10.03.09 Carissimi Tutti poiché molti si sono meravigliati della mia visione della vita, quale traspare dall’intervista uscita nel giornale parrocchiale “Vignanello In forma” escludendo con la loro, completamente quella legata all'imponderabile agli infinitesimali quelli che più che il pensiero rileva l'anima. Qui, offro loro, queste semplici e naturalmente esemplificate visioni della complessità della visione, come interpretiamo ciò che ci circonda e che un ateo vuole pianificare comunque, ammettendo di sapere solo e soltanto lui quale sia la realtà da osservare e osservabile. Scusate se non è fideistico tutto ciò! A presto Maxfor |
19.04.09 Quanto segue e’ un estratto di un carteggio tra Massimo Mastrangeli e Massimo Fornicoli che trae spunto dall’ultimo intervento di Maxfor sulle pagine del
Puzzoloso (che trovate qui sopra). MF: Hai ragione, ma non scrivendo sulla pagina culturale del Sole24ore e pensando che l’immediatezza debba avere un valore nel dialogo, come accade nel parlato si può essere poco chiari più che allo scritto. MM: Tu scrivi: MF: Ogni nostra visione è sempre personale, non accetto fuorviante perché è un mio pensiero e non pretende di condurre nessuno, solo di porre un'ulteriore domanda. Un ateo per me è chi basa tutta la sua realtà percepita su fatti concreti non oppugnabili, poiché così li crede lui. A dire il vero anche il mondo dei sentimenti dovrebbe essergli precluso, poiché sappiamo quanto la proiezione si inserisca nella “costruzione delle nostre realtà” aggiungendo altre realtà estranee al vissuto reale del momento. MM: Ok, confermi che tu chiami ateo quello che io chiamerei empirista. Chiarire l'uso dei termini è fondamentale, visto che la comunicazione verbale o scritta è un gioco, come avrebbe detto Wittgenstein, di cui si devono prima fissare le regole. --- MM: Ma soprattutto, stai confondendo la definizione di ateo con quella di persona senza fede (che nella tua visione ha comunque un atteggiamento “fideistico”), e in questa massimalizzazione stai sottintendendo ovviamente per fede quella religiosa (nel senso comune, non in quello etimologico di disciplina personale), quale essa sia. Questo, oltre ad essere quantomeno superficiale e stereotipizzante, significa anche che stai assumendo che la fede sia una prerogativa soltanto della religione (e da dove questo assunto possa derivare l’ho già accennato in un precedente intervento sul Puzzoloso). Ciò è per me nettamente sbagliato. Anche un ateo quando si sveglia e si alza dal letto ha fede di trovare il pavimento della sua stanza sotto i suoi piedi, le pantofole dove le ha lasciate, e così via. Salvo poi eventualmente accorgersi che il suo palazzo è crollato. MF: Non credo proprio che sia prerogativa di una religione, semmai stavo affermando, non riuscendoci per niente, proprio il contrario, che tutti noi siamo preda, in ogni attimo, di atti di fede, un esempio banale vissuto da tutti è il vedere il mondo diritto quando alla nostra retina giunge rovesciato, solo perché corretto da una serie di meccanismi fisiologici. Mi piace qui citare un pensiero del biologo J. Rostand : “L’incredulità proprio come la fede ha le sue profondità; l’una e l’altra nelle loro forme estreme comportano rischi e vertigini. Il dubbio in fin dei conti è un atto non meno religioso di una preghiera”. MM: Allora siamo d'accordo sulla prima parte. Ma che il dubbio sia in fin dei conti un atto religioso mi pare un pensiero vacuo, se non errato, a meno che non si intenda religione nel senso di disciplina personale. --- MM: Più avanti scrivi: MF: Sappiamo come proprio quando si sono abbandonati i suddetti canoni sono avvenute delle scoperte, contraddicendo spesso i protocolli così finemente stilati, inseguite dalla ragione per secoli e deposte le “armi di attacco razionale” lasciando spazio all’intuizione talvolta paragonabile ad una vera e propria illuminazione religiosa. MM: Sono convinto che sia così, ed anzi personalmente sono molto eterodosso e finisco spesso per andare a cercare ispirazione anche "nella spazzatura", come direbbe un mio amico
casertano. A me piace il concetto di anarchia metodologica (se non epistemologica) avanzato da
Feyerabend, sebbene la scienza ortodossa ne abbia sostanzialmente paura. Ma penso anche che la situazione sia più complicata di così. MF: Il salto avviene quando si pone estrema fiducia in un’ipotesi, in un’attesa fiduciosa che il tale "evento" avvenga proprio per tali ragioni fisico-matematiche ecc… Si lascia per così dire il terreno del più o meno conosciuto per spingersi in uno parzialmente sconosciuto, del tutto ipotizzato o solo ipotizzabile. Se volessimo includere l’arte medica nella scienza pare che sia proprio questa la ragione per cui i ricercatori ritardano la soluzione dei meccanismi dell'insorgenza del cancro. “Ed è meglio prendere Nietzsche non per le risposte che dà, ma per le domande che pone. Primo: dopo che la storia ci ha insegnato che spesso il possesso della Verità produce fanatismo, e che un individuo armato di verità è un potenziale terrorista, vien fatto di chiedere: il relativismo e il nichilismo sono davvero quel male radicale che si vuol far credere? O essi non producono forse anche la consapevolezza della relatività di ogni punto di vista, quindi anche di ogni religione? E allora non veicolano forse il rispetto del punto di vista dell'altro e dunque il valore fondamentale della tolleranza? C'è del bello anche nel relativismo e nel nichilismo: inibiscono il fanatismo.” (F. Volpi) MM: Se non ci spingessimo nell'ignoto, non ci sarebbe progresso alcuno. Dunque mi pare una cosa salutare e benvenuta. Ribadisco la priorità del fatto sulla teoria, ovvero sulle aspettative sulle manifestazioni del fatto che si possono derivare dalle conoscenze acquisite; ma capisco che questo non viene sempre rispettato, specie quando ciò possa contrastare con altri interessi. MF: Sono d’accordo in questo ultimo tuo passaggio. Scienza come “work in progress”, si dice così no.
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