28.02.11
Vino, una liberalizzazione contro il made in Italy
di Francesco Crocebella
Si potrebbe parafrasare il noto film di Giuseppe De Santis Non c’è pace tra gli ulivi e dire “Non c’è pace tra le vigne” per raccontare i travagli legislativi che sta subendo il settore vitivinicolo.
L’anno scorso il parlamento ha recepito la normativa comunitaria di settore (Ocm vino) che prevede una serie di importanti novità ma quella riforma non è ancora pienamente a regime perché mancano ancora molti decreti attuativi. Certamente l’Italia ha subito molte delle misure contenute nella normativa Ue ma nel complesso l’orientamento alla competitività del settore con l’abbandono progressivo di misure di mercato costose ed inefficaci (la distillazione, per esempio) è una sfida che i nostri produttori hanno dimostrato di accettare in un mercato che vede affacciarsi competitors provenienti da nuovi paesi particolarmente aggressivi con prodotti capaci di sostenere quelli più blasonati nazionali ed europei.
Adesso al centro delle preoccupazioni del settore c’è il tema del mutamento del regime di produzione previsto dalla Pac (Politica agricola comunitaria) Attualmente il settore vitivinicolo si avvale ancora di uno strumento efficace per gestire le produzioni: i diritti di impianto. Il principio che ne è alla base statuisce che nuovi vigneti possano essere impiantati solo se supportati da diritti di impianto in mano al viticoltore, o se particolari esigenze di mercato possano richiedere nuovi impianti, attingendo alle riserve regionali. Si tratta di un modo indiretto di controllare la produzione attraverso la gestione del vigneto con l’obiettivo di stabilizzare i prezzi e contrastare le crisi di sovrapproduzione.
L’Ocm prevede la soppressione al 31 dicembre 2015 di questo regime.
Il rischio che deriverà dalla liberalizzazione prevista dal 2015 è particolarmente grave per molte regioni viticole d’Europa perché l’assenza di un meccanismo di controllo e di gestione della produzione degli impianti genererà una deregulation ed una destabilizzazione che avrà come effetti sovrapproduzioni, cadute dei prezzi, speculazioni, perdita dei valori patrimoniali dei vigneti.
N o n o - stante la misura entri in vigore dal 2015, tale cambiamento di regime di produzioni sta preoccupando tutti quei produttori che vedono vanificati gli investimenti e le fatiche accumulate negli anni per giungere a quegli alti livelli di qualità del settore vitivinicolo che sono uno dei fiori all’occhiello del made in Italy.
Verrebbero messi in discussione gli sforzi qualitativi voluti dai produttori, senza considerare l’improvviso disequilibrio quantitativo, rispetto al mercato, che la proliferazione dei vigneti e delle produzioni porterebbe in molte zone viticole.
La superficie “vitata” della Cotes-du-Rhone, ad esempio, potrebbe salire da 61 mila a 120 mila ettari, quella del Chianti da 17 mila a 35mila. In altre parole la liberalizzazione prevista di fatto vanifica i vincoli produttivi che gli Stati, le Regioni e i consorzi si sono dati in modo da tutelare il patrimonio di quelle produzioni a più alto valore. Tale incertezza si aggiunge ad una situazione di mercato che sebbene registri un incremento dell’export del vino del 6,2 per cento nella quantità vede contemporaneamente un decremento del 6,1 nel valore, testimonianza degli abbattimenti di prezzo praticati dai produttori nel tentativo di contenere la flessione mondiale.
L’altalena tra Francia ed Italia nel primato dell’export si accompagna però ad una diminuzione significativa nel mercato interno: il 7 per cento degli italiani ha sostituito il vino addirittura con altre bevande.
In Francia Nicolas Sarkozy ha fatto della battaglia sui diritti di impianto una battaglia politica su cui mobilitare l’intero paese a difesa del patrimonio vitivinicolo nazionale: nelle prossime settimane sono previste iniziative del parlamento francese con il coinvolgimento dei parlamentari di altri paesi. La Germania, certamente meno interessata alla questione, si è già espressa a favore del mantenimento dell’attuale regime.
Dal fronte italiano, ca va sans dire ancora nessuna notizia. Assistiamo ancora una volta all’inerzia del nostro governo e del ministro dell’agricoltura il quale evidentemente ritiene le grida di allarme delle associazioni di settore italiane, come Federdoc e Federvini, delle ansie eccessive.
Probabilmente il governo pensa che, con lo slogan della legge sull’etichettatura, sia in grado di tutelare i nostri produttori consentendosi di risparmiare fatica ed impegno nelle battaglie quotidiane che altri paesi stanno conducendo e con i quali dovremmo confrontarci per costruire politiche condivise a favore della qualità.
|