28.11.2007
E' iniziata domenica scorsa la Fiera della Madonna. Ho riesumato per l'occasione
un mio vecchio articoletto uscito su Villaggio Globale diciassette anni fa.
Vincenzo.


La Fiera della Madonna, storia di una festa vignanellese


Nelle tre domeniche seguenti la Festa della Presentazione della Madonna al Tempio (21 novembre), si tiene a Vignanello la Fiera della Madonna.

Le sue origini risalgono al XVI secolo quando fu istituita da un documento pontificio del 22 marzo 1536. Allora era Papa Paolo III, prozio di Beatrice Farnese, padrona del Feudo di Vignanello. Sforza Vicino Marescotti genero di Beatrice era Conte di Vignanello e proprio in questi anni (1531-1536) fece ricostruire il castello, rendendolo così come oggi noi lo conosciamo.

La fiera non si svolgeva come oggi ma per sei giorni a partire dal 26 marzo. Soltanto due secoli più tardi, una volta terminata la Chiesa Collegiata, il 22 settembre 1724 Papa Benedetto XIII per premiare i Vignanellesi che insieme al Principe Francesco Maria Ruspoli avevano contribuito alla costruzione, portò la fiera ad una durata di 10 giorni, dal 1° al 10 maggio. In questo periodo la piazza aveva assunto pressappoco l’aspetto col quale noi oggi la vediamo ma il paese era ancora ristretto al nucleo del centro storico, poche case stavano fuori dalla “Porta della Torre”, oggi demolita e il “Borgo” era in costruzione. San Sebastiano non esisteva ancora e la “Valle” era un immenso prato. Dal 1733 la fiera si tenne in due periodi dell’anno, dal 1° al 4 agosto e dal 19 al 25 novembre, poi la fiera di agosto, ridotta ad un solo giorno fu spostata al lunedì dopo i festeggiamenti di S. Biagio e quella di novembre fu limitata alle tre domeniche consecutive dopo il 21 novembre, Festa della Presentazione di S. Maria Vergine al Tempio, a cui è dedicata la Chiesa Collegiata ed è per questo che la fiera è detta “della Madonna”.

Lungo la via principale del paese: dal Molesino fino alla Piazza e alla Valle si susseguono una dopo l’altra le bancarelle con le più svariate mercanzie, dalle piante alla ferramenta, dalle calzature ai libri. Essa richiama ogni anno molta gente anche dai paesi vicini e questo perché da tempo immemorabile questa fiera è ritenuta una buona occasione per acquistare ad un prezzo conveniente ciò di cui si ha bisogno. Questa manifestazione, nata come “Fiera di merci e bestiame”, intorno agli anni ‘50 cominciò a mutare di aspetto e contenuti. Mentre la vendita delle merci si è ampliata sempre di più, con la presenza di nuovi prodotti, più moderni e specializzati, quella del bestiame, come è facile intuire è andata diminuendo fino a scomparire, tanto è vero che attualmente alla fiera nessuno si aspetta di trovare venditori di muli, asini e tanto meno maiali, in passato molto ricercati.

I venditori ambulanti arrivavano il sabato sera col treno o con altri mezzi: un furgoncino, raramente un’auto. Mangiavano nelle trattorie e nelle bettole, entrambe ancora attive e frequentate: nel vicolo delle Prigioni Vecchie quella del “Coppitello”, su Corso Matteotti quella del “Bastardo”, davanti alla Stazione quella del “Fantoccio” e alla Valle quella di “Baretta”. Trovavano un posto per dormire alla meglio e, passata la nottata, quando ancora era buio spandevano la loro roba. Vendevano cappotti, cappelli, coperte, piatti, ombrelli, tutti oggetti di uso comune che potremmo ritrovare anche sulle bancarelle della fiera di oggi, ma c’erano anche personaggi particolari, spesso dei truffatori, veri e propri attori che con le parole riuscivano a vendere un oggetto di scarso valore a chissà quale prezzo, facendo credere a chi lo acquistava di aver fatto un affare.

C’erano artigiani che venivano a vendere attrezzi per la campagna da loro fabbricati, altri che vendevano lamette da barba, appena trovavano qualcuno che si prestava a sperimentare una rasatura, lo insaponavano per bene e lo tenevano sotto tutta la mattinata, per mostrare a più gente possibile l’efficacia del loro prodotto. Altri ancora vendevano callifughi, creme miracolose per togliere i calli che dicevano ricavate dal grasso delle cavie. Sul loro tavolo era esposto un vasto assortimento di esemplari raggrinziti e incartapecoriti di calli, duroni, occhi di pernice e lupini, che sostenevano di aver tolto, in uno spettacolo che certamente noi oggi riterremmo poco gradevole. C’era anche chi vendeva il vischio (risco) per imbrattare i tralci delle viti e non far salire i bruchi che avrebbero danneggiato le gemme sul punto d’aprirsi. Molti erano accompagnati da simpatiche scimmiette che servivano ad attrarre l’attenzione della folla ed alcuni avevano anche degli altoparlanti. La fiera si animava molto presto, all’alba, e la gente la aspettava tutto l’anno per concludere l’affare, per comprare il cappotto!
Fino agli anni ‘70 si svolgeva alla Valle, in Piazza e lungo il Corso Matteotti, non comprendeva né il Borgo né il Molesino.

Oggi anche i luoghi della fiera sono cambiati. La fiera non è più attesa come una volta, la gente i cappotti li compra quando vuole e la domenica preferisce alzarsi un po’ più tardi. Sulle bancarelle ci sono giocattoli, vestiti alla moda, fiori di plastica e videocassette. I venditori arrivano con furgoni grossi come case e sono sbarcati anche i Cinesi con le loro statuine di Buddha e le loro bacchette di incenso. Solo una cosa di certo non è cambiata... il freddo che tutti gli anni non manca mai all’appuntamento con la nostra fiera tanto da farla chiamare la “Fiera dello Sbattolò” o, come dicono a Vallerano: la “Fiera de’ Vreddo”.

Vincenzo Pacelli

Tratto da Villaggio Globale. Anno I – N. 2, Novembre-Dicembre 1995. Pag. 1-2

 

P.S. Ovviamente tutte le notizie riguardanti la fiera negli anni '50 non sono farina del mio sacco, ma del maestro Lillo, che a breve scriverà qualche altra chicca, per la gioia di Andrea e non solo.