22.11.07
22 novembre. Santa Cecilia
Una consuetudine vignanellese di un po’ d’anni fa
Martire e santa, vissuta nel III secolo, secondo la
“Historia passionis Sanctae Caeciliae” (1600) sarebbe appartenuta alla nobile
gens Caecilia e sarebbe andata sposa, diciassettenne, ad un certo Valeriano, che avrebbe convertito al cristianesimo, mantenendo la sua verginità.
Martirizzata sotto Alessandro Severo, il suo corpo fu sepolto nel cimitero di San Callisto a Roma. La sua festa si celebra il 22 novembre.
Numerose leggende sorte attorno alla figura della santa, l’hanno fatta associare all’arte della musica ed eleggere a patrona della stessa, dei musicisti e dei musicanti. In suo nome sono pertanto sorte numerose associazioni di carattere musicale, tra le quali la più conosciuta è
l’Accademia di Santa Cecilia, con sede in Roma.
A Vignanello, da decenni, e sicuramente parecchi, gli appassionati di musica ed in particolare i componenti di complessi musicali come bande ed orchestrine, più o meno brave ed organizzate, nel giorno dedicato alla loro patrona, partecipano ad una funzione religiosa celebrata in suo onore e concludono la giornata con una abbondante ed allegra cena, nella quale non mancano ovviamente, prima, durante e dopo, esecuzioni musicali di vario genere.
Tempo fa, capitatami tra le mani una foto del passato remoto, sono riaffiorati personaggi e avvenimenti che senza questa occasione sarebbero forse stati dimenticati per sempre e si sarebbe perso anche il ricordo della festa, della tradizione e delle persone che l’animavano.
La foto è stata scattata sul sagrato della chiesa collegiata di Vignanello, sicuramente il giorno della festa di Santa Cecilia, verso la fine degli anni ’40.
Non a caso, la maggior parte delle persone ritratte tiene in mano uno strumento musicale e l’unica donna presente, e con molta probabilità partecipante attiva ai vari momenti della festa, si chiama Cecilia (Panunzi), scomparsa alcuni anni fa.
Anche quasi tutti gli altri ritratti nella foto, sono ormai passati a miglior vita, tranne pochi.
È ben vivo e vegeto infatti, e colgo l’occasione per fargli tanti auguri di continuare così ancora per molto tempo, il nostro caro abate don Luigi Calvanelli.
Era, quello ritratto nella foto, un gruppo di amici, tutti appassionati di musica che, per quanto ne so, per molto tempo, dai primi anni ’30 fino agli inizi dei ’50, tenevano vivo un loro modo di celebrare la ricorrenza del 22 novembre.
L’animatore del “Concertino di Santa Cecilia”, così veniva chiamata questa piccola banda musicale un po’
sui generis, era Vincenzo Grasselli, alias Vincenzo ‘e Cciuccio.
In Piazza, nella sua bottega di barbiere e nel locale attiguo (dove oggi è la sede dell’ufficio di pratiche automobilistiche
Agenzia Vignola) avevano luogo le riunioni e si svolgevano, praticamente quasi tutto l’anno, le
prove dei pezzi da suonare per la festa. Però qualche settimana prima del 22 novembre le prove erano più ravvicinate e febbrili, e venivano fatte di sera, quando la bottega era chiusa per i clienti da servire.
La sera della festa, dopo aver assistito alla Messa, c’era la cena, tutti insieme, a casa o in cantina di uno dei componenti della banda e si banchettava allegramente e, suppongo lautamente, fino a notte inoltrata.
Verso mezzanotte tutti andavano nella bottega di Vincenzo, ognuno prendeva il suo strumento
e... il Concertino di Santa Cecilia usciva, atteso e accompagnato in giro per il paese da alcuni appassionati.
Anch’io, che abitavo di fronte alla sua bottega, quando dalla finestra di casa mia vedevo il
concertino che si avviava, scendevo in piazza e mi accompagnavo al gruppo.
Gli strumenti suonati non erano chiassosi e altisonanti, non c’erano gli ottoni e prevalevano, come vediamo nella foto, violini, mandolini, banjo, fisarmonica e clarino. Per
battere e portare il tempo c’erano un tamburello, un tamburo e i piatti, ma i suonatori di questi strumenti ne facevano un uso discreto e confacente all’ora notturna.
Il repertorio del concertino abbracciava le arie più note di opere, operette, canzoni popolari e canzonette in voga. L’esecuzione, quasi sussurrata e melodiosa, assomigliava molto ad una appassionata serenata.
Il concertino, insieme agli accompagnatori che lo seguivano, percorreva le vie, le piccole piazze e i vicoli del paese, suonando mentre camminava e si fermava per qualche sosta sotto le finestre di qualche comune amico o di qualche donna di nome Cecilia, i quali si affacciavano alla finestra per ringraziare dell’omaggio musicale e, spesso, scendevano anch’essi in strada per offrire ai suonatori ed al loro seguito, qualche pasticcino e un bicchierino di liquore, che era ben accetto, vista l’ora e il periodo piuttosto rigido dell’anno.
Alle prime luci dell’alba il concertino rientrava in bottega e ognuno prendeva la strada di casa per andare al lavoro.
Negli ultimi anni in cui la tradizione è stata rispettata, io ero abbastanza grande e frequentavo le Superiori. Tuttavia mi univo sempre al concertino e lo seguivo in tutto il suo giro per il paese, fino a che non rientrava, a volte appena in tempo per un’affrettata colazione ed una corsa verso la stazione per arrivare a prendere al volo il treno delle 7.12 per Viterbo.
Le persone ritratte nella foto (da sinistra),
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