05.06.12
…e poi, la sera, si passeggiava in Corso Matteotti. di Tommaso Marini
Non so quanti di voi, tralasciando le frenetiche “corse” giornaliere, hanno avuto l’occasione di percorrere il tratto di strada che, al termine della salitella proveniente da Ponte della Fontana Barocca, attraversa per intero Piazza della Repubblica e séguita, in leggero declinare prima ed in modo più accentuato poi, fino ad arrivare all’inizio dell’irto Corso Mazzini (salita del Borgo) e delle scoscese Via Cavour a sinistra e Via Sant’Angelo Alto a destra.
Qualche mese fa, forse eravamo in marzo, di sicuro non era ancora in vigore l’ora legale, sono stato accompagnato in Piazza C. Battisti (Valle) da mia moglie alla quale dissi di non tornare a prendermi perché sarei rientrato a casa “da pedone” (usai proprio questa espressione!). Dopo essermi intrattenuto con alcune persone, da cui attingo notizie e curiosità del passato, decisi per il rientro percorrendo Corso Matteotti, Piazza della Repubblica e Corso Garibaldi. L’uso dell’ascensore, di per se molto comodo, mi ha messo subito in contatto con la moderna tecnologia, scomoda intrusa nelle antiche abitudini. Ripensai, curiosamente, ad un abituale modo di dire di mia madre e l’ho ripetuto ad alta voce: “Eh, se ritornassero i vecchi d’una volta!”
Ma la sorpresa più grande è stata quella che mi ha colto quando, sceso da quella moderna giostra completa di luci e suoni, mi sono ritrovato di fronte ad una schiera di porte e serrande metalliche chiuse che mi sembrava di scoprire per la prima volta. Era un’ora fatidica 17,30 / 18,00 iniziava la sera ed avevo la sensazione di essere stato catapultato lì da un altro pianeta: “Eh, se ritornassero i giovani di una volta!” ho borbottato tra di me. La strada, illuminata e silenziosa, sembrava un qualsiasi viale di cimitero! Niente negozi, vetrine, voci, allegria, neanche il pur minimo movimento di persone.
“Questo non è il mio paese, non può
essere il mio paese – ho
pensato – quella che sto vivendo è un’allucinazione”. Poi la
salita del Borgo, Palazzo Cecchini, il Palazzo Comunale mi hanno
aiutato a percepire meglio una delusione infinita, ma non certo ad
assorbire il terribile “pugno allo stomaco”, di cui ero vittima. “Ma dove sono stato in questi ultimi anni – mi sono chiesto – possibile che non abbia assistito, oppure abbia assistito passivamente, alla lenta agonia del mio paese?” “Dove sono finiti i Chiricozzi, gli Annesi, il Bar di Checco, il Ristorante di Alfio, la farmacia di Scipione (Oddino), Millo il barbiere e Otello, Cesarino e Angelo Pagliari, Mauro Alberti e Remo, Vando, Pompilio, Raffaele Francesco, Silvio e gli altri?”
Quel curioso e caratteristico tratto di strada non c’era più o, meglio, c’era materialmente, ma non era più quello di una volta. “Eh, se ritornassero i Vignanellesi di una volta!” storpiai ad alta voce la “ricorrente nenia” di mia madre. Questo curioso e caratteristico tratto di strada, che racchiude gran parte della mia adolescenza ed una parte della mia gioventù, così come quella di moltissimi giovani compaesani, era definito “la passeggiata”. Per la verità di “passeggiate” ne esistevano due: una, quella descritta, frequentata nel periodo autunno-inverno-primavera, l’altra frequentata nel periodo estivo e fino all’apertura delle scuole (il 1° di ottobre).
Questa seconda passeggiata (detta “della Colonnetta”) si svolgeva per intero su Via Vignola, a partire dall’Arco del Molestino (quello delle famosissime “palle”) fino ad arrivare all’incrocio con Via San Rocco, denominato Bivio della Colonnetta, dove anticamente un’artistica colonna riportava le distanze chilometriche di alcune importanti città (io allego una foto, ma spesso mi chiedo quale fine avrà fatto l’originale !). Dopo l’inaugurazione del Bar Holiday, detta passeggiata proseguiva anche in territorio valleranese, fino a raggiungere questa nuova attrattiva mondana. La passeggiata serale invernale (definiamola così!) è sempre stata, fino alla fine degli anni sessanta, il modo abituale di trascorrere un paio d’ore in assoluto e spensierato riposo mentale, in compagnia degli amici più sinceri e delle amiche più care. Anche i miei genitori, come tutti i giovani della loro generazione, avevano passeggiato ed amoreggiato in quel curioso e caratteristico percorso che, forse, era un po’ più buio ma certamente ricolmo del caratteristico vociare delle persone in continuo movimento.
Quanto abbiamo amato quella “passeggiata”! Ci si incontrava verso l’imbrunire e non servivano appuntamenti. In quelle due ore che scorrevano rapidissime, si percorreva quel tratto di strada un’infinità di volte, ripetutamente, senza sosta e rigorosamente in “riga”: ragazze al centro (2/3) e ragazzi sulle ali (2), vicini alla “fiamma” del momento. Tanti amori sono nati, cresciuti, maturati ed altri finiti in quel curioso e caratteristico percorso.
Spesso, in attesa dei componenti ritardatari del gruppo, si sostava seduti sul muretto in tufi e peperino posto di fronte al Palazzo Comunale, si fumavano frettolosamente le prime sigarette condivise, si parlava di sport, di come organizzare il fine settimana (il cinema o il ballo in casa di qualcuno di noi) e poi ci si muoveva per lo “struscio” nel momento in cui la compagnia era al completo.
Piazza della Repubblica, con i suoi “capannelli” di uomini impegnati in discussioni interminabili, e Corso Matteotti, con il suo turbinio di giovani in movimento, erano un pullulare di persone, un miscuglio di voci, un ronzio insistente ed in alcuni momenti assordante, come uno “sciamare” di laboriose api. La pubblica illuminazione e le luci proiettate in strada da negozi e vetrine rendevano l’atmosfera allegra, festosa… o forse eravamo noi tutti più allegri e festosi, spensierati e felici di quel poco di cui eravamo abituati ad accontentarci. Certo erano altri tempi ed anche altri costumi. Ricordo che allora non si prestava molta attenzione a negozi, alle vetrine, ai portoni popolati da abituali spettatrici. Si aveva altro da dire e discutere con i compagni di passeggiata. Solo adesso, molto più tardi, rielaboro con attenzione tutte quelle remote e vitali testimonianze di gioventù. Ricordo gli atri dei portoni che davano sul Corso. Avevano le porte completamente aperte e all’interno alcune donne, comodamente sedute, assistevano all’inesauribile campionario di persone in movimento, rievocando, magari, i tempi in cui erano loro le protagoniste. Per loro assistere passivamente alla passeggiata serale era anche un modo per conoscere le abitudini e le frequentazioni dei giovani, osservare le consolidate coppie, conoscere i nascenti amori ed avere argomenti di conversazione con le tante altre “curiose comari” del paese. Ricordo anche che il traffico era quasi inesistente. Quei pochi veicoli che percorrevano l’intasato tratto di passeggiata dovevano regolare la loro andatura con quella dei pedoni che, incuranti dei veicoli, procedevano lentamente. Ricordo attività commerciali assiduamente frequentate da avventori frettolosi ed attività artigiane popolate da conversatori non frettolosi. Erano, queste ultime, i luoghi di aggregazione abituale per i meno giovani di quel tempo: barbieri, calzolai, sarti, nei cui locali era possibile parlare di politica, di calcio, di caccia e di micologia con la certezza di essere ascoltato da attenti uditori, che condividevano la medesima passione e che qui si intrattenevano in racconti, esperienze e discussioni interminabili. Allora si rispettavano gli orari e si temevano le punizioni inflitte in caso di ritardo: il non poter partecipare alla passeggiata del giorno dopo era la punizione peggiore.
D’estate, uscendo dopo cena, ripercorrevamo tra amici quel medesimo tratto di strada selciata (ancora l’asfalto non aveva reso tutte le strade del centro storico identiche ed affettivamente anonime): incuteva quasi timore, maestosa, silenziosa e quasi deserta, se non fosse stato per la nostra presenza e per il nostro parlare che rimbombava tra i serrati palazzi che ne segnavano il percorso. Certo, di sera mancava quella atmosfera magica che si sprigionava con il chiasso continuo e crescente, mancava il fascino delle tante persone che da anni ed anni si avvicendavano per rinnovare quella antica usanza.
A tarda sera, per la verità, si passeggiava un po’ meno. Si preferiva frequentare il Circolo ACLI (il vecchio caro Bottegone) per una partita alle carte o al biliardo e poi, specie nelle serate più calde, ci si sedeva sui gradini di accesso al civico 75 insieme ai simpatici e curiosi personaggi frequentatori del Circolo stesso. Era sempre un folto gruppo di persone, giovani e meno giovani, che trascorreva, parlando e raccontando, una piccola parte di giornata prima di gustare il meritato riposo: Casimiro, Dante, Silvano, Giuliano, Biagio, Vario, Geo, Mario, Checco, Loreto, Nicola, Angelo, Luigi insieme ad altri di cui vi ho già parlato. Molte di queste persone non ci sono più ma ho sempre un grande piacere nel ricordarle.
Allora non avevamo automobili, non eravamo in età, ma la cosa non ci dispiaceva. La prima Fiat 500 che comparve nella comitiva era di Luigi Antonozzi, più grande della maggioranza di noi ed economicamente indipendente. Qualche anno più tardi si aggiunsero altre autovetture: quella di Luciano Stefani, poi quella di Luigi (Giggi) Ceccarelli e ancora la Fiat Giardinetta di Loreto Seralessandri (o meglio del padre Natale) con la quale, in 12 persone, riuscimmo a percorrere la salita del Borgo. Poi fu la volta di Geo Gazzarini, Guido Tabacchini ed anche la mia (era il 1966, avevo 20 anni quando i miei genitori decisero l’acquisto di un’auto. Fino ad allora mio padre, mia madre, mio fratello ed io avevamo sempre viaggiato insieme su una Vespa, prima una 125 e poi una 150 cc.).
Nel volgere di pochi anni tutti noi, ragazzi del gruppo, disponevano di una Fiat 500 rigorosamente Bianca (riuscimmo a contarne fino a dieci). La tecnologia, che stava scardinando le antiche abitudini, ci consentì le prime defezioni dalla passeggiata serale per frequentare qualche nascente discoteca (eravamo agli albori di quello che poi divenne un esodo abituale).
Le nostre domeniche mutarono radicalmente. Mentre, da pedoni, si frequentava il Cinema (Comunale o Cimino) seguito da una salutare passeggiata per il Corso oppure, in alternativa, il ballo in una casa privata con immancabile passeggiata a seguire, da automobilisti si incominciò a frequentare le nascenti Discoteche: i 2 Cigni in prossimità del Lago di Vico, l’Elefante Bianco e l’Arabesque a Civita Castellana, Selva Luce a Canepina oppure qualche locale caratteristico del circondario: l’Autostello Aci, il Sans Soucis, il Motel Rio Vicano in prossimità del Lago di Vico o la Pizzeria La Villetta in quel di Viterbo.
D’estate il Lago di Vico diveniva il divertente passatempo alternativo alla passeggiata paesana, lontani da sguardi curiosi e da personaggi e luoghi oramai troppo comuni.
La nostra generazione, e poi quelle successive, stavano avviando un irreversibile fenomeno di allontanamento dal “paese”, dalla gente, dai luoghi, insomma dalla cultura antica che pian piano andava scomparendo. Ora questa revisione ragionata delle cose mi rende tremendamente triste. Confesso di sentirmi in parte responsabile del vuoto che siamo riusciti a creare in questo nostro paese, di come inconsciamente abbiamo contribuito ad impoverirlo, di come abbiamo squalificato le singolari attrattive, la comunità ed il territorio. Quanto abbiamo amato quella semplice passeggiata e quanto l’abbiamo tradita come, del resto, tutte le altre semplici abitudini!
Dicevo all’inizio di questa mia rivisitazione che non ho idea di quanti di voi abbiano mai percorso in modo calmo e ragionato quel curioso e singolare tratto di strada e forse ora avrete anche compreso il significato della mia domanda iniziale. Forse perché immagino che una gran parte di voi condividono le mie riflessioni e sono ugualmente addolorati di ciò che involontariamente abbiamo contribuito a distruggere. Si poteva fare qualcosa? Mestamente devo rispondere di no!
E’ con questo triste stato d’animo che sono tornato sui miei passi ed ho cercato di ricordare e ripensare ai diversi simpatici personaggi che gestivano le tante attività imprenditoriali presenti sul Corso Matteotti.
In breve ne ho ricostruita una sequela lunghissima anche se poco approfondita. Molte di quelle persone sono tornate alla mia memoria così come le ricordavo da adolescente, così come apparivano ai più, senza storie personali, drammi, famiglia, disponibilità economiche ma solamente immersi nel quotidiano lavoro.
Ricordo il volto di persone scomparse, emigrate, trasferite, passate ad altri interessi, sostituite nell’attività da altri e l’elenco continuava ad allungarsi, sembrava non finire mai, un elenco che, all’impronta, cercherò di comunicarvi anche se non riuscirò certamente ad essere esaustivo: i fratelli Chiricozzi (Umberto ed Olimpiero), Livio, Ennio e Plinio Annesi, Millo Gazzarini, Francesco Felici, Argia Calvanelli, Alfio Ceccarelli con il fratello Mario e sua moglie Franca, Oddino Mancini, Dante Orsolini, Francesco Lorenzetti (Checco i’ galluzzo), all’Agheta, Luigi Bracci (Cencio “pistoletta”) e sua moglie Lisetta Tabacchini, Luigi Peruzzi (Mimmi ‘e Giachetto), Evaristo Cardarelli, Innocenzo Fiorentini, Severino Tabacchini, il dott. Ugo Eliodoro Anselmi, il veterinario dott. Eletti, Aldo Soprani e sua moglie Graziella, Elio Soprani, Bruno Serangeli ed il figlio Manlio, Giovanni Marini (Giovannino i’ salaro), Enrico e Giulio Marini, Renzo Campana, Fulvio Rompietti e la moglie Maria, Nando Burchiani, Giovanni Ziaco, Gino Agnelli, Fernando Mezzopra e suo figlio Giuseppe, Flavio Antonozzi e la moglie Antonietta (“riccacase”), Innocenzo Tabacchini ed i figli Tommaso e Giuseppe, Aristide Piermartini, Biagio Bracci e la moglie Anna Maria, Ezio Chiricozzi (“mastichino), “ ‘a Babba”, Alvaro e Carlo Orsolini, Vincenzo, Antonio Grasselli e Costanza, Bernardino Stefani e la figlia Iole, Ezio Gnisci, donna Giacinta Ruspoli e suo figlio il principe Del Drago, Nicola Trevi, Alessandro (Dado) Ruspoli, Elbidio Stefani e la moglie Luciana, Innocenzo Stefani (“Nocenzo ’a ciocca”), Giuseppe Tedeschini, Giuseppe Antonaroli (Pepparello), Antonio Martiri, Domenico Tabacchini, Augusto, Innocenzo, Carlo e Piero Cagnetti, Giovanni Ceccarelli (i’ Coppitello), Romolo, Caio e Giovanni (Nino) Marini, Antonio Perugini ed ancora Vincenzo Bracci (Vincenzo Checché), Luigi Bracci (Luigetto), Quintino Bracci (i’ pallottino), Ludovico Fiorentini, Tommaso Tabacchini, Rosa Calvanelli, Clea Stefani, Armandina Piersanti, Italo e Luigi Cherubini, Giovanni Purchiaroni, Giuseppe Pacelli (Peppe i’ Valleranese), Linda Antonaroli, Giuseppe Annesi (Peppe Pisa), Ercole Rita (Ercolino ‘e Ruggero), Vladimiro Primavera, Alvaro Lelli, Pietro Maccioni, Anacleto Rovinetti, Amulio Antonaroli, Golfredo Cesaretti, Vincenzo Siena, don Luigi Calvanelli, don Giovanni Cardarelli, don Venturino Bracci ed altri, tanti altri, figure indimenticate, quasi familiari. “Eh, - dico io - come passa il tempo!” A risentirci alla prossima. Un caro saluto a tutti e l’augurio per un’estate felice.
Vignanello, li 5 giugno 2012 Tommaso Marini |