13.12.10
Vignanello e il terremoto dell'Irpinia
“Cristo si è fermato ad Eboli, Noi siamo arrivati a
Ricigliano”.
di Francesco Crocebella
Erano le 19.35 del 23 novembre 1980 quando la prima scossa di magnitudo 6.8 colpisce le province di Avellino, Salerno e Potenza. Un inferno con 2.914 morti, 8.848 feriti e interi paesi scomparsi.
Anche la comunità di Vignanello, memore del suo terremoto, si sentì coinvolta in questa tragica vicenda e spinti tutti dal sentimento di solidarietà ci demmo tutti da fare. Iniziò sin da subito la raccolta di beni per i terremotati dell’Irpinia.
Don Luigi si era messo ed aveva messo tutto a disposizione per questa raccolta.
Era una giornata come questa, grigia, piovosa, invernale: le nuvole coprivano il campanile ma
partimmo con il pulmino 650 fiat alle cinque di mattino insieme ad un altro pulmino pieno di ogni ben di Dio.
Imboccammo incerti l’autostrada ad Orte per raggiungere Capua: il centro di smistamento era stato localizzato in quel sito dove montoni di panni, scarpe, coperte venivano separati da volontari già pervenuti da ogni parte d’Italia. Dopo vari colloqui, ci indirizzarono alla curia di Salerno dove era stata dislocata la base operativa per i soccorsi. Era oramai verso le quattro del pomeriggio quando ci individuarono la nostra meta da raggiungere: Ricigliano. Dove? Chi? Ricigliano. Un piccolo paese dell’Appennino al confine
con la Basilicata ad una settantina di Km da Salerno.
Riprendemmo l’Autostrada Salerno – Reggio Calabria e passato Eboli, a Buccino nord, uscimmo dall’Autostrada ed entrammo in un territorio fatti di strade strette di montagna, di curve e controcurve.
Don Luigi sentenziò subito “Cristo si è fermato ad Eboli, noi siamo arrivati a Ricigliano”.
Attraversammo paesini di montagna, frazioni, casolari: tutto era distrutto, finito.
Arrivammo a Ricigliano che era notte fonda: tutto sembrava meno che un paese terremotato.
Gente che girava , parlava,si muoveva con molta frenesia. Parcheggiammo nelle vicinanze della piazza principale e don Luigi con il suo fare da prete si presentò ad un gruppo di volontari di Udine che ci invitarono ad una riunione per capire come stavano le cose. Ma era ora di cena ed imboccammo la porta di un osteria deserta ma con un tavolo e delle sedie dove ci accomodammo con l’allegria di coloro che hanno fame e sete. Noi avevamo portato da casa il vino, del formaggio e dei salumi,chiedemmo all’oste ospitalità e ci sedemmo con rispetto pronti a sopire la fame che ci aveva preso. In alto, a sinistra della porta, su una lunga pertica “pengolava” una lunga salciccia di carne che colpì subito l’attenzione del nostro prete. Più cercavo di distorglielo da quella visione più lui insisteva di chiedere all’oste quanto voleva per quella salciccia, che in cambio gli avremmo dato una damigiana di vino: mangiammo quella salciccia con avidità con il piacere di vedere Don Luigi soddisfatto della sua scelta: era sicuramente un buongustaio.
Tornati ai pulmini cercammo di prepararci per la notte, tutti raggomitolati ognuno sui propri sedili: notte fredda. Non chiudemmo occhio e aspettammo l’alba con ansia.
La mattina un po’ stravolti alzati gli occhi ci accorgemmo di cosa era stato il terremoto: non una casa dritta,tutto distrutto . In piazza c’era rimasta solo l’osteria, adesso senza più neanche la salciccia, ed intorno tutto era crollato, distrutto. Nel cimitero c’erano i cadaveri ancora da seppellire. Tutte le donne vestite di nero facevano la fila intorno ai cadaveri. Mentre noi facevamo la visita dei luoghi distrutti, Don Luigi aveva aperto la bancarella e distribuiva a piene mani tutto quello che avevamo raccolto a Vignanello.
Era una bellezza vedere il prete pieno di gioia, contento, felice da distribuire a chi aveva bisogno: donare è stato sempre il suo sogno. Sembrava che facesse il mercato, cappotti, coperte, taglie, misure conosceva tutto, ognuno il suo capo, ad ognuno la sua coperta,ad ognuno il suo vestito.
Noi nel frattempo avevamo raggiunto il centro del paese completamente distrutto: vedere quelle case contorte su se stesse e visto che la scossa era avvenuta alle 19,35 della sera spesso si vedevano tavole
ancora apparecchiate per la cena.
In silenzio attraversammo quelle stradelle piene di detriti,incontrammo persone che piangevano,altri con dignità tenevano stretto il loro dolore. Ci accorgemmo allora che Ricigliano non c’era più.
Don Luigi aveva terminato la sua opera e racimolato qualcosa per il pranzo, sentendoci inadatti in quella situazione, riprendemmo i nostri mezzi e ci incamminammo verso casa.
Arrivammo a Vignanello verso le undici di sera accolti da una bella nevicata che aveva imbiancato tutto il nostro centro.
“Cristo si è fermato ad Eboli – noi eravamo arrivati a Ricigliano”.
Francesco Crocebella
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