11.01.08 Non avrai altro Dio all'infuori di me
di Max4
Caro Puzzoloso,
è da tanto che pensavo di inserirmi con una mia testimonianza nella diatriba tra Massimo e Puck, finché
qualche sera fa, Speciale TG1 su De André, sono stato spinto da una vecchia canzone
“Il testamento di Tito”, una parafrasi dei dieci comandamenti del tutto personale del cantautore
nella quale a parlare è uno dei due ladroni crocifissi insieme a Gesù:
Tito. Ecco le prime due strofe:
"Non avrai altro Dio all'infuori di me,
spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse venute dall'est
dicevan che in fondo era uguale.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male".
Un Dio ha in sé quelle caratteristiche che da piccoli abbiamo attribuito a nostro padre, così che lo chiamiamo Padre eterno, diceva Freud; del resto chi è cresciuto senza famiglia, senza un solido punto di riferimento, fa fatica a rintracciare in
sé stesso un parametro che possa rapportarlo alla divinità.
Dio naturalmente per esistere non ha bisogno che qualcuno creda in lui. Come provare amore per una persona non implica la reciprocità, anzi spesso la esclude totalmente in una gratuità del nostro essere per e con l’Altro. Anche ad amare si apprende, chi non è stato amato da piccolo manca di questo modo d’essere, fa fatica, balbetta per un vocabolario sentimentale deficitario.
L’appartenenza ad un Credo non può essere sancita solo da un sacramento, che come il talento del Vangelo non può essere interrato, deve dar frutti. Essere cristiani è qualcosa che richiede continua coerenza nell’agire, nel dare testimonianza. “Dai frutti vi riconosceranno”. Il battesimo, senza sminuire il suo valore teologico, è un dono prezioso solo per il credente che vuole condividere con il figlio, ignaro perché ancora infante, qualcosa che da grande potrebbe rifiutare. Frate Francesco per esempio rifiuta qualsiasi bene del padre per sposare sorella povertà
in toto, ed approdare così, nella sua particolarissima visione della vita, ad una maggiore ricchezza.
Posso paragonare il battesimo all’iscrizione all’università, è certamente un inizio obbligatorio ma non arrivi alla laurea senza impegno costante, approfondimento, sacrificio, quindi ritengo che è solo una pura formalità “sbattezzarsi” poiché per un non credente è già vuoto di contenuti il percorso, in quanto come direbbe Kierkegaard: “La verità cristiana è piuttosto da testimoniare conformando ad essa la propria esistenza”.
Un errore grossolano confondere l’Ecclesia, con gli uomini di chiesa. Un’antica leggenda riportata da Jung riguarda un rabbino, cito a
memoria: uno studente gli chiese perché non succede più quanto è accaduto nei tempi passati, dove vi furono uomini che ebbero un rapporto più diretto con Dio. Il rabbino rispose: “Perché oggi nessuno sa chinarsi tanto”. Conclude Jung, oramai ottantenne: “Bisogna chinarsi un poco, per attingere l’acqua dal fiume”. E come mio solito alleggerisco il tono gravoso del discorso con un interrogativo di Woody
Allen: “Molti sono sfiduciati perché non riescono a trovare Dio, ma provate a cercare un idraulico di domenica”!
Ed infine chiudo con l’ultima strofa della canzone, quella che ci esorta all’esercizio della carità, la sola che racchiude sommamente l’essere cristiano, mentre assistiamo a qualsiasi morte ed in particolare all’esecuzione di una
condanna. Tito conclude rivolgendosi a sua madre, che come Maria è ai
piedi della croce:
"Io nel vedere quest'uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l'amore".
A presto, Max4
11.01.09 Ma io senza legge, rubai in nome mio, quegli altri, nel nome di Dio
di Vincenzo Pacelli
Caro Max4,
credo che Il testamento di Tito sia una delle più belle canzoni de
"La buona novella", insieme a Tre madri, ed è anche
estremamente illuminante e toccante. Le parole di Tito sulla croce, il suo
testamento, come lo chiama De Andrè, è di grande attualità, il commento
ad ogni comandamento è semplicemente spiazzante.
Mi permetto soltanto di obiettare al tuo intervento che
"sbattezzarsi" è sì una pura formalità per quanto riguarda
l'interiorità di chi lo fa, come tu affermi, ma può non esserlo in
relazione ai privilegi che ne derivano alla Chiesa, o per parafrasare De
Andrè, a quelli che "rubano in nome di Dio"... E'
questo uno dei principali obiettivi perseguiti da chi intende sbattezzarsi
(e qui invito Massimo Mastrangeli a correggermi se ho frainteso) con la
sola pecca, a mio avviso, di non comprendere appieno le motivazioni di
chi, da credente o aspirante tale, non intende privarsi di un sacramento
per il semplice fatto di togliere "iscritti" ad un'istituzione religiosa.
Durante queste vacanze natalizie ed in alcune
chiacchierate avvenute con Massimo ed altri, essendo in argomento,
inevitabilmente è sorta la domanda: "E te, se sei d'accordo,
perchè non ti sbattezzi?", domanda posta con una sorta di
sufficienza, di rassegnata commiserazione, data dalla velata supposta
certezza che l'interlocutore, meschinamente, per quieto vivere, per
buonismo e per non so cos'altro, non farebbe mai una cosa del
genere.
A tal proposito mi sento di dover tornare su
un'argomentazione che a me sembra tanto limpida, ma evidentemente limpida
non è. La critica alle istituzioni religiose cristiane (alle loro
politiche, alle loro economie, ai loro privilegi e alle loro ipocrisie)
non ha alcuna attinenza con il senso del sacro, con il rapporto con il
divino, in altre parole con la religiosità che un soggetto può sentire
in sé. Da una parte c'è chi sostiene di rappresentare Dio in terra,
dall'altra c'è l'uomo, che per sua natura può sentire o meno la presenza
del divino nella sua esistenza. Presenza del divino che può vivere
interiormente e che può esteriorizzare in molti modi, anche in un rito,
in un atto al quale per tradizione si dà valore sacro (che ne tratti o
meno esplicitamente il Vangelo).
Ora, per chi prova questo, per chi attribuisce comunque
valore ad un atto ritenuto sacro e prova un senso di disagio al pensiero
di privarsene, il volersi dissociare da un'istituzione religiosa che
prende potere in virtù del "numero degli iscritti
battezzati", non è un motivo sufficiente e valido per depennare
un sacramento, per privarsi di quel "pezzo di carta" attestante
un contatto con il divino, seppure
ricevuto in un'età in cui si era ancora incapaci di intendere e di
volere, da genitori che possono anche averlo fatto anche solo perchè lo
fanno tutti e si deve fare, perchè sennò pare brutto.
In altre parole, ritengo che qualsiasi simbolo, archetipo, rito,
gesto, colore, o suono, porta in sé un insieme di significati che
partecipano attivamente alla nostra attività mentale, e quindi alla nostra
esistenza; non ci si può privare sic et simpliciter di uno di essi
senza prendere in considerazione attentamente le conseguenze di tale
atto... Mhh, inizio a sbarellare?!?...
Un saluto a tutti,
Vincenzo
...e per chi non conosce il testo della canzone...
Il Testamento di Tito
Non avrai altro Dio, all'infuori di me,
spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse, venute dall'est
dicevan che in fondo era uguale.
Credevano a un altro diverso da te,
e non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.
Non nominare il nome di Dio,
non nominarlo invano.
Con un coltello piantato nel fianco
gridai la mia pena e il suo nome:
ma forse era stanco, forse troppo occupato
e non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano
davvero, lo nominai invano.
Onora il padre. Onora la madre
e onora anche il loro bastone,
bacia la mano che ruppe il tuo naso
perché le chiedevi un boccone:
quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Ricorda di santificare le feste.
Facile per noi ladroni
entrare nei templi che rigurgitan salmi
di schiavi e dei loro padroni
senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.
Senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.
Il quinto dice "non devi rubare"
e forse io l'ho rispettato
vuotando in silenzio, le tasche già gonfie
di quelli che avevan rubato.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio.
Non commettere atti che non siano puri
cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l'ami, così sarai uomo di fede:
poi la voglia svanisce ed il figlio rimane
e tanti ne uccide la fame.
Io, forse, ho confuso il piacere e l'amore,
ma non ho creato dolore.
Il settimo dice "non ammazzare"
se del cielo vuoi essere degno.
guardatela oggi, questa legge di Dio,
tre volte inchiodata nel legno.
guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno.
Guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno.
Non dire falsa testimonianza
e aiutali a uccidere un uomo.
Lo sanno a memoria il diritto divino
e scordano sempre il perdono.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.
Non desiderare la roba degli altri,
non desiderarne la sposa.
Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
che hanno una donna e qualcosa:
nei letti degli altri, già caldi d'amore
non ho provato dolore.
L'invidia di ieri non è già finita:
stasera vi invidio la vita.
Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:
io nel vedere quest'uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l'amore.
Sotto alle tre croci,
le madri dei due ladroni (Tito e Dimaco) e la madre di Gesù
Tre madri
Madre di Tito:
"Tito, non sei figlio di Dio,
ma c'è chi muore nel dirti addio".
Madre di Dimaco:
"Dimaco, ignori chi fu tuo padre,
ma più di te muore tua madre".
Le due madri:
"Con troppe lacrime piangi, Maria,
solo l'immagine d'un'agonia:
sai che alla vita, nel terzo giorno,
il figlio tuo farà ritorno:
lascia noi piangere, un po' più forte,
chi non risorgerà più dalla morte".
Madre di Gesù:
"Piango di lui ciò che mi è tolto,
le braccia magre, la fronte, il volto,
ogni sua vita che vive ancora,
che vedo spegnersi ora per ora.
Figlio nel sangue, figlio nel cuore,
e chi ti chiama - Nostro Signore -,
nella fatica del tuo sorriso
cerca un ritaglio di Paradiso.
Per me sei figlio, vita morente,
ti portò cieco questo mio ventre,
come nel grembo, e adesso in croce,
ti chiama amore questa mia voce.
Non fossi stato figlio di Dio
t'avrei ancora per figlio mio".