15.08.08
Chi tace, acconsente?
di Vincenzo Pacelli

Chi tace acconsente. Credo non esista un proverbio (se si può definire tale) più fasullo. E pensare che viene attribuito addirittura ad un papa, Bonifacio VIII, in un testo di diritto canonico. Spero solo che non rientri nelle affermazioni ex cathedra, quelle per cui vige l’infallibilità, non vorrei rischiare la scomunica per aver contraddetto un dogma.

Per esperienza, al contrario, so che chi tace, raramente acconsente, quasi sempre il silenzio nasconde perlomeno un dubbio, più spesso un tacito dissenso, quasi sempre un voler evitare il discorso. Dunque si tace, ma non si acconsente affatto: modalità legittima, ma credo non del tutto cortese, visto che, tornando ai proverbi, ce n’è uno che afferma che domandare è lecito, rispondere è cortesia. Ma la cortesia non la si può pretendere, sarebbe quantomeno scortese. E qui si entra in un circolo vizioso.

Che fare? Riproporre l’interrogativo, facendo leva sul repetita juvant (altro proverbio di dubbia validità) col rischio di apparire scortesi, oppure desistere optando per il silenzio, col rischio che l’interlocutore supponga di averla avuta vinta in virtù del chi tace acconsente? Vi confesso che per mia indole, testarda e capocciona, mi ritrovo spesso ad insistere, ripetere, ribadire, anche con forza, con estrema convinzione e attaccamento. Ma ultimamente no, sono diventato un po’ più distaccato, più freddo, forse anche apatico. Convinto dell’inutilità di vomitare valanghe di parole davanti ai monolitici silenzi di chi tace... e non acconsente affatto, checché ne dica Bonifacio VIII.

Convinto, seppure ancora combattuto, perchè l’indole testarda e capocciona cova sempre sotto la cenere e non me la vuole dare vinta, e continua a scalciare, cerca di farsi spazio a forza di sgomitate, ribattendo che rispondere è dovere, diamine!, non cortesia, ricordandomi con le parole di Guccini, che sempre l’ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a morte...

Avendo sempre ben chiaro, intendiamoci, che c’è silenzio e silenzio. Il silenzio positivo: l’assenza di rumore e di disturbo, che è il silenzio necessario alla riflessione, alla preghiera, alla meditazione; e il silenzio negativo: l’assenza di comunicazione e di informazione, che è il silenzio della scortesia, dell’omissione, dell’omertà.

In conclusione (e mi avvio davvero a concludere questa dissertazione sconclusionata) di una sola cosa si può essere certi, e ce lo dice con la sua surreale fantasia un grande comico, nel modo con cui solo i veri buffoni sanno risolvere gli stupidi interrogativi del ragionare convenzionale, sanno curare le psicosi dei cosiddetti sani di mente.

Francesco Nuti, hhiahhierando hol Hhiaramonti al bar, ci dà la soluzione, èhhovela...