si sono svolti, oggi 8 marzo alla ore 16, nella Chiesa Collegiata di Vignanello.
Apprendo con dolore della morte della cara maestra Leda, solo questa mattina, leggendo il suo necrologio. Leda era malata da qualche anno, sembrava insensibile a qualsiasi emozione ed il suo sguardo era rimasto assente o, forse, perso in una infinità di cari ricordi. Aveva perso quella sua continua voglia di “fare”; il suo carattere volitivo, forse anch’esso stanco, aveva lasciato il sopravvento alla staticità motoria ed al rallentamento emotivo. La figlia Tiziana, che con lei conviveva, ne parlava con un duplice immenso amore: quello di figlia, dovuto al forte legame di sangue, e quello di insegnante che vedeva, nella madre, la stessa aria innocente ed indifesa identica a quella che hanno i bambini al primo giorno di scuola. Questo ultimo paragone mi aveva sensibilmente emozionato perché mi riportava alla mente gli stessi innocenti silenzi di mia madre qualche giorno prima della morte. Leda ora è sicuramente più felice di quanto lo fosse negli ultimi 2/3 anni. Era più di un anno che stava lontano dal suo Giuseppe, volato in cielo nel gennaio dello scorso anno, e per loro due che “non si erano più lasciati dal lontano 1945/48”, era diventato un lungo periodo di lontananza quasi insopportabile. Una sola possibilità intravedeva Leda in quel suo vagare nell’infinito: l’unica via percorribile era la sua dipartita! Personalmente credo che ne fosse così convinta da aver voluto fortemente tale evento. E’ questo che vorrei trasmettere come espressione di solidarietà al dolore dei figli, dei generi e dei nipoti: Leda non si rammaricava del suo “non essere”, ma “smaniava” per il suo “divenire”. Ecco, ricordiamola cosi: gentile, disponibile, dolce, amorevole con tutti ed indissolubilmente legata al caro Giuseppe, ed ora di nuovo con lui “oltre la morte”. Anche Leda salirà in Paradiso perché, come ho già detto per il maestro Petti, è lì che vanno certe persone. Avrà anche lei la sua classe femminile, magari “parallela” a quella maschile del marito! Ai figli, generi, nipoti e parenti vanno le mie condoglianze più sentite, condoglianze che vengono dal più profondo del cuore, unitamente a quelle della redazione del www.ilpuzzoloso.com Un saluto ed un conforto particolare lo dedico a Tiziana che, certamente, accuserà più di ogni altro il colpo subito. Tiziana, abitando con i genitori, è stata Giuseppe prima e Leda poi e immagino che ieri, la morte della madre, è stata un po’ la sua seconda morte. L’emozione del momento non mi ha consentito di partecipargli il mio conforto al termine della cerimonia funebre, lo faccio ora brevemente incoraggiandola ad avere forza e determinazione per superare i momenti tristi ed il senso di solitudine che prende in tali circostanze, ma la morte di una qualsiasi mamma è sempre così, triste ed insanabile: “Le mamme – dico sempre – non dovrebbero mai morire!” Ma questo potere è nelle mani del Signore. Con affetto Vignanello, li 8 marzo 2012 Tommaso Marini
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