12.01.08
Me ricordo quell’anno...!
...Quando ragazzi felici andavamo alla scuola,
con la cartella a tracolla ed in mano la mela...
Era questo l’inizio di una lunga, e allora anche bella, canzone che Achille Togliani cantava alla radio, accompagnato dall’orchestra del mitico Cinico Angelini, quando ero ragazzo, ma la canzone era già in voga da alcuni anni. Erano gli anni ’50. Frequentavo le superiori a Viterbo.
Nel pomeriggio e nei periodi di tempo liberi dallo studio, io e i ragazzi della mia età cominciavamo a frequentare il
Caffè ‘e Rocchietto che, con la supervisione di sua madre Argia, era gestito da
Checco e da sua sorella Giovanna quando veniva da Roma, dove abitava con la sua famiglia.
Questo ritrovo, in corso Matteotti n. 7 e 9, consisteva di due locali, ora sfitti da alcuni anni. In quello dal quale si entrava, sul lato destro c’era il bancone per la lavorazione e la vendita dei gelati, delle caramelle e per la preparazione del caffè e la mescita di bibite varie e liquori; sul lato opposto erano allineati tre o quattro tavoli, circondati da molte sedie, sui quali e sulle quali gli anziani si azzuffavano bonariamente in lunghe discussioni, come lunghe ed interminabili erano anche le partite giocate con le carte napoletane a briscola,
tressette, tressette col morto, traversone, scopetta, scopone scientifico, faraone e, sotto le feste, qualche giretto a poker.
Nell’altro locale, comunicante col primo tramite due aperture, a mo’ di porte, ma senza battenti, c’era un bigliardo con una rastrelliera per le stecche e due tavoli con il piano di marmo bianco. Questo era il regno di noi clienti più giovani, che soprattutto giocavamo, anzi cominciavamo ad imparare a giocare a bigliardo, sotto la “scuola” del gestore Checco, che era un vero maestro in tutte le specialità agonistiche: boccetta, goriziana, all’italiana, carambola e bazzica.
Tra noi ragazzi e giovani, che stavamo di qua, e gli anziani che stavano di là, correva buon sangue, non c’erano gli odierni conflitti generazionali e si giocavano accanite, ma spassose partite sia a carte che a bigliardo, che avevano per posta in gioco la classica “consumazione al banco di 30 lire” che consisteva o in un caffè, o in quattro o cinque caramelle o, in estate, in una
canestrella di gelato, rigorosamente e magistralmente fatto da Checco.
Questi anziani, così li vedevamo noi ragazzi, per la maggior parte non raggiungevano la cinquantina e pochi erano un po’ più avanti. Se ripenso un po’ ne ricordo molti, e se fossi esperto ed abile nel disegnare, ciascuno potrei ritrarlo nel suo atteggiamento più qualificante: Argia, la
proprietari del Caffè, che sicuramente era la più anziana, insieme a Ffoffo ‘a Llilla, il postino in pensione, Peppe i’ Ffrate, Alfredo ‘e Sbracia, Checchino i’ Ccecaricchjo, Cèncio e ‘Gnazzio i Ffabbri, Maurizio Zamòra, Artiero ‘i Zsegatori, Giggi i’ Ccassista, Checco i’ Riccio, Peppe Capagno, ‘Ngelino ‘e Toto, Peppe i’ Bbiondo, Mimmi Chiarini, Alfonzo i’ Ppuzzoloso, Venturino i’ Mmastraro, Ugo i’ Ccapoccio, Vando ‘e Memmo ‘e Rizieri, Checchino Danimarca, Gino i’ Ppeloso, Nèno i’ Bbaffo, Peppino i’ Cciottetto, ‘Nastasio i’ Ccolonnello e, in estate e nei periodi di vacanza, il professor Guido Graziani, con quale ci misuravamo in accanite e molto movimentate partite a boccetta a 36.
Con tutta questa brava gente, ma brava nel senso più lato della parole, noi giovani, parlavamo, discutevamo, giocavamo, scherzavamo e, quando cominciavano con le loro rievocazioni di fatti accaduti chissà quando e di altre
storie che, si diceva allora “qué è da riccontà ‘a sera ‘e
Natale”, ci divertivamo un mondo ad ascoltarli, con il loro linguaggio poco aulico, ma colorito e intercalato da espressioni dialettali, non traducibili in lingua italiana, che rendevano viva e interessante ogni loro narrazione, anche la più semplice e breve.
Fra i tanti che ho nominato, ce n’era uno che si distingueva per il modo di raccontare e per la sua arguzia. Era Giggi i’ Ccassista, al secolo Luigi D’Alessio, soprannominato così perchè suonava
‘a grancassa nella banda paesana, e la suonava veramente bene.
Spesso mentre si parlava degli argomenti più disparati, egli abbozzava un lieve sorriso e smetteva di parlare. Era quello il segnale che gli era affiorato alla mente un qualcosa da raccontare che cadeva a proposito nei discorsi che stavamo facendo.
Ormai lo sapevamo. Senza alcun segnale di intesa fra di noi, facevamo tutti silenzio e lui cominciava, sollevando leggermente una mano e volgendo lo sguardo appena un po’ in alto, fissando nel vuoto qualcosa che solo lui poteva vedere. Cominciava sempre così: «Me ricordo quell’anno...!» e andava avanti nel racconto senza che nessuno lo interrompesse, fino al termine.
Senza alcuna presunzione di voler emulare Giggi nella sua coinvolgente narrazione, ho pensato di intitolare questo spazio (che mi è stato messo a disposizione da
il Puzzoloso per rievocare fatti, persone, usanze, espressioni dialettali, ma anche per parlare di argomenti vari e non necessariamente trapassati) proprio pensando al
Cassista ed alla sua rievocazione, con le sue parole iniziali: «Me ricordo quell’anno...!».
Lillo |