14.07.11
Quella
che vedete a fianco è l'opera di Walter Togni, intitolata
"Conciliazione", che è stata selezionata a rappresentare il nostro
territorio in occasione dei XXX Giochi Olimpici di Londra 2012. Credo inoltre che parlare di arte non sia cosa da fare in modo affrettato e senza cognizione di causa. Troppo spesso c'è chi si improvvisa critico d'arte senza avere le benché minime nozioni di base sull'argomento, il quale non è tra i più semplici da trattare. Posso però, questo sì, dare un mio giudizio di gusto, le mie soggettive sensazioni e percezioni davanti a quest'opera di Walter Togni. Indubbiamente il concetto che le dà il titolo è rappresentato in modo forte e deciso, in una dinamica plastica che mi ricorda l'accostarsi dei due lembi di una ferita, l'avvicinamento di due superfici che dopo aver subito una scissione vanno a legarsi insieme attraverso dei ponti che, come fili, saldano insieme quello che era stato separato, facendo sì che da due entità ne rinasca una sola. La tenace materia di cui è composta l'opera, la forza dei tratti e dei rilievi contribuiscono poi a rinforzare questa idea di conciliazione, che sembra essere fortemente desiderata e caparbiamente ottenuta. Se un'opera può dirsi riuscita quando l'artista riesce a comunicare all'osservatore quello che aveva in mente, con i giusti materiali ed il soggetto adatto, si può dire che questo è il caso, e di ciò va reso merito al nostro Walter Togni. Io mi fermo qui e vi lascio alla recensione dell'assessore alla cultura del Comune di Vignanello, Sabrina Sciarrini. Recensione opera Conciliazione L’opera realizzata dal nostro concittadino e artista Walter Togni porta nel nome il motivo originale da cui trae la sua ragione d’essere. La Conciliazione, passa attraverso la ricerca di quei valori comuni che uniscono l’umanità intera nella dissomiglianza. Le Olimpiadi sono un momento in cui i popoli, pur riconoscendosi nella propria identità si commisurano in modo pacifico e competitivo con le altre realtà; la diversità assurge ad elemento di ricchezza e di unione. L’artista, in quest’opera rappresenta il tutto con un iperrealismo a tratti crudo che induce alla riflessione e a tratti surreale, dove la realtà appare quasi sospesa su un filo; ciò che si intravede è come avvolto da quella “maschera” che Nietzsche definisce come un “ bisogno” che pervade “ogni spirito profondo”. Una fessura divide in due parti un mondo indecifrabile. Un solco netto separa ciò che dovrebbe essere naturalmente unito. Uno scenario caotico e ordinato nello stesso tempo si imprime prepotente nello sguardo di chi osserva; non sfuggono quei segni di civiltà su un terreno lacerato ma dal suo interno e come se ci fosse stata un’esplosione che avesse rotto gli equilibri e spezzato i fili che univano il circuito perfetto di una realtà in divenire. Un’ evidente metafora dei nostri tempi che rispecchia la crisi profonda di idee, contenuti e ideali dell’uomo, all’alba dell’ inizio di questo nuovo millennio. L’espressione artistica rende difficile leggere tra le righe e le pieghe di ciò che appare. Eppure ci sono gli indizi e se ne intravedono le tracce, mai chiare e mai nitide. E’ un’opera universale aperta a qualsiasi interpretazione, libera da sovrastrutture, lontana dagli stereotipi eppure chiusa nello stesso tempo per via di quell’imprimitur, insito nel nome stesso, che lega l’opera all’essenza del concetto di pacificazione e che quasi come un monito richiama allo spirito di Conciliazione. Lo sguardo vaga e si ferma sul persistente, costante e simmetrico dualismo: una “doppia soggettività”; una coincidenza forte tra ciò che è e ciò che appare. Un’opera in cui antropologicamente confluiscono il presente, il passato e il futuro, collocati in un contesto quasi cosmico in cui si intravedono solo i segni e simboli del passaggio dell’uomo e delle sue culture. E poi ci sono gli anelli che sono lì, come una cerniera, a tentare di suturare la lacerazione; anelli di speranza, di solidarietà di ritrovato spirito di “unione tra i popoli” che sebbene riescono nell’intento di avvicinare e unire, tuttavia non coprono del tutto le cicatrici; misteriose ferite la cui causa forse non è rintracciabile nell’opera ma nel vissuto di ognuno di noi. Un’espressione che non ha spazio, non ha tempo, non ha luogo e non si presta a speculazioni di parte. Se nell’esistenza stessa dell’umanità è insito un’ ineluttabile destino di eterne divisioni, in Conciliazione ciò che prevale, ed è centrale, è l’idea della pace e dell’ unione, la volontà di superare le divisioni e gli steccati artificiali. Gli anelli nell’opera, come i cerchi olimpici, hanno l’intento di unire i popoli, le culture, i credi e le etnie diverse, di ricucire gli strappi e di creare raccordi comunicativi che, attraverso lo sport e l’arte, oggi trovano la loro concretizzazione. Le olimpiadi, da sempre, rappresentano un momento per superare i propri limiti e mettersi alla prova, per confrontarsi in pace nell’antico spirito ateniese di Olimpia, la culla della nostra civiltà. Le innumerevoli opere, i manufatti e gli scritti pervenuti fino ai nostri giorni che narrano, ritraggono, descrivono e celebrano le gesta degli atleti di quel periodo storico, ci rendono testimonianza del millenario sodalizio tra lo sport e l’arte, che continua ancora oggi; il primo costituisce il motore e il secondo ne diventa silenzioso testimone e volano propulsore e insieme concorrono e rendere eterne e immortali le imprese dell’uomo. Nell’opera, in fondo, ognuno di quell’anelli metaforicamente potrebbe rappresentare una virtù, un precetto morale, un assunto culturale o una disciplina sportiva; anelli che in solitudine e nell’isolamento non avrebbero alcuna forza vitale ma insieme agli altri, prendono forma e passo dopo passo, respiro dopo respiro, battito dopo battito, scandiscono il ritmo di una manifestazione, quella olimpica, che unisce tante bandiere sotto un unico vessillo, quello dell’umanità. L’Assessore alla Cultura |